Ok, qui la faccenda si fa interessante...
Ho qualche dubbio su un paio di conclusioni che trai nel tuo post precedente, nel senso che a me sembra di vedere dei limiti al valore dell'avverbio "sempre" in tutti i casi che citi e in tutti gli esempi che fai; a volte i limiti sono evidenti, altre volte impliciti, altre volte ancora intrinseci. Però ci sono sempre (= ogni volta che si studia il significato) dei limiti di validità, secondo me, e il problema è spesso annidato nel contesto. Provo a spiegarmi.
"Ti amerò sempre", stando a quanto scrivi sopra, è uno di quei casi in cui "sempre" non sembra avere limiti, in opposizione a "la Terra girerà sempre" che invece lascia subito intuire degli ostacoli a un protrarsi indefinito dell'azione (non foss'altro perché la Terra è destinata a sparire durante la fase di gigante rossa cui andrà incontro il nostro Sole fra qualche miliardo di anni).
Tornando però al primo esempio, "Ti amerò sempre", mi domando, da una prospettiva realistica e materialistica: cosa significa la frase davvero? Se si parla di due innamorati che si confessano reciproco amore, è chiaro che almeno nelle loro intenzioni il legame durerà indefinitamente (e già questo non è detto: come giustificare altrimenti una storia d'amore che finisce, anche con tutte le buone premesse che l'hanno accompagnata nel suo sbocciare?). Perfino nel rito del matrimonio, che è il trionfo di un amore che dovrebbe durare "per sempre", la formula di rito non include il termine "sempre", bensì un più lapidario "finché morte non ci separi" (adombrando l'esistenza di un limite fisico e inevitabile alla durata di ogni sentimento).
Andiamo oltre: se una metà della coppia per esempio scompare o muore, che valore assume la stessa frase, pronunciata magari da un vedovo inconsolabile sulla tomba dell'amata moglie? Il senso è ancora all'incirca quello originario, ovvero lui che dice a lei di amarla, ma il contesto è completamente cambiato perché lei non è più lì a udire quelle parole e a darvi sostanza con la corrispondenza del suo amore. "Ti amerò sempre", che era un tempo il cinguettio gioioso e vitale di due innamorati che si guardavano negli occhi, è diventato il mesto e solitario segno di un ricordo e di una persistenza ostinata di qualcosa che si è incrinato inevitabilmente e, quello sì, per sempre.
E ancora: dopo un po' di tempo, anche il vedovo inconsolabile lascia questa terra e raggiunge la sua bella nel Grande Nulla. Che valore ha da quel punto in poi la frase "ti amerò sempre", per loro due e per gli altri? A tutti gli effetti pratici, con la morte di chi quel sentimento lo provava (ricambiato o no), l'oggetto della frase si degrada fino a svanire in tempi più o meno rapidi, perché riguarda sempre meno chi resta sulla Terra, inevitabilmente. Ammetto che tutti noi ancora ricordiamo e celebriamo l'amore dei grandi poeti come Dante per le loro muse, anche se i protagonisti della storia sono svaniti da tempo, ma a parte qualche esempio raro, di tutti gli altri amori che pure si sono succeduti, perfino più duraturi di quelli letterari, non resta traccia oggi, e di certo ogni traccia svanirà in un modo o nell'altro con la fine della Terra (che non girerà per sempre).
Da un esempio del genere, che è indubbiamente particolare, ma ha caratteristiche sufficienti da renderlo rappresentativo di casi più generali, deduco che semplicemente tutte le volte che usiamo "sempre" lo facciamo ingigantendo il suo valore, e proiettando le nostre speranze/aspettative/percezioni, in una parola la nostra idea di noi come singoli e come specie, ben oltre i confini assai più modesti del termine. Sarebbe più onesto usare, in luogo di "sempre", locuzioni più realistiche come "ogni volta che", "molto spesso", "frequentemente", "quasi senza interruzione" e simili. Poiché frasi del genere potrebbero sostituire la parola "sempre" in quasi ogni occasione, e senza deterioramento del significato, scopriremmo in fretta che "sempre" ha sempre dei limiti, anche se noi preferiamo ignorarli.
Tutto ciò che crediamo si conserverà "per sempre" è destinato quasi certamente a svanire entro qualche centinaio di migliaio di anni, e tutto quello che diamo per scontato come se esistesse "da sempre" ha spesso un'età infinitamente più giovane di quella dell'Universo o, più modestamente, di quella di una montagna o di un altopiano. Per non parlare degli ultimi ritrovati della tecnica: in pochi lo sanno, ma è esistita un'epoca in cui i telefoni cellulari a stento telefonavano...
Concludo con quella che mi sembra l'unica eccezione alla regola sull'inevitabile esistenza di limiti al campo semantico di "sempre", ovvero l'unico caso in cui usare "sempre" non solo è letteralmente corretto, ma forse doveroso. Per come la vedo io, si può parlare di "sempre" solo in riferimento all'intero Universo, o meglio in riferimento al concetto di Universo come collezione ordinata di tutte le cose, tutte le relazioni e tutti gli eventi (il Cosmo pitagorico, insomma, o l'universo degli eventi della Fisica).
Le ragioni del mio argomento sono semplici: poiché è proprio l'Universo a definire il concetto di "tempo", non c'è un "prima" dell'Universo (se ci fosse, sarebbe ancora parte dell'Universo inteso nel senso di cui sopra), e non può esserci un "dopo", perché se l'Universo cessa di esistere non ha più senso parlare di tempo, o spazio, o materia, o movimento, o interazioni (tutti sinonimi, nell'accezione di "Universo" che sto usando). Pertanto l'Universo esiste da sempre (perché cosa sia l'inizio del sempre è l'Universo stesso a stabilirlo), esisterà per sempre (perché cosa sia la fine del sempre sarà ancora una volta l'Universo a stabilirlo), e sempre (= continuamente, indefinitamente, immancabilmente) si svolge dinamicamente, determinando sé stesso nella sua propria evoluzione. In questo contesto, e solo in questo, la parola "sempre" realizza appieno il suo significato letterale di continuità ininterrotta e senza confini.
Spero che queste riflessioni notturne non appaiano troppo bislacche: a me la logica sembrava filare, ma l'ora è tarda e la stanchezza pesa sulle palpebre, sulle dita e quasi certamente anche sul cervello.
Se la cosa ti/vi sembra interessante, avrò grande piacere di continuare a parlarne prossimamente.