Ciao a tutti,
sul sito della Fondazione BCFN c'è una proposta in 10 azioni da intraprendere e questa scelta sembrerebbe coerente. Potrebbe anche essere stata una scelta obbligata per esportare in alcuni mercati
Va detto che sul sito Barilla non c'è una sola foto della nuova confezione senza la finestra in plastica.
Vedo che la la foto della confezione postata da Giorgio è per il mercato estero, ma credo che il claim sia stato tolto anche dalle nuove confezioni azzurre per il mercato italiano.
Sui claim in lingua italiana di aziende che esportano nel mondo ci sarebbe da riflettere.
Sulla riconoscibilità del marchio problemi zero.
Penso che la questione però non investa solo la fiducia ma più in generale il posizionamento sul mercato di un prodotto arcinoto. Non è affatto detto che una nuova confezione, priva della finestra in plastica, non riesca a trasmettere un valore di prodotto pari o addirittura superiore.
fda
@fda
I migliori post di fda
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RE: La Barilla toglie la finestra di plastica che consentiva di vedere il prodotto
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RE: Parlare di ripartenza fa bene alla comunicazione post covid delle aziende?
@kal sono d'accordissimo sull'appiattimento della comunicazione, che è forse il principale problema in questa fase. Bisogna distinguersi.
Devo dire che durante il covid ho assistito a una comunicazione interessante da parte di molti brand, che hanno provato a sintonizzarsi sul comune sentire delle persone. Ma quello era un periodo differente, nel quale la creatività e l'empatia potevano unirsi.
Adesso tutto è cambiato ma, soprattutto, molte aziende non sono creative e non hanno nulla da dire se non che si riparte, che è un messaggio uguale per tutti e quindi muto.
Non concordo sulla negatività in assoluto del messaggio, perché la paura e le difficoltà sono state collettive e condivise, ed è ancora molto forte nel Paese il pericolo di crisi, come avvertono tante categorie di lavoratori e dunque moltissime famiglie.
Capisco il discorso di non evocare concetti negativi troppo a lungo, ma qui sta alla bravura dei comunicatori. Si possono dire le stesse cose in modi diversi e farle sembrare cose diverse. E forse lo sono, perché suscitano emozioni e provocano reazioni differenti. Per fortuna.
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RE: La strategia di marketing di regalare un prodotto permette di ottenere nuovi clienti ?
Ciao @guadagnaeuro , la tua esperienza con la pec gratuita ha precise caratteristiche:
- ti ha permesso di provare un prodotto che altrimenti non avresti provato;
- ha scommesso sul fatto che quel prodotto ti tornasse utile al punto da acquistarlo in futuro.
Questo ci porta a rispondere al solito banalissimo modo alla domanda se la strategia del regalare è utile: dipende.
Intanto non ha senso regalare ciò che non serve o non è utile; più in generale, ha senso regalare qualcosa a qualcuno solo se questo qualcuno ne percepisce il valore.
È chiaro che il valore può essere percepito:- prima di ricevere il regalo: in questo caso l'attivazione del regalo è certa (non il seguito, ma il processo è partito);
- dopo avere ricevuto il regalo: in questo caso la strategia potrebbe non funzionare perché il processo non viene neppure attivato.
Il valore percepito non è solo quello del prodotto, anzi, spesso è quello del brand.
Sto dicendo che potrei non avere la minima idea di cosa mi stiano regalando, eppure potrei fidarmi di chi me lo sta regalando, o semplicemente di chi sta veicolando il messaggio.
Ci sono anche momenti e situazioni che facilitano l'innesco (accetto il regalo).Regalare è pericoloso, perché bisogna fare in tutti i casi conto con le aspettative e la percezione del valore. Attenzione a non tradire le aspettative.
Nel marketing funzionano soltanto i regali ad alto valore, quelli che aiutano ad entrare in contatto con il prodotto e/o il brand, al fine di pesarne il valore fino a convincerci che saremmo disposti a pagare per avere il prodotto. Il mantra è: regala solo ciò che vale tanto.
Ci si sta esponendo a un giudizio che, paradossalmente, può essere influenzato dal fatto che il prodotto sia gratuito.
Per certi versi, poi, sarebbe opportuno non regalare a tutti. Talvolta regalare può essere persino deleterio. -
RE: acquistati 10 domini (come posso sfruttarli )
Ciao a tutti.
Come già detto da @Zaiviz90 , la vendita dei domini è un business a parte, che fai bene o non fai. Ma ancora più difficile è prendere un dominio e svilupparci un business per rivenderlo. È possibile monetizzare in tanti modi con un sito, ma non è semplice.Bisognerebbe partire dall'idea del business, il dominio viene dopo. Il valore del dominio dipende dal valore del business e del brand. Non è così facile costruire business e brand e, non di rado, quando uno ci riesce si tiene stretto la propria creatura.
C'è sempre la possibilità di mantenere domini a parcheggio aspettando di rivenderli, e ancora una volta non è facile. Giusta osservazione di @micropedia sui nomi a dominio: viene prima il brand e il nome del brand non è una keyword.
Un'eccezione è quella di landing page su dominio. Considera però che ci sono tante di quelle combinazioni di nome e .tld che difficilmente un'agenzia proporrà al cliente di acquistare il tuo dominio.
A proposito delle estensioni, la fiducia che ha il pubblico in un sito che non conosce dipende anche dal dominio e in particolare dall'estensione. In Italia si potrebbe preferire l'estensione .it alla .net .
Faccio un gioco al volo. Il mio business riguarda le moto elettriche, cerco il nome per il mio brand e la disponibilità del dominio, lavoro in Italia... ebrum .it è disponibile, non il .com . "eBrum" è meno generico di "moto elettriche" e più riconoscibile.
È solo un esempio, non correte a registrare il dominio oppure, se lo registrate e ci fate un grande business, mi aspetto un giro gratisAlcune agenzie seo hanno domini registrati, quasi sempre per progetti editoriali di valore scarso o modesto per inserire link di valore scarso o modesto. Costoro non acquisteranno un dominio a parcheggio.
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RE: vorrei creare delle riviste cartacee
Ci sono diverse strade per creare una rivista cartacea e, come ha detto @marcopuccetti , è essenziale rivolgersi a una tipografia per capire quali sono le possibilità e i costi.
Le scelte che farai dipendono chiaramente dagli obiettivi, dal budget a disposizione, dalle risorse in termini di collaborazioni e tempo a disposizione, dal pubblico di riferimento, da considerazioni inerenti la distribuzione.
Non solo il numero di copie e le qualità della carta delle pagine interne e della copertina, ma anche la foliazione è importante. Il numero di pagine incide moltissimo sui costi di stampa e di spedizione. Dovrai scegliere se stampare in quadricomia e il formato, da valutare accuratamente soprattutto se la rivista va spedita. Oltre un certo numero di pagine non sarà possibile usare i punti metallici e dovrai optare per una soluzione diversa, ad esempio la brossura.
Ci sono anche questioni formali da considerare, come la frequenza di pubblicazione se è un periodico. Devi sapere se hai bisogno di registrare la testata in Tribunale, nel qual caso avrai bisogno di un editore e di un direttore, oltre che di un proprietario della testata. C'è una procedura da seguire, che richiede anche un versamento.
Tra i software più diffusi c'è InDesign, che trovi nella suite Creative di Adobe oppure come app singola.
Per esperienza ti dico che la creazione di un cartaceo è una vera e propria sfida. Non si crede a quanto lavoro c'è dietro! Ci si può davvero perdere dietro la mole di lavoro e, in qualche caso, le prime volte si resta delusi dal risultato visti gli sforzi profusi. In realtà funziona come tutte le cose: bisogna fare esperienza e imparare a gestire in maniera ottimale le risorse, valutando costi e benefici.
Sarà banale, ma il valore aggiunto di una rivista cartacea sta nel supporto cartaceo!
La carta permette di rallentare tutto, di godere della lettura senza distrazioni: non ci sono link e intrusioni invadenti, tutti i meccanismi tipici dei social sono un lontano ricordo.
E poi si tratta di un oggetto fisico, e per questo motivo è più facile che il lettore (cliente) ne percepisca il valore.
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Parlare di ripartenza fa bene alla comunicazione post covid delle aziende?
Da circa due mesi le aziende italiane parlano direttamente o indirettamente di ripartenza.
Oggi mi è arrivato il catalogo di giugno di Tecnocasa - Tecnorete e in copertina c'è scritto bello grosso: Ripartiamo insieme.Secondo Google Trends 'l'interesse nel tempo del termine di ricerca "ripartiamo insieme" è aumentato a maggio, il mese della fine del lockdown in Italia. Un andamento simile hanno avuto termini legati ad argomenti correlati alla ripartenza.
Guardando alla comunicazione delle aziende post coronavirus - ma probabilmente sarebbe più giusto dire post lockdown - ho osservato che i riferimenti alla ripartenza sono molto frequenti, soprattutto in alcuni settori, ovviamente quasi sempre laddove c'è stato un effettivo stop delle attività produttive e commerciali.
Parlando con imprenditori ho notato che c'è una enorme voglia di ripartire. Tutti vogliono "fare" e talvolta avvertono il bisogno di comunicare questa voglia, di condividerla con i potenziali clienti.
Ci sono anche casi di settori che hanno visto le imprese e i lavoratori in prima linea, esposti al rischio concreto di contagio e certamente sotto stress. Gli addetti di questi settori sentono il bisogno di condividere lo sforzo grande che hanno fatto, perché realmente hanno avuto paura per se stessi, per i loro cari e per i colleghi.
Non escludo che molte aziende usino la ripartenza come argomento di comunicazione e promozione, puntando sull'effetto positivo della fiducia, della speranza, dell'ottimismo.
La parola ripartire evoca certamente sensazioni positive, ma forse si sta abusando dell'uso di questa argomentazione come leva di marketing.
Cosa ne pensate?
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RE: Parlare di ripartenza fa bene alla comunicazione post covid delle aziende?
@giorgiotave ha detto in Parlare di ripartenza fa bene alla comunicazione post covid delle aziende?:
Ma la comunicazione del "ripartiamo", al 99%, non è rivolta a loro.
Sono d'accordo.
A mio parere l'imprenditore avverte il bisogno di comunicare la sua voglia di ripartire e influenza chi è deputato a comunicare. Ho l'impressione che questa influenza si abbia anche in aziende più grandi.
Anche perché, se non è così, ha ragione Giorgio e qualche genio di troppo sta dimenticando di guardare negli occhi il destinatario del messaggio... -
RE: Lifetime Deal, sono veri o truffa?
Ciao Elena,
ho acquistato alcuni lifetime deal, più semplicemente "licenze a vita" di software che hanno bisogno di raggiungere una massa critica di utenti in un mercato (un paio tra quelli che hai citato).
Spesso si tratta di startup e/o di aziende già note all'estero che desiderano espandersi nel mercato italiano.
Il tempo è decisivo e allora meglio pompare il database e spingere per fare testing e crescere, soprattutto quando la struttura di costi lo permette (cosa che non accade per tutti i software e i servizi).
Ci sono altre due dinamiche che spingono i lifetime deal e parlano entrambe il linguaggio del vile denaro (vile si fa per dire):-
se i ricavi marginali sono non minori dei costi marginali, in mancanza di capitale, per convincere investitori è molto utile spingere il database;
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se i ricavi marginali sono maggiori dei costi marginali, entro certi limiti si possono recuperare risorse economiche, sebbene limitate.
In ogni caso, dal punto di vista degli utenti non c'è alcun rischio, sempre che si acquistino licenze di software che servono o possono servire.
È chiaro che alcune licenze sono limitate, spesso non tanto nelle funzionalità premium quanto nei "volumi". Il lifetime deal è pertanto anche un ottimo strumento che ha l'utente per testare il software e, in caso che si trovi bene, di passare a una licenza "superiore". -
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Crisi Barilla: la Lega usa il brand Ringo in un messaggio sui social
È notizia di oggi che la Lega (LegaSalvini) ha usato il brand Ringo per un contenuto politico sui social.
Il messaggio fa riferimento sia al marchio sia a un vecchio e noto spot, richiamandone di fatto l'immagine d'insieme, i valori.Su Twitter si è scatenata la solita indignazione cieca da tastiera: quella dei detrattori che invitano a boicottare Barilla - che detiene il marchio Ringo - e quella di coloro che attaccano i detrattori.
Barilla ha pubblicato una secca smentita: "Il Gruppo #Barilla conferma che non ha autorizzato e non autorizza l’utilizzo dei propri marchi – compreso il brand #Ringo – da parte di nessun movimento o gruppo politico."
La cosa interessante, a mio parere, è il tipo di crisi che si innesca e il modo in cui può evolvere a seconda di come viene gestita.
In teoria la crisi potrebbe trasformarsi in un'opportunità, ma non è così semplice governare questi processi in presenza di persone e tematiche calde, laddove esistono schiere ideologizzate e i fatti sono sostanzialmente estranei al brand. E per i brand la memoria dei consumatori non è sempre corta.
In questi casi la difficoltà di gestire la crisi per i brand è maggiore, perché devono fare attenzione a non attaccare la parte politica che li ha strumentalizzati, se non vogliono inimicarsi una fetta di consumatori. Una bella grana.
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RE: In quanto tempo cuoce la pasta? Il Movimento Grandi Minuti
Ciao @ilosh , la comunicazione visiva e il packaging concorrono a posizionare il prodotto e il brand e incidono sulle vendite, hanno cioè a che fare con il marketing.
I pastifici che hanno colto al volo questa opportunità hanno dimostrato di avere il dinamismo e la flessibilità indispensabili per rispondere alle sollecitazioni in tempi rapidissimi. Oggi possono testare sul campo una variabile: non tramite survey o focus group, ma con un test sul campo con prodotto e consumatori, parliamo di dati ad alto contenuto informativo. Magari verificano semplicemente che esiste un possibilità di diversificazione in termini di comunicazione, che è efficace in un mercato (che può essere trasversale ad altri mercati). Buttala via...!
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RE: Lifetime Deal, sono veri o truffa?
Grazie @MaxxG , precisazione ineccepibile sul rischio di chiusura. Fortunatamente l'investimento, generalmente modesto, è commisurato a tale rischio.
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RE: La comunicazione non si improvvisa neppure sui social
@giorgiotave ha detto in La comunicazione non si improvvisa neppure sui social:
Non so se hai letto di questa nostra iniziativa con il Web Marketing Festival: il DCPM
Ho letto nel weekend, è una bella cosa, soprattutto se il Manifesto, oltre ad essere condiviso nella stesura, sarà adottato (adesione da parte di istituzioni, aziende, organizzazioni e associazioni; penso anche alle scuole, che potrebbero "promuoverlo" tra gli studenti).
@giorgiotave ha detto in La comunicazione non si improvvisa neppure sui social:
secondo me un politico non può mai prendersela con il Social Media Manager
Vero. Non sappiamo come sia andata, sappiamo che qualcosa non ha funzionato. Forse il SMM è solo il capro espiatorio.
Il SMM potrebbe dipende da un capo della comunicazione, probabile un capo ufficio stampa o una persona con tale esperienza, che coordina tutto. Se così è, allora l'errore è nel processo di controllo o delega.
Poi, nulla toglie che il politico parli e tutti annuiscano da bravi Yes-men. -
RE: Paywall, Clickbait e modelli di business alternativi
Ciao aMorloi,
interessanti riflessioni, grazie.
Sarei curioso di conoscere il dato sul traffico da Google News e anche quello organico da Google per articoli con paywall.