E se l'azienda avesse meno di 15 dipendenti? (post vecchio lo so, ma sempre interessante)
@Lokken said:
Leggendo la domanda, risulta chiaro che il patto non è stato sottoscritto, è semplicemente di obbligo bonario.
Questi tipi di patti sono prettamente civili (precisiamo), è un accordo di tipo personale con un determinato soggetto, che tende ad integrare e proteggere alcune situazioni.
A livello contrattuale non si può licenziare nemmeno se il patto viene meno. In quel caso, il diritto prevede unicamente sanzioni monetarie.
Il patto di non concorrenza è disciplinato agli artt. 2125, 2596 e 1751 bis del codice civile, rispettivamente per lavoratori dipendenti, autonomi e agenti commerciali. Il lavoratore può concordare un pagamento mensile che è soggetto a contributi pensionistici ed integra la retribuzione, oppure alla cessazione del contratto, soggetto agli obblighi e al regime fiscale del TFR. In caso di declaratoria di nullità, il datore può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in precedenza.
Il codice civile associa il patto di non concorrenza a un obbligo di fedeltà fra datore e prestatore di lavoro, che ha carattere di reciprocità.
La giurisprudenza riconosce a tutte le categorie di lavoratori alcuni diritti minimi, che la clausola di non concorrenza deve rispettare a pena di inefficacia:
obbligo della forma scritta;
durata massima non superiore a quella prevista per legge (5 anni per i dirigenti e 3 anni per le altre categorie);
limitazione di luogo, tempo e oggetto non esclusive;
l'onerosità del contratto: il datore deve corrispondere una maggiorazione percentuale della retribuzione, evidenziate a parte nel contratto di assunzione, per tutta la durata del rapporto di lavoro, proporzionale alla durata, estensione territoriale e di oggetto dell'obbligo di non concorrenza. La contrattazione collettiva in questo senso non provvede a individuare dei massimali e dei parametri di valutazione di dette indennità, uniformi a livello nazionale;
Il patto di non concorrenza deve garantire al lavoratore:
la capacità redditizia, di assicurarsi un guadagno idoneo alle proprie esigenze di vita;
le potenzialità professionali, non risultando compromettente per la carriera e il diritto a migliorare le proprie condizioni di lavoro;
la coerenza dell'impiego con la professionalità, sia quella acquisita durante gli studi che nelle esperienze lavorative pregresse;
Il giudice del lavoro può stabilire la non sussistenza di una di queste condizioni nel patto di non concorrenza, dichiarandone l'inefficacia.
Parlando in linguaggio comune, un lavoratore che percepisce 600-1200€ non può essere sottoposto a tale clausola, per assicurarsi il valore legale della clausola bisogna per lo meno triplicare lo stipendio.
A meno che non sia una ditta con meno di 15 dipendenti, non vi è alcuna possibilità di applicazione reale.
Da qui nella quasi totalità dei casi, si parla di limitazioni delle libertà personali, traducendosi con l'anticostituzionalità e le maggiori spese in giudizio.