Anche per il TFR vale lo stesso discorso di procedere con l'ingiunzione di pagamento a mezzo di decreto ingiuntivo: sarà poi l'ufficiale giudiziario a ricercare il denaro e eventuali beni da pignorare, vendere all'asta e ricavarne liquidità.
Per poter accedere al fondo istituito presso l'INPS (fondo che paga solo le ultime 3 retribuzioni non corrisposte e il TFR) le procedure, come anticipavo, sono complesse e diverse a seconda della natura giuridica dell'imprenditore (se società di persone o di capitali, se soggetto a fallimento oppure no, ecc ecc, molte sono le variabili), per cui è difficile darle una risposta rapida.
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RE: mancato pagamento della retribuzione da mesi
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RE: mancato pagamento della retribuzione da mesi
Mi fa piacere esserLe stato utile. Un'ultima precisazione: trascorsi dunque almeno 3 mesi senza aver percepito alcuna retribuzione, il lavoratore può rifiutarsi di andare a lavorare. Si tratta di una più che legittima eccezione di inadempimento. Il datore di lavoro non adempie alla propria obbligazione principale, che è quella di pagare la retribuzione, e il lavoratore può legittimamente sospendere a sua volta la propria obbligazione principale di prestare la propria opera. Ovviamente a questo punto il lavoratore non ha più diritto alle retribuzioni per i periodi successivi. Questo significa che, dal punto di vista pratico, ha poco senso sapere di potersi legittimamente rifiutare, dato che da quel momento in poi non si avrà diritto ad essere pagati per il futuro. Tanto vale dimettersi per giusta causa, rivolgersi all'inps per avere un sussidio che aiuti a vivere e nel frattempo cercare una nuova occupazione e agire il prima possibile per il recupero dei crediti non pagati.
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RE: mancato pagamento della retribuzione da mesi
La giurisprudenza pressoché unanime ritiene che il lavoratore maturi il diritto di dimettersi adducendo il mancato pagamento delle retribuzioni nel momento in cui vi siano arretrati pari ad almeno 3 mesi.
In questo caso è bene precisare (rispetto a quanto dice Pumino) che nella lettera di dimissioni non vanno indicati generici motivi personali, ma semplicemente il fatto della mancata retribuzione. Ciò consente altresì di ottenere dall'INPS il sussidio di disoccupazione (sempre che i abbia sufficiente montante contributivo).
Una volta dimessi e una volta percepita l'indennità di disoccupazione il mio consiglio è quello di rivolgersi quanto prima ad un legale, portando con sé contratto di assunzione, lettere di dimissioni e tutti i prospetti paga ancora non pagati: il legale procederà alla redazione di un ricorso per decreto ingiuntivo (procedura che, nel rito del lavoro, è anche piuttosto economica) e nel giro di breve tempo, bene o male nella maggior parte dei tribunali italiani, si otterrà il decreto con cui procedere per la richiesta di pagamento coattivo al datore di lavoro. Consiglio vivamente di non esitare, di non aver timore e di non attendere: più passa il tempo e più sfumano le probabilità di trovare denaro o beni all'interno del patrimonio del datore di lavoro. Se dovesse succedere ciò. le procedure per ottenere il pagamento delle ultime 3 retribuzioni e del TFR da parte di un apposito fondo dell'INPS ci sono, ma sono lunghe e complesse. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
ma non leggere sempre allusioni nelle mie parole, mi pare chiaro che se devo criticare lo faccio in modo esplicito (anche se poi mi viene minacciata la censura).
però sentire questi discorsi sullo spauracchio della disoccupazione e la voglia di reintegro mi fa veramente intristire, perché sono discorsi pieni di demagogia.
se, come dici, sei avvezza alla sezione lavoro, dovresti sapere, come so io, che nessun lavoratore vuole mai la reintegra: su 1000 casi penso che percentualmente se ne contino 10. e se qualcuno pensa il contrario (non tu, che sei avvocato come lo sono io), faccio volentieri a cambio di mestiere per far sperimentare quali sono le vere richieste quando un cliente desidera impugnare un licenziamento illegittimo. di solito il lavoro interessa molto poco, anche se non è bello né da dire, né da sentire. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Immaginiamo un licenziamento motivato come quello da te appena descritto.
Tralasciamo di argomentare se e come questa motivazione potrebbe rientrare nelle altre ipotesi.
Facciamo finta che sia considerare un licenziamento per gmo bello e buono e proviamo a vedere le differenze con la disciplina previgente, per capire se davvero i lavoratori ci stanno perdendo.Vecchio art. 18: il lavoratore, in caso di vittoria, avrebbe portato a casa le retribuzioni medio tempore maturate, dal licenziamento alla sentenza, più la reintegrazione. Di solito il lavoratore non ama rientrare in un'azienda con la quale ha litigato e messo in piedi la causa (giustamente) e opta per l'indennità sostitutiva. Si porta a casa bene o male 20 mensilità.
Nuovo art. 18: il giudice condannerà la società a pagare da 12 a 24 mensilità, a seconda da vari criteri che tengono conto dell'anzianità, delle dimensioni dell'impresa ecc ecc, criteri che esistevano anche prima. I giudici non condannano mai al minimo quando si tratta di risarcire i lavoratori, ma si attesteranno sui 2/3 del massimo previsto e cioè 16 mensilità. Ma potrebbe anche concedere 24. 12 è rarissimo e se dovessero farlo è perché qualcosa ai giudici non torna anche nel comportamento del lavoratore.
Dobbiamo poi operare tutti i raffronti del caso deducendo l'aliunde perceptum.
Signori, la legge è una cosa viva, che sta nella realtà dei tribunali, non sulla carta, e poter esprimere opinioni concrete e non solo teoriche, bisognerebbe conoscere bene i meccanismi che operano nelle Sezioni Lavoro dei Tribunali italiani: in buona sostanza quello che il lavoratore otterrà sarà sostanzialmente identico a quello che avrebbe ottenuto con la vecchia disciplina. Rarissimamente otterrà qualcosa meno (e sarà un po' per colpa sua), forse spesso otterrà anche di più.
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
eh no!
perché quelle "altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono ecc ecc" innanzitutto vanno vagliate alla luce di tutte le altre ipotesi che invece prevedono ancora la reintegra, innanzittutto non devono essere discriminatorie o pretestuose o ritorsive (e già se uno è preso di mira il motivo illecito è grosso come una casa).
e per restare all'esempio che hai fatto tu, l'aver fatto, che so io, troppe malattie, rientra pacificamente nelle ipotesi in cui "il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili" Senza tener conto che le troppe malattie, se fossero davvero troppe, rientrerebbero nel licenziamento per superamento del periodo di comporto che, non c'è santo che tenga, è una gran bel licenziamento più che legittimo.Non avranno molte chances i datori di lavoro, navigano davvero in cattive acque.
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
riporto il testo del nuovo articolo 18, tratta dalla banca dati DeJure, di modo da avere la certezza di essere di fronte al testo vigente.
così sarà chiaro che nella maggior parte delle ipotesi di licenziamento la reintegra non è sparita: e in quelle in cui è sparita, considerate residuali, le interpretazioni sono, ad oggi, quelle che ho indicato qualche post fa. di fronte a ciò, parlare di lesione dei diritti dei lavoratori mi pare davvero eccessivo.
quanto ai toni delle mie risposte non replico, perché tu hai il potere di interpretarli come più ti aggrada e io non ho alcun potere. è ovvio che non si può discutere se non si è a parità di condizioni.Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullita' del licenziamento perche' discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perche' riconducibile ad altri casi di nullita' previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perche' intimato in forma orale.
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresi' il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullita', stabilendo a tal fine un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potra' essere inferiore a cinque mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non e' assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennita' deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria non puo' essere superiore a dodici mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita' lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attivita' lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravita' della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi e' anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneita' fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e' stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Puo' altresi' applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennita' tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti.
Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unita' lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purche' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita', con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Ritengo intollerabile questo tipo di censura. Io ritengo che affermare che possa passare la voglia di replicare quando la tua controparte si confronta parlando di tutt'altro, sia un'affermazione educata e cortese. Se il suo senso non ti garba, non ti è consentito censurare, perché le modalità sono più che cortesi e rispettano il regolamento.
Mi dispiace ma ti sbagli proprio di gran lunga quanto alla reintegra: non è sparita proprio per niente dal nostro ordinamento giuslavoristico, ed è evidente che non hai letto quello che ho scritto, che non è un'opinione ma sono norme ed è evidente che non hai letto le norme che ho cercato di riepilogare sopra. Non sono mai riuscito a discutere con chi prevarica in questo modo. La censura, fatta così, è il modo più semplice per sbarazzarsi di chi non è delle propria opinione, da migliaia di anni.
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Francamente io posso comprendere che ad un certo, punto, uno abbia voglia di rinunciare a scrivere, quando si parla di cose X e ci si vede rispondere con Y.
Giurista, io ho l'impressione, ma posso sbagliarmi, che tu abbia una formazione fondamentalmente penalistica, perché spesso tiri in ballo i profili penali nelle questioni civili. Teoricamente tutto si può fare, ma un avvocato civilista che frequenta i tribunali sa benissimo che il penale è proprio l'ultima cosa da tirare in ballo, complica le cose, le allungo, incasina il cliente, indispettisce il giudice e la controparte. Io, che sono un civilista, lo so e mi attengo rigidamente a questa regola.
Ho solo due cose da dire:-
non è vero che il datore di lavoro soccombente in un giudizio sulla legittimità del licenziamento sia costretto a riprendersi il lavoratore a lavorare: potete girarci intorno quanto volete, citare articoli di giornale (che nulla dicono a proposito di questo discorso) e citarmi norma (che non contengono la previsione di cui stiamo discutendo): non è vero, non è vero e non è vero. Insistere significa perseverare nell'errore. Il datore di lavoro pagherà, pagherà le retribuzioni medio tempore maturate, MA NESSUNO NELL'ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO LO PUò COSTRINGERE AL FATTO MATERIALE DI CONSENTIRE L'INGRESSO DEL LAVORATORE IN AZIENDA. E non c'è storia su questa affermazione.
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l'affermazione che oggi la tutela del reintegro (sempre con le precisazioni fatte sopra) sia scomparsa è ancora una volta un'affermazione scorretta: leggete il nuovo testo dell'art. 18. Sono state fatte delle distinzioni tra i licenziamenti, nel senso che a seconda delle motivazioni che sorreggono il licenziamento vengono applicate tutele diverse e solo in una ipotesi si è tolto il reintegro per sostituirlo tout court con una monetizzazione. Proviamo a fare ordine leggendo le norme e non i quotidiani, quanto alle conseguenze della illegittimità dei licenziamenti:
per il licenziamento discriminatorio e verbale, la reintegra non sparisce
per il licenziamento per giusta causa, la reintegra non sparisce
per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la reintegra non sparisce a meno che il giudice il giudice ritenga il motivo sì insussistente, ma non manifestamente infondato, nel qual caso c'è solo la monetizzazione. La norma, comunque, è così interpretabile che gli autori si sono già divisi in tre posizioni diverse: secondo alcuni, spetterebbe la reintegrazione soltanto in caso di licenziamento pretestuoso, e cioè in caso di manifesta insussitenza del fatto; secondo altri, invece, la reintegrazione spetterebbe anche in ipotesi di mancanza del nesso di causalità tra fatto e licenziamento; infine, secondo altri autori, si dovrebbe dare luogo alla reintegrazione anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto all’obbligo di repechage.
Senza stare a discutere di tutti i casi in cui il giudice può liberamente interpretare un licenziamento facendoli rientrare in un caso o nell'altro così da poter applicare la tutela che preferisce, io mi domando, ma dove è stato letto che la tutela della reintegra sia sparita? io penso sui giornali, che siccome sono schierati, hanno preferito leggerla così. MA NON é VERO. -
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Criceto, io non ho mai seguito una discussione in cui Lei sia stato "redarguito" quindi non posso né sostenerla né opporla.
Io ho chiesto scusa perché la mia risposta è stata percepita da Zeta_1 come effensiva, questo non significa che io abbia ammesso la mia intenzione di offendere, perché non è così.
Ognuno di noi può leggere il tono che preferisce negli scritti altrui. Resta tutto da dimostrare che invitare a non leggere un quotidiano per non fare brutte figure sia una scortesia. Io ho incalzato con domande scomode, certo, ma non avevo intenzione di "annientare" nessuno. Per rispetto della moderatrice, però, aderisco al suo invito, mi pare una cosa ovvia e doverosa. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Giurista,
se il "tono" ha offeso, non posso che porgere le mie scuse a Zeta_1.
Quanto al fatto che il Giudice possa costringere al reintegro, se mi portate un solo caso di forza pubblica che su ordine del giudice ha portato un lavoratore reintegrato in azienda costringendo il datore a riprenderselo dentro a lavorare, chiederò venia pubblicamente. Ma non lo troverete, perché non è consentito. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Le rispondo proprio di sì: anche quei quotidiani fanno fare brutte figure, come la maggior parte. I giornalisti, e Lei lo saprà, non sono tecnici del diritto. Leggo quotidianamente articoli agghiaccianti, che fraintendono gravemente i contenuti delle norme e delle sentenze.
Prendiamo solo l'ultimo articolo, quello del corriere. Ma Lei lo ha letto? ma mi sa dire che cosa viene scritto in quell'articolo a proposito della legittimità o meno di licenziamenti? di come questi funzionano? a quali condizioni e con quali procedure?
Io leggo solo, tra cose scritte in modo molto improprio, che dei lavoratori sono stati costretti a firmare un questionario che avrebbe poi certificato contratti di associazione in partecipazione pena il licenziamento. Ma che cosa vuol dire?! e quindi? e chi lo dice (prima di tutto)? e chi dice che poi qual licenziamento non sarebbe risultato illegittimo?
Ma questo non è modo di fare (e riportare) notizia. La prego. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Non mi pare di essere stato aggressivo. Forse quello che ho scritto non Le ha fatto piacere, ma non può dire che fosse aggressivo.
Io non ho alcuna intenzione, come Lei afferma, di annientare chi ha una visione diversa dalla mia, la mia intenzione è smontare la strumentalizzazione che si fa (sempre di colore politico) a proposito delle norme che non piacciono. Se Lei pensa che la mia intenzione è quella di annientarLa (che che termini esagerati!) si tratta di una Sua opinione che non corrisponde ai fatti.
Quanto al merito, e velocemente: Lei forse dimentica che nel nostro ordinamento giuridico non esiste mai la possibilità di costringere qualcuno a fare qualcosa materialmente (nemo ad factum cogi potest). Tutt'al più il colpevole dell'inadempimento verrà condannato ad un risarcimento economico (o in alcuni casi l'azione si farà a spese dell'inadempiente). E questo è esattamente il caso del rapporto datore di lavoro/lavoratore e di una parte del dibattito sull'art. 18 ai tempi in cui la legge fu scritta. Se il datore di lavoro non vuole quel lavoratore, Le assicuro che non lo reintegrerà, nessuno lo può costringere, nessun carabiniere può portare il lavoratore in azienda e costringere il datore di lavoro a farlo entrare a lavorare. Il datore lo continuerà a pagare, ma non lo reintegrerà. Se non siamo d'accordo su questo, allora non possiamo confrontarci, perché Lei esprime un'opinione di dissenso rispetto a un meccanismo giuridico che in realtà non conosce. Il nuovo articolo 18 è molto complicato nel suo testo, opera molte distinzioni a seconda di quali sono le motivazioni poste a base del licenziamento e tante di queste distinzioni non sono nemmeno chiare. Ma fondamentalmente non agevola proprio per nulla i licenziamenti rispetto al vecchio articolo 18: e allora di cosa stiamo parlando?
Per quello che Le suggerivo di non leggere il fatto quotidiano: legga piuttosto il nuovo testo dell'art. 18 e lo confronti con il vecchio. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Zeta_1 si è sempre pototuto liberarsi di una persona scomoda semplicemente pagando e ieri si pagava meno di oggi, questo Lei non lo sapeva?
Nessuno, nemmeno il Giudice, può costringere l'azienda a riprendersi il lavoratore: se l'azienda non lo voleva pagava 15 mensilità invece della reintegra. Lei questo lo sapeva? Oggi ne paga di più, Lei questo lo sapeva?Non legga il fatto quotidiano: le trasmettono notizie con cui Le fanno fare proprio delle brutte figure.
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Capisco Giurista.
Me lo domandavo solo perché avevi scritto "liberarsi a buon mercato" e la Riforma Fornero tutto fa tranne che consentire alle aziende di liberarsi a buon mercato dei lavoratori. Quanto al fatto che in Italia chi critica sia spesso all'oscuro dei contenuti criticati lo ribadisco: si è urlato allo stupro dell'art. 18 compiuto dalla Riforma Fornero. Ebbene, niente di più falso. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Sì certo, le critiche appunto, non i contenuti della Riforma, che come al solito, in Italia, sono totalmente ignoti a chi critica. Ti chiedevo lumi proprio per capire come mai ti fossi fatta quella opinione, dato che non è assolutamente vero, anzi, le aziende oggi rischiano di pagare anche qualcosa di più per licenziare. pensa un po'!
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Giurista, scusa, in che senso oggi la Riforma Fornere consente alle aziende di liberarsi a buon mercato?
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
No sig. aleroot, non dico quello. Dico solo che, se io fossi in Lei e dovessi agire, mi rivolgerei sicuramente ad un legale diverso da quelli del sindacato (e in generale non mi rivolgerei allo strutture sindacali) e mi rivolgerei, in modo specifico, ad un legale esperto di diritto del lavoro. mi pare di leggere che lei si trovi ad albenga. consulti il sito AGI, avvocati giuslavoristi italiani, nella sezione SOCI, per fare una ricerca su base territoriale degli avvocati giuslavoristi a lei più vicini. L'AGI è l'unica associazione italiana riconosciuta anche a livello governativo che riunisce gli avvocati specializzati in diritto del lavoro.
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RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Sarebbe meglio rivolgersi ad un avvocato specializzato in diritto del lavoro, ma comprendo che il costo richiesto dal sindacato sia esiguo rispetto all'onorario del legale: scelga lei, a suo rischio e pericolo!
Ad ogni modo confermo e Le dico di più: impugnando la sanzione attraverso l'apposita procedura prevista dallo Statuto dei Lavoratori la sanzione stessa resterà sospesa e non potranno applicargliela fino alla definizione del procedimento. -
RE: Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
Ti do un consiglio che deve ispirare tutta la tua condotta: ricordati che l'onere di provare i fatti di cui sei accusato incombe tutto sul datore di lavoro. La prima cosa da fare è NEGARE i fatti di cui sei accusato. Se non puoi negarli, perché sono stati commessi, difenditi adducendo giustificazioni rispondenti a buona fede e comunque non lasciarti tentare dall'aggiungere nuovi fatti. E lascia perdere calunnie, richieste di risarcimento e azioni che possano soddisfare il tuo senso di rivalsa: non ne vale la pena in termini di tempo, costi e non da ultimo possibilità di vittoria.