- Home
- Categorie
- Impresa, Fisco e Leggi
- Consulenza Legale
- Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
-
Credo che il suo intervento aggressivo e spropositato, attaccando un link non nel contenuto, ma semplicemente nel mezzo, sia completamente fuoriluogo e non di certo costruttivo.
Prima della riforma era il dipendente che aveva la scelta, e non l'obbligo, di rinunciare al posto (dopo un ingiusto licenziamento) in cambio delle mensilità. Inoltre un giudice PUO' costringere l'azienda a riprendersi i lavoratori, pensiamo alle recenti sentenze di reintegro per licenziamento discriminatorio.e se siamo in un forum e per confronto, non per cercare di annientare chi ha una visione diversa delle cose.
-
e visto che il "mezzo" (non i contenuti!) contano a fini della vericidità o meno di una notizia, immagino che anche Repubblica e Il Giornale facciano fare brutte figure
repubblica.it/economia/2012/09/06/news/legge_fornero_primo_caso_alla_huawei_la_cgil_licenziati_per_motivi_economici-42072634/
ilgiornale.it/news/economia/nuovo-articolo-18-piace-ai-cinesi-huawei-835100.htmlOppure, il corriere che parla di un altro episodio "Il caso è deflagrato perché Poltronesofà - dice la Cgil - avrebbe licenziato tre lavoratrici di Torino che non avrebbero accettato il «ricatto della certificazione», apponendo la loro firma su delle condizioni evidentemente ritenute fittizie."
A me le forzature di aziende e governi per vanificare i diritti dei lavoratori mi sembrano evidenti.
-
Non mi pare di essere stato aggressivo. Forse quello che ho scritto non Le ha fatto piacere, ma non può dire che fosse aggressivo.
Io non ho alcuna intenzione, come Lei afferma, di annientare chi ha una visione diversa dalla mia, la mia intenzione è smontare la strumentalizzazione che si fa (sempre di colore politico) a proposito delle norme che non piacciono. Se Lei pensa che la mia intenzione è quella di annientarLa (che che termini esagerati!) si tratta di una Sua opinione che non corrisponde ai fatti.
Quanto al merito, e velocemente: Lei forse dimentica che nel nostro ordinamento giuridico non esiste mai la possibilità di costringere qualcuno a fare qualcosa materialmente (nemo ad factum cogi potest). Tutt'al più il colpevole dell'inadempimento verrà condannato ad un risarcimento economico (o in alcuni casi l'azione si farà a spese dell'inadempiente). E questo è esattamente il caso del rapporto datore di lavoro/lavoratore e di una parte del dibattito sull'art. 18 ai tempi in cui la legge fu scritta. Se il datore di lavoro non vuole quel lavoratore, Le assicuro che non lo reintegrerà, nessuno lo può costringere, nessun carabiniere può portare il lavoratore in azienda e costringere il datore di lavoro a farlo entrare a lavorare. Il datore lo continuerà a pagare, ma non lo reintegrerà. Se non siamo d'accordo su questo, allora non possiamo confrontarci, perché Lei esprime un'opinione di dissenso rispetto a un meccanismo giuridico che in realtà non conosce. Il nuovo articolo 18 è molto complicato nel suo testo, opera molte distinzioni a seconda di quali sono le motivazioni poste a base del licenziamento e tante di queste distinzioni non sono nemmeno chiare. Ma fondamentalmente non agevola proprio per nulla i licenziamenti rispetto al vecchio articolo 18: e allora di cosa stiamo parlando?
Per quello che Le suggerivo di non leggere il fatto quotidiano: legga piuttosto il nuovo testo dell'art. 18 e lo confronti con il vecchio.
-
Collega, a me sembra tanto, viceversa, che per aziende al di sopra dei 15 dipendenti in caso di licenziamento illegittimo vi era obbligo di reintegro...nessuna scelta. Oggi, per le più importanti fattispecie, il giudice "può".
Inoltre, in qualità di moderatrice del forum ti ricordo il principio cui si attiene questo forum che puoi trovare enunciato nel regolamento da te accettato, la cordialità e la pacatezza
**4.6. La cordialità è alla base del Forum gt.
**Pertanto non trovo giustificabile in tono in cui ti sei rivolto ad altro utente.
La replica nel Forum non è una gara tra chi è il più bravo o possiede maggiori informazioni, ma uno scambio ed un confronto sulle stesse.
Ricordiamo sempre le parole di Einstein: " Fossi pagato un cent per ogni cosa che non so mi comprerei l'universo".
-
Le rispondo proprio di sì: anche quei quotidiani fanno fare brutte figure, come la maggior parte. I giornalisti, e Lei lo saprà, non sono tecnici del diritto. Leggo quotidianamente articoli agghiaccianti, che fraintendono gravemente i contenuti delle norme e delle sentenze.
Prendiamo solo l'ultimo articolo, quello del corriere. Ma Lei lo ha letto? ma mi sa dire che cosa viene scritto in quell'articolo a proposito della legittimità o meno di licenziamenti? di come questi funzionano? a quali condizioni e con quali procedure?
Io leggo solo, tra cose scritte in modo molto improprio, che dei lavoratori sono stati costretti a firmare un questionario che avrebbe poi certificato contratti di associazione in partecipazione pena il licenziamento. Ma che cosa vuol dire?! e quindi? e chi lo dice (prima di tutto)? e chi dice che poi qual licenziamento non sarebbe risultato illegittimo?
Ma questo non è modo di fare (e riportare) notizia. La prego.
-
Purtroppo non è così semplice trovare il testo pre riforma a meno che di non averlo a casa. Io comunque mi ricordo che non era possibile liquidare un dipendente pagando le mensilità, era obbligatorio il reintegro (e quindi continuare a pagare lo stipendio), a meno che il dipendente non scegliesse diversamente.
intrage.it/rubriche/lavoro/licenziamenti/modificaart.18statuto/index.shtml
"[...]
L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300) si applica solo alle aziende con almeno 15 dipendenti e afferma che il licenziamento è valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo.
In assenza di questi presupposti, il lavoratore può fare ricorso.
Prima della Riforma del lavoro del 2012, il giudice - una volta riconosciuta l'illegittimità dell'atto di licenziamento - era obbligato ad ordinare la **reintegrazione **del ricorrente nel posto di lavoro e il risarcimento degli stipendi non percepiti, oltre che il mantenimento del medesimo posto che occupava prima del licenziamento. In alternativa, il dipendente poteva accettare un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultimo stipendio, o un'indennità crescente con l'anzianità di servizio.[...]Ora invece è solo una possibilità, non un obbligo.
Inoltre, non necessariamente le critiche mosse alla riforma sono di un colore politico (che è un modo per delegittimare un opinione). Credo che sia semplice buonsenso avere opinioni a riguardo, senza ricorrere alla politica.
-
Giurista,
se il "tono" ha offeso, non posso che porgere le mie scuse a Zeta_1.
Quanto al fatto che il Giudice possa costringere al reintegro, se mi portate un solo caso di forza pubblica che su ordine del giudice ha portato un lavoratore reintegrato in azienda costringendo il datore a riprenderselo dentro a lavorare, chiederò venia pubblicamente. Ma non lo troverete, perché non è consentito.
-
@Avvocato_del_Lavoro said:
Giurista,
se il "tono" ha offeso, non posso che porgere le mie scuse a Zeta_1.
Quanto al fatto che il Giudice possa costringere al reintegro, se mi portate un solo caso di forza pubblica che su ordine del giudice ha portato un lavoratore reintegrato in azienda costringendo il datore a riprenderselo dentro a lavorare, chiederò venia pubblicamente. Ma non lo troverete, perché non è consentito."Fiat dovrà reintegrare i 3 licenziati"
repubblica.it/economia/2012/02/23/news/fiat_melfi_i_3_licenziati_vincono_il_ricorso-30383344/
qn.quotidiano.net/cronaca/2012/02/23/672082-fiat_sconfitta_reintegro_operai_melfi.shtml
-
Criceto, io non ho mai seguito una discussione in cui Lei sia stato "redarguito" quindi non posso né sostenerla né opporla.
Io ho chiesto scusa perché la mia risposta è stata percepita da Zeta_1 come effensiva, questo non significa che io abbia ammesso la mia intenzione di offendere, perché non è così.
Ognuno di noi può leggere il tono che preferisce negli scritti altrui. Resta tutto da dimostrare che invitare a non leggere un quotidiano per non fare brutte figure sia una scortesia. Io ho incalzato con domande scomode, certo, ma non avevo intenzione di "annientare" nessuno. Per rispetto della moderatrice, però, aderisco al suo invito, mi pare una cosa ovvia e doverosa.
-
Caro Criceto! Che ti pensi che stiamo qui a pettinare le bambole?
A parte lo scherzo, il thread lo stiamo seguendo e non mi sembra il caso di intervenire anche perchè è egregiamente intervenuta la moderatrice.
Se posso dire la mia sulla vicenda, è naturale che se il discorso verte sulla riforma Fornero dell'art 18 alla fin fine si è influenzati dalle proprie idee politiche, che bene o male si percepiscono, anche leggendo i link ai singoli giornali proposti. Non ci trovo niente di male se si rimane sul tecnico e se si cerca di analizzare, anche con il contributo di esperti, i contenuti di questa riforma. Vi raccomando però di non scendere a livello della propaganda politica (condizione invero non ancora verificatasi), altrimenti saremo costretti ad applicare il regolamento e ad editare parte dei post.
Quindi, tanta cordialità e continuate così, visto che l'argomento è interessante
-
Criceto, a meno che non si leggano insulti espliciti, io CON TUTTI, ricordo il regolamento.
Può capitare, a volte, di scrivere periodi che, letti, suonino diversamente rispetto alle intenzioni dell'autore.Avvocato del Lavoro
Non è una questione di carabinieri che accompagnano il lavoratore, ma del datore di lavoro che, non ottemperando all'ordine del Giudice, tra le altre cose, commette il reato ex art. 388 cp.
IL "vecchio" art. 18 così recitava:
"Art. 18:[INDENT]Ferma restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (ovvero la procedura di conciliazione, n.d.r.), il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla illicenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo **ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'art. 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma, ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore"****Come puoi ben notare, Avvocato_del_lavoro, si prevedeva l'ordine di reintegro sulla scorta della nullità del licenziamento (nullità assoluta).
La non ottemperanza causava un risarcimento onerosissimo (in pratica pagavi il lavoratore anche se egli rimaneva a casa perchè gli impedivi di entrare ) e, come ho detto, ad abundantiam, si commetteva un reato.
Oggi, questa tutela, con la nuova formulazione, è scomparsa ed è indubbia la lesione del diritto del lavoratore.(scusate il neretto ma non riesco a toglierlo!)
**[/INDENT]
-
Caro Criceto, riguardo alla sospensione (ban a tempo?) sinceramente non ricordo nulla, non so nemmeno se te l'ho data io o qualcun altro; posso solo affermare che ora sei stimato da tutto lo staff direttivo del forum (credo che comunque tu lo sappia: a proposito... ;)...). La mia frase rivolta a te completata con l'emoticon del sorriso voleva far capire che ciò che avrei detto successivamente non era un appunto nei tuoi confronti, ma un modo per stemperare eventuali attriti e far riprendere serenamente la discussione.
Quindi, tranquillo che è tutto OK.
-
Francamente io posso comprendere che ad un certo, punto, uno abbia voglia di rinunciare a scrivere, quando si parla di cose X e ci si vede rispondere con Y.
Giurista, io ho l'impressione, ma posso sbagliarmi, che tu abbia una formazione fondamentalmente penalistica, perché spesso tiri in ballo i profili penali nelle questioni civili. Teoricamente tutto si può fare, ma un avvocato civilista che frequenta i tribunali sa benissimo che il penale è proprio l'ultima cosa da tirare in ballo, complica le cose, le allungo, incasina il cliente, indispettisce il giudice e la controparte. Io, che sono un civilista, lo so e mi attengo rigidamente a questa regola.
Ho solo due cose da dire:-
non è vero che il datore di lavoro soccombente in un giudizio sulla legittimità del licenziamento sia costretto a riprendersi il lavoratore a lavorare: potete girarci intorno quanto volete, citare articoli di giornale (che nulla dicono a proposito di questo discorso) e citarmi norma (che non contengono la previsione di cui stiamo discutendo): non è vero, non è vero e non è vero. Insistere significa perseverare nell'errore. Il datore di lavoro pagherà, pagherà le retribuzioni medio tempore maturate, MA NESSUNO NELL'ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO LO PUò COSTRINGERE AL FATTO MATERIALE DI CONSENTIRE L'INGRESSO DEL LAVORATORE IN AZIENDA. E non c'è storia su questa affermazione.
-
l'affermazione che oggi la tutela del reintegro (sempre con le precisazioni fatte sopra) sia scomparsa è ancora una volta un'affermazione scorretta: leggete il nuovo testo dell'art. 18. Sono state fatte delle distinzioni tra i licenziamenti, nel senso che a seconda delle motivazioni che sorreggono il licenziamento vengono applicate tutele diverse e solo in una ipotesi si è tolto il reintegro per sostituirlo tout court con una monetizzazione. Proviamo a fare ordine leggendo le norme e non i quotidiani, quanto alle conseguenze della illegittimità dei licenziamenti:
per il licenziamento discriminatorio e verbale, la reintegra non sparisce
per il licenziamento per giusta causa, la reintegra non sparisce
per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la reintegra non sparisce a meno che il giudice il giudice ritenga il motivo sì insussistente, ma non manifestamente infondato, nel qual caso c'è solo la monetizzazione. La norma, comunque, è così interpretabile che gli autori si sono già divisi in tre posizioni diverse: secondo alcuni, spetterebbe la reintegrazione soltanto in caso di licenziamento pretestuoso, e cioè in caso di manifesta insussitenza del fatto; secondo altri, invece, la reintegrazione spetterebbe anche in ipotesi di mancanza del nesso di causalità tra fatto e licenziamento; infine, secondo altri autori, si dovrebbe dare luogo alla reintegrazione anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto all’obbligo di repechage.
Senza stare a discutere di tutti i casi in cui il giudice può liberamente interpretare un licenziamento facendoli rientrare in un caso o nell'altro così da poter applicare la tutela che preferisce, io mi domando, ma dove è stato letto che la tutela della reintegra sia sparita? io penso sui giornali, che siccome sono schierati, hanno preferito leggerla così. MA NON é VERO.
-
-
Avvocato_ del_ Lavoro, verissimo che ho una formazione penalistica. Ciò non significa che una condotta penalmente rilevante non debba essere perseguita.
Peraltro, l'art.388 cp che interessa nel discorso, è una condotta perseguibile d'ufficio. Pertanto sarà obbligo del PM procedere o, a sua volta, commetterebbe il reato di omissione d'atti d'ufficio.
In Italia l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio.Ciò posto il vecchio art.18 recitava testualmente:
"**il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla il **iicenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo **ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro...****Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione...."****MI **sembra che la norma non lasci dubbi ad intgerpretazione alcuna. Se il datore di lavoro non ottempera, pagherà il lavoratore che se ne sta beatamente a casa....Oltre ulteriore danno dovuto all'atto illegittimo nonchè la previsione all'ultimo periodo dove dovrà corrispondere un importo pari alla retribuzione per ogni giorno di ritardo al Fondo adeguamento pensioni.
Questa era la normativa, Avvocato...oggi nel licenziamento senza giusta causa la norma prevede un "può"....Mi sembra che la differenza sia più che palese.
Tu insisti sui giornali...non ho citato il commento di un giornale, ma la vecchia normativa.
Ti chiederei cortesemente di evitare di replicare con affermazioni del tenore: "Francamente io posso comprendere che ad un certo, punto, uno abbia voglia di rinunciare a scrivere, quando si parla di cose X e ci si vede rispondere con Y."
Premesso che nessuno ti obbliga a scrivere, io ti ho citato la norma in discorso tu opinioni personali circa il fatto che nella precedente disciplina non erano scritte parole che si possono vedere nero su bianco ossia l'ordine di reintegro senza alternativa.In ogni caso, visto il precedente avvertimento, atteso che con la frase citata pare tu non abbia ben compreso il mio invito alla cordialità, ti avverto che ulteriori frasi di questo genere non saranno tollerate.
-
Ritengo intollerabile questo tipo di censura. Io ritengo che affermare che possa passare la voglia di replicare quando la tua controparte si confronta parlando di tutt'altro, sia un'affermazione educata e cortese. Se il suo senso non ti garba, non ti è consentito censurare, perché le modalità sono più che cortesi e rispettano il regolamento.
Mi dispiace ma ti sbagli proprio di gran lunga quanto alla reintegra: non è sparita proprio per niente dal nostro ordinamento giuslavoristico, ed è evidente che non hai letto quello che ho scritto, che non è un'opinione ma sono norme ed è evidente che non hai letto le norme che ho cercato di riepilogare sopra. Non sono mai riuscito a discutere con chi prevarica in questo modo. La censura, fatta così, è il modo più semplice per sbarazzarsi di chi non è delle propria opinione, da migliaia di anni.
-
Sono spiacente. Ma più che citarti la norma io non posso fare.
Prima era previsto il reintegro. Se non facevi entrare il lavoratore dovevi retribuirlo comunque come se lavorasse ed il rapporto di lavoro rimaneva in essere senza risolversi, oltre altre sanzioni.
Oggi, il novellato art. 18 in caso di licenziamento SENZA GIUSTA CAUSA prevede un "può ordinare il reintegro" in alternativa paga delle mensilità ed il rapporto di lavoro si risolve.
La differenza credo sia più che palese.Circa le tue doglianze:
In questo Forum non sono ammesse frasi come quelle che tu scrivi che invitano a tutto eccetto che alla cordialità.
Come ha evidenziato Criceto lui si prese un b an per aver scritto "Basta mi arrendo".
L'argomento è l'art. 18; ti è stato replicato sull'art. 18, personalmente, addirittura citando la norma. Di talchè dire che l'interlocutore "parla di tutt'altro" sì da far passare la voglia di scrivere in primo luogo è falso ed in secondo luogo è offensivo.
Ciò posto nessuno ti obbliga a scrivere o quant'altro ma, se lo farai, evita questo genere di frasi. Laddove ti passi la voglia di replicare perchè ritieni che l'interlocutore non abbia centrato il punto limitati a non replicare senza sottolineare altro.Io non prevarico affatto e mi spiace che tu non abbia capito la portata del mio invito alla cortesia ed alla pacatezza di toni ed espressioni.
-
riporto il testo del nuovo articolo 18, tratta dalla banca dati DeJure, di modo da avere la certezza di essere di fronte al testo vigente.
così sarà chiaro che nella maggior parte delle ipotesi di licenziamento la reintegra non è sparita: e in quelle in cui è sparita, considerate residuali, le interpretazioni sono, ad oggi, quelle che ho indicato qualche post fa. di fronte a ciò, parlare di lesione dei diritti dei lavoratori mi pare davvero eccessivo.
quanto ai toni delle mie risposte non replico, perché tu hai il potere di interpretarli come più ti aggrada e io non ho alcun potere. è ovvio che non si può discutere se non si è a parità di condizioni.Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullita' del licenziamento perche' discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perche' riconducibile ad altri casi di nullita' previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perche' intimato in forma orale.
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresi' il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullita', stabilendo a tal fine un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potra' essere inferiore a cinque mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non e' assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennita' deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria non puo' essere superiore a dodici mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita' lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attivita' lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravita' della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi e' anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneita' fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e' stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Puo' altresi' applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennita' tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti.
Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unita' lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purche' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita', con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.
-
Avvocato...porto ad esempio una sola delle previsioni che di dimostrano quanto sia venuta meno la tutela del laviratore rispetto a prima:
"...Il giudice, *nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro *, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto"Lo vedi che parla di una condanna al pagamento di una sanzione invece che l'ordine di reintegro come era previsto prima? In sintesi, se uno ti licenzia adducendo un qualsiasi motivo (troppe malattie per es.), pagherà una sanzione!
Il vecchio art. 18 prevedeva SEMPRE la tutela del reintegro. Direi che la differenza è findamentale.