Ciao Lorenas,
condivido la tua analisi allargata del problema.
Genitori, figli e società partecipano infatti della stessa crisi di valori di riferimento contemporaneamente sia come parti attive che passive.
In generale si potrebbe dire che si è affievolito il senso etico dell'esistenza mentre prevale una percezione estetica della stessa.
Di conseguenza crolla anche il senso comunitario ed il singolo non si percepisce come parte vivente di un corpo sociale vivente ma tende a isolarsi nell'individualismo e a rispondere alle sollecitazioni esterne in nome di un benessere immediato.
Manca la figura di riferimento, mancano quei confini di certezza che ci permettono di muoverci. Manca il "Padre" , inteso non come singola figura, ma alla stregua di C. G. Jung che (in "Simboli dellatrasformazione) afferma:
[LEFT]«il padre è il rappresentante dello spirito, la cui funzione è quella di opporsi alla pura[/LEFT]
istintualità».
Manca una sana triangolazione: padre, madre, figlio che permetta a quest'ultimo di occupare una posizione di esteriorità (all'interno del legame genitoriale).
Per concludere (senza la pretesa di poter essere stata minimamente esaustiva), credo sia doveroso riconoscere che stiamo attraversando un periodo storico di passaggio, di assestamento. Prima di seminare occorre estirpare le radici delle erbacce ma prima ancora occorre essere convinti che si tratta appunto di erbe velenose.
Nel frattempo, di fronte all'urgenza e alla concretezza dei nostri figli e delle loro problematiche occorrerebbe sicuramente una grandissima presa di responsabilità da parte dei soggetti posti ai lati del problema (Stato da una parte e famiglia prima di tutto dall'altra). I giovani, al centro, risponderebbero in conseguenza.
Intendo dire che, in questo circolo vizioso di insicurezza che genera altra insicurezza, qualcuno dovrebbe riuscire a mettere uno stop e trovare una linea di coerenza da proporre.