• User Attivo

    Anche l'operaio vuole il figlio dottore

    Sono stati molto rari sino ad ora i momenti di similitudine dell'Onda con il movimento del '68, aldilà del manifestare e della lotta studentesca.

    Nessuna bandiera rossa, politicizzazione inesistente, nessuna violenza e saccheggio autonomo e tanta voglia di studiare.

    Ho letto però più volte uno slogan "anche l'operaio vuole il figlio dottore" che è una frase contenuta in una vecchia canzone-mito sessantottarda; contessa.

    Questa mi ha fatto molto pensare ed è con voi che intendo condividere queste riflessioni.

    Il diritto allo studio del proletariato era negato dalla piccola e media borghesia degli anni '60 e si considerava immorale che un figlio d'operai potesse studiare, elevare la propria cultura e forse pure la propria posizione sociale.

    Il movimento studentesco del '68 era invece per l'ampliamento della cultura alle masse, così da dare loro gli elementi per una loro emancipazione sociale portando non solo i figli degli operai nelle università, ma pure la cultura e lo studio nelle fabbriche.

    Il risultato fu che a tanti figli di operai venne concesso di divenire dottore, ma ben presto la cosa degenerò uscendo dal concetto di cultura e perdendosi nei 18 politici, che affossarono il movimento portando a bui periodi.

    Ci si ritrovò quindi con tanti figli di operai laureati e ignoranti, privi di cultura e di fatto non emanciapti, e per questo manipolabili a piacere da mass media ed imbonitori e miti vari.

    Questo portò ad una crisi del concetto di Laurea, con migliaia di laureati disoccupati o sottoccupati e contemporaneamente un calo nei nuovi laureati stessi, con sempre più persone nei posti di comando e di governo privi di laurea.

    Questo ripresentarsi come slogan del "anche l'operaio vuole il figlio dottore" mi è sembrato come contenere tutti questi aspetti riproponendo quello che era l'indirizzo iniziale di "diritto allo studio per tutti", ma che fosse chiaro per chi lo proponeva che stavolta tocca studiare ed emanciparsi per davvero.


  • Super User

    @fabysnet said:

    Il risultato fu che a tanti figli di operai venne concesso di divenire dottore, ma ben presto la cosa degenerò uscendo dal concetto di cultura e perdendosi nei 18 politici, che affossarono il movimento portando a bui periodi.

    Ci si ritrovò quindi con tanti figli di operai laureati e ignoranti, privi di cultura e di fatto non emanciapti, e per questo manipolabili a piacere da mass media ed imbonitori e miti vari.

    Questo portò ad una crisi del concetto di Laurea, con migliaia di laureati disoccupati o sottoccupati e contemporaneamente un calo nei nuovi laureati stessi, con sempre più persone nei posti di comando e di governo privi di laurea.

    Ciao fabysnet,
    puoi specificarmi meglio questo passaggio logico da cui parti?
    Lo dai per scontato e mi piacerebbe informarmi per approfondirlo.

    Da quanto ho capito dalle tue premesse, infatti, i 18 politici furono appannaggio della classe operaia una volta affacciatasi al mondo universitario e non un problema più generale che investiva tutta la società, comprendendo quindi anche le classi borghesi?

    Non è una provocazione ma solo bisogno di comprendere le basi su cui ti poggi per poi ragionare insieme.
    :gthi:


  • User Attivo

    Si, hai ragione, centrando il discorso sullo slogan preso da allora e ripetuto in questi giorni ho fatto un'analisi e commenti sbrigativi e rozzi, e privi di riscontri.

    In effetti è un discorso un pò complesso e non semplice da dimostrare in caso di contestazione, così come non di facile reperibilità sono i riscontri.
    Mi limito quindi a cercare di spiegare il mio particolare punto di vista 😉

    I ragazzi del 68, nel 1968, erano prettamente appartenenti alla borghesia, piccola e media, ed inizialmente si battevano contro il nozionismo e sistemi d'insegnamento che consideravano superati ed inefficaci.
    Erano figli di dirigenti, professionisti e di industriali ai quali serviva un maggiore livello di conoscenza per meglio espriemere la loro mission di vita.

    A questo tipo di persone non serviva il 18 politico, che non è con quello che potevano far progredire le loro fabbrichette o far crescere gli studi professionali dei loro genitori.
    Questo fu inventato da chi aveva già deciso che la laurea gli sarebbe servita a nulla se non come titolo in sé o al peggio per non andare nei militari e questi appartenevano quasi sempre come origini al proletariato o al sottoproletariato che diede poi vita a metà degli anni '70 al fenomeno degli autonomi.
    Loro confusero/scambiarono il concetto di "cultura di massa" con "titolo di massa" dove si spingeva al livellamento-annullamento dei valori e meriti ed appunto dei titoli.
    **Non ho studiato, non so nulla, ma devo contare/valere come te. Il tuo merito del tuo 30 e lode non vale di più del mio 18 politico; dobbiamo poter contare ed essere uguali. **


  • Super User

    Ciao fabysnet,
    sempre seguendo il percorso del tuo ragionamento ...
    L'evoluzione sociale e culturale ha fatto si che, in quegli anni, cambiassero i bisogni e quindi le richieste; nella fattispecie: La domanda di cultura.
    La borghesia cerca, quindi, di salire un gradino culturale e così facendo lascia libero quello che prima le apparteneva. Il ceto operaio ne approfitta.

    Fin qui nessun problema, seppur preferirei parlare di gradi/livelli o di bisogni come hai messo tu in evidenza (fabbrichette e studi professionali) più che di classi e ceti poichè le linee di demarcazione tendono, secondo me, qui a confondersi parecchio.
    Questo appena descritto è l'esempio classico di un movimento, di una normale evoluzione. Ci vuole il giusto tempo perchè le posizioni si ristabilizzino e ognuno prenda possesso del nuovo posto.
    Normale anche che, nelle more della transizione, ci sia chi cerca di trarne profitto e chi, invece, di dare il buon esempio.

    In quest'altra discussione ed anche in questa, si è trattato un po' della stessa problematica di fondo, e cioè, sempre a mio parere: Cercare di far riscoprire alle persone la possibilità e la capacità di un'ampia visuale.
    In questo senso comprendo bene il tuo: "stavolta tocca studiare ed emanciparsi per davvero" :gthi:


  • Super User

    Mi è piaciuta molto l'analisi e condivido.

    Era dunque una delle evidenze che il concetto di uguaglianza a tutti i costi di quel movimento di sinistra non era e non è possibile.... sicuramente non all'arrivo e reputo neppure alla partenza.

    Paolo


  • Super User

    Oggi sto avendo la possibilità di partecipare ad argomenti profondissimi :). Ne sono davvero lieta.

    Personalmente, credo che la vera giustizia stia nel dare risalto, ascolto, attenzione, importanza e tutela (accoglimento) alla realtà, intesa come sostanza, essenza, tutto cio che è insomma contrario e opposto all'apparenza.

    Non si nasce uguali ma ... ugualmente si deve poter crescere.
    Il superfluo è sicuramente una scelta (ognuna, tanto, ha le sue conseguenze), ma la garanzia del necessario dovrebbe essere assicurata e modernizzata a mio parere.
    :ciauz:


  • Super User

    Ma allora ti pongo io la domanda: quale è il livello di tale garanzie ?? Cosa è necessario ??

    Il mondo occidentale ha idee molto differenziate sul livello di garanzie da offrire ai propri cittadini (per non dire dei metodi per arrivarci).

    Superiamo poi per un momento quanto scritto nella costituzione. Tutti hanno diritto al lavoro. Tralasciamo la disoccupazione fisiologica e pensiamola grigia.... pensiamo ad uno stato in situzione prefallimentare... alla semi bancarotta.... lo stato dovrebbe comunque spendere e spandere quello che non ha, per garantire il lavoro con la spesa pubblica che lo sta facendo fallire, in un circolo vizioso verso il baratro?????

    Vedo una empasse.

    Paolo


  • Super User

    Intuisco quello che vuoi dire.
    Il punto è che ci comprendiamo bene nella partenza, seppur nelle normali diversitudini, credo anche nell'aspettativa di arrivo, meno sul modo/metodo/base per procedere.
    E questo è dato dai valori, presumo leggermente differenti, su cui fondiamo le nostre mosse e azioni.

    Parlare di questo lo vedo utile più come descrizione che confronto 🙂
    Entrambe e molte altre visuali sono necessarie.
    Capisco l'urgenza di cui parli che, specie per chi ricopre determinate cariche e funzioni, assume un aspetto assai diverso se vissuta da *altre *posizioni.
    Però, nella mia personale, ho imparato a procedere per analogia, dal piccolo al grande e viceversa (sulla base di un concetto filosofico per alcuni anche scientifico per altri).
    Su questo e non o non solo in conseguenza di un pensiero politico, sono convinta che nulla cresce sano senza solide basi; che da una base allargata ed a tutti accessibile si può procedere a costruire .. come, nel singolo caso, è giusto discutere. Non con le eccezioni.

    Potrebbe quindi essere un confronto di valori. Il problema ulteriore e che rende impossibile il primo seppur auspicabile (parlo a livello generale) è, secondo me sempre, nella mancanza di chiarezza e di coerenza.
    Torniamo allora allo studio e all'emancipazione :ciauz:


  • User Attivo

    Era dunque una delle evidenze che il concetto di uguaglianza a tutti i costi di quel movimento di sinistra non era e non è possibile. Il Movimento Studentesco che iniziò nel '67 a contestare i metodi di insegnamento ritenendoli inefficaci e superati non era di sinistra, ma di estrazione piccolo borghese, come "piccolo borghesi" erano i loro obiettivi iniziali.

    Il concetto stesso di "cultura di massa" non era altro che una interpretazione dei maggiori pensatori liberisti e "fordisti" che vedevano in una classe operaia colta e preparata uno degli elementi basilari della crescita della produzione, se vogliamo uno strumento per meglio sfruttare gli operai.

    Le degenerazioni successive a mio avviso nulla tolgono al progetto iniziale di quel Movimento Studentesco, abbiamo visto come in mille modi e da mille parti in tanti abbiano fatto il possibile per inquinarne le fonti e gli obiettivi, ovviamente riuscendovi ben presto.
    Che solo ad esempio, il "18 politico" era semplicemente l'esatto contrario di quanto quei giovani stessero cercando.

    Come allora, con l'Onda lo stato nascente del movimento esprime e mostra segnali importantissimi di come viene recepita la società dai nostri giovani in modo schietto e trasparente, da chi è ancora fuori dal mercato produttivo; ignorarli, volerli travisare, cavalcare o peggio inquinare significa perdere una importante occasione di comprendere la loro nuova interpretazione della società e quindi il loro contributo importante al rinnovamento.

    Il mondo occidentale ha idee molto differenziate sul livello di garanzie da offrire ai propri cittadini (per non dire dei metodi per arrivarci). Ma allora ti pongo io la domanda: quale è il livello di tale garanzie ?? Cosa è necessario ??
    E' necessario far funzionare al meglio la società iinanzitutto, poi consentire ai cittadini di dare il loro contributo al meglio, concedendo loro garanzie e tutele, finalizzate alla crescita della società, non al suo sfacelo. Ma il nostro attuale governo ed i partiti dell'opposizione, di fronte a questo disastro odierno non hanno un progetto politico e si guardano bene dall'averlo; essi non vanno oltre ad azioni alla giornata, più o meno condivise od osteggiate.

    A questo governo non interessa per nulla ridurre costi e sprechi, che in altri post vediamo anzi elecati i nuovi e degeneranti abusi e sperperi di questa casta dominante. Abbiamo visto anzi come l'intervento drastico di taglio della spesa per l'istruzione sia solo il risultato di un miope disegno politico; chiudere per sempre il concetto sessantottino (e quindi piccolo borghese e finalizzato alla produzione) della "cultura di massa", in quanto inutile alla società dei mass media. Che a chi comanda oggi non servono operai colti e preparati da meglio sfruttare, ma lobotomizzati da convincere e trascinare a piacere con veline, calciatori e tifo calcistico.
    Altro che cultura.

    Anche l'operaio vuole il figlio dottore mi è sembrato una risposta a questa lobotomizzazione, una vecchia risposta degenerata ed intossicata dai tanti infiltrati di tanti colori che si ripresenta; una società migliore fatta di persone più colte e consapevoli, capaci di dare il loro meglio per la crescita del Paese.


  • Super User

    @fabysnet said:

    A questo governo non interessa per nulla ridurre costi e sprechi, che in altri post vediamo anzi elecati i nuovi e degeneranti abusi e sperperi di questa casta dominante. Abbiamo visto anzi come l'intervento drastico di taglio della spesa per l'istruzione sia solo il risultato di un miope disegno politico; chiudere per sempre il concetto sessantottino (e quindi piccolo borghese e finalizzato alla produzione) della "cultura di massa", in quanto inutile alla società dei mass media. Che a chi comanda oggi non servono operai colti e preparati da meglio sfruttare, ma lobotomizzati da convincere e trascinare a piacere con veline, calciatori e tifo calcistico.
    Altro che cultura.
    .

    Ecco, questo mi sembra mirato, calcolato e grave come sottolinei tu.
    Non però azioni alla giornata ma tutto parte di un disegno più allargato e ben coordinato.

    So che i2m4y non è daccordo e puntualmente smonta questa visione specificando caso per caso 🙂 e dandomi modo, così, di approfondire argomento per argomento.
    Il fatto è che ogni atteggiamento non è di per se significativo. In quanto porta in se tutto e il suo contrario, a seconda di dove ti poni per analizzarlo. Ma l'insieme lo è.
    :gthi:


  • Super User

    Interessante questo topic.

    Che la cantavo anch'io contessa. :giggle:

    Il concetto stesso di "cultura di massa" non era altro che una interpretazione dei maggiori pensatori liberisti e "fordisti" che vedevano in una classe operaia colta e preparata uno degli elementi basilari della crescita della produzione, se vogliamo uno strumento per meglio sfruttare gli operai. Abbiamo qui l'occasione per distinguere due aspetti fondamentali della produzione di ricchezza e profitto, le rendite fondiarie o latifondiste e quelle basate sul moderno capitalismo industriale.

    I grandi (e spesso antichi) proprietari terrieri per produrre derrate alimentari necessitano di mano d'opera di bassissimo livello, priva di istruzione e pretese e da pagare il meno possibile. Gli schiavi insomma.

    All'opposto per far funzionare moderne fabbriche occorre una mano d'opera specializzata, colta e preparata e che ottenga una buona retribuzione. Il concetto stesso di Fordismo, quasi una filosofia negli Stati Uniti, sostiene che ricchezze e profitto possono essere raggiunti pagando alti salari agli operai, permettendo così loro di acquistare in massa la produzione che hanno essi stessi prodotto.
    Il contrasto tra la necessità di questa mano d'opera specializzata, colta e ben pagata degli industriali e quella grezza e di basso livello degli agrari appare in evidente contraddizione e come sappiamo proprio in USA ha portato ad una guerra civile tra il nord industriale ed il sud latifondista.

    In Italia con lo sviluppo industriale post bellico abbiamo visto un rapido aumento della qualità del lavoro, della vita dei lavoratori e dei loro salari, terminato però negli anni '90 con lo spostamento di massa della produzione manifatturiera all'estero (Polonia, Romania, Cina, India ecc.) e con una profonda crisi dell'industria nazionale, e con essa delle condizioni operaie.

    Impressionante è il paragone che qualcuno ha azzardato tra la rendita latifondista e quella dello spettacolo di massa generalizzato, (dalle TV agli stadi).
    Ad ambedue non servono masse operaie preparate e ben pagate, ma solo individui di basso livello da assoggettare, schiavi da una parte e spettatori lobotomizzati dall'altra, ambedue per ragioni differenti asserviti ed incolti, non pensanti ed obbedienti.

    Vi sono dunque capitalisti industriali in crisi diciamo d'identità, che continuano a necessitare di uno Stato svelto e democratico, leggero e moderno, e di dialogo, confronto e pace sociale (anche se spesso hanno diversamente risolto le loro situazioni economiche), che appaiono apertamente in conflitto con l'attuale realtà capitalista dominante, molto più conservatrice ed antidemocratica, alla quale dialogo e pace sociale appaiono non solo superflui ma inutili zavorre da trascinare e delle quali liberarsi al più presto.


  • Moderatore

    Tanta carne al fuoco eh?
    :giggle:

    Alcune delle cose dette sono molto utili, altre mi sembrano troppo stereotipate.

    Mi sembra che Fabysnet, Cherrye Andrez facciano parte della stessa generazione anagrafica (;) mi sbaglio?), mentre forse Paolo è più giovane.

    Comunque il "ricordo" soggettivo fa parte della Storia esattamente quanto il ricordo "oggettivo", basato su fonti.

    Quella de "l'operaio che vuole il figlio dottore" è una storia più lunga del solo 1968.
    C'entra più col sunto di storia economica fatto da Andrez, anche se dissentirò anche con quello.

    Nelle università in agitazione del 1968 non si chiese mai il 18 politico.
    Intanto perchè al limite avrebbero chiesto il 30, non il 18.

    E' vero che erano tutti ragazzi di ceti agiati, assolutamente vero.
    E' vero inoltre che quel movimento partì quasi ovunque come movimento di tipo "sindacale": vale a dire orientato verso singoli e determinati obiettivi e fatto di azioni in grado i bloccare le normali attività didattiche.

    Quindi interrompere le lezioni, interrompere gli esami.
    Occupare.

    Nel corso di quell'anno in alcune sedi ci furono anche degli esami "d'agitazione", atti da docenti disposti a tenerli "a certe condizioni".

    Le condizioni non erano tali da poter garantire il voto a nessuno, e potrei portarvi episodi a testimonianza.

    Semplicemente l'idea era quella di cotrapporre delle garanzie minime di fronte all'autorità divina del singolo docente-barone.

    Una delle concquiste permaenti di quelle lotte è stata, ed è, la possibilità di "rifiutare il voto" quando un esame ti va male, senza che il profssore possa marchiarti il libretto con una bocciatura.

    Gli occupanti originali erano persone da "30 e lode", non avevano bisogno del 18 politico.

    Il 6 politico viene fuori nei mesi e negli anni successivi, nei licei e all'interno di retoriche che nel frattempo erano andate polarizzandosi.

    Le orgini "sessantottesche" del "voto politico" sono un poì più complicate, anyway.

    Ma il figlio dottore dell'operaio tira assolutamente in ballo il 1969, e con questo il post di Andrez che mi precede è molto più utile alla conversazione, secondo me.

    Le lauree non si sono svalutate per colpa (o merito) del '68 e degli anni settanta, la "cultura di massa" era inevitabile. Fortunatamente, dico io.

    Che le classi dirigenti si siano dovute reinventare strumenti di selezione diversi da quello legato al titolo accademico, questo è un altro problema.

    La diffusione della cultura e l'accesso di moltissime categorie prima escluse ai vari gradini della formazione, le scuole superiori e le università, é un bene ed allo stesso tempo è un processo che era inevitabile.

    Il fordismo c'entra comunque.

    Gli operai che hanno dato vita all'autunno caldo 1969 - e che avevano lottato a mirafiori nella primavera insieme agli studenti, alcuni - NON erano operai formati, ma schiavi della catena di montaggio.

    Erano gli operai non specializzati che lavoravano nella moderna catena della Fiat (verniciatura, carrozzeria... i reparti peggiori della fabbrica, tossici e a bassa spacializzazione) erano meridionali e non sindacalizzati.

    Loro diedero vita alle agitazioni, loro parlavano fuori dai canceli con gli attivisti politici dei neonati gruppi extraparlamentari.

    Solo in un secondo momento si unirono alla lotta gli operai specializzati, spesso torinesi, spesso della Cgil, spesso più anziani.

    Per fare una grossa sintesi, in pochi mesi venne approvato lo Statuto dei Lavoratori, e altre leggi sul lavoro saranno messe in cantiere e approvate nel giro di pochi anni.

    Il fordismo in Italia è arrivato e si è alimentato di "schiavi" che dalle campagne venivano, e i morti di Porto Marghera sono lì che ce lo dicono ancora.

    La crisi degli anni '80-'90 deriva dal fatto che il fordismo è stato superato.
    Anche per quei fenomeni di spostamento delle merci e dei capitali menzionato da Andrez.

    Ma anche per la parcellzzazione della produzione, per la retorica del "just in time" di importazione giapponese.

    ANCHE - e qui mi fermo perchè è materia da sociologhi, non ancora da storici - per l'arrivo imponente e invasivo della cosiddetta "economia dell'immateriale", che ben si adatta alla definizione "post-moderna" e "post-industriale" che la società contemporanea usa darsi oggi.

    Nell'economa dell'immateriale ci sono le veline, i calciatori, i filmoni americani e le fiction di raidue.
    🙂

    Ma non si tratta necessariamente di un "decadimento".

    Dobbiamo produrre meno automobili, e andare a teatro più spesso.

    Tutti.

    (E qui quasi vengo alla "teoria dei bisogni" accennata da Cherryblssom ;)).

    I recenti tagli al sistema di istruzione pubblico sono una battaglia anticulturale, è ovvio.

    Ma la scuola e l'università italiana sono ancora tra le migliori nel mondo; non per merito di come funzionano o dei docenti che ne fanno parte (absolutely).

    Per merito degli studenti stessi, che sono tenaci, curiosi, innovativi.
    E imparano a lottare con le difficoltà più dei loro colleghi all'estero.

    Se ti laurei in Italia hai - più di altri - una calacità di "problem solving" molto molto più sviluppata.

    Per "colpa" di come funziona il nostro sistema, paradossalmente.


    Tanto per chiudere con un parallelo (forse) tra l'oggi e l'allora.

    C'è la questione "generazionale".

    Nel '68 lo scarto tra le giovani generazioni (e il mondo che sentivano di vivere) e le generazioni adulte - docenti in primis, ma anche genitori etc etc- era sentito FORTEMENTE e giocava un ruolo molto importante nel complesso ingranaggio che muoveva il "motore della storia".

    Oggi c'è uno scarto altrettanto evidente, a livello generazionale.

    Sul piano sociale. I "giovani" sono uella categoria che non ha diritti sul lavoro, a prescindere dalla loro formazione e dai loro meriti.

    A prescindere. Basta essere giovani per avere trattamenti differenziati, al ribasso.

    Le generazioni adulte, invece, sono inserite -bene o male- nel precedente sistema di garazie, sulla durata del rapporto di lavoro, sul sistema pensionistico, sui diritti di maternità e malattia.

    Ma fare paragoni storici è decisamente fuori luogo. I giovani che vanno in piazza ora contro la Gelmini non "dirompono" verso altre sfere della società.
    Non troverebbero alleati nemmeno se andassero in fabbrica.

    I precari, d'altra parte, sono OVUQNUE, nei posti pubblici come nei privati, nelle università come nelle fabbriche.

    E noi trentenni non possiamo fare figli, non ci compriamo il televisore al plasma, rimpiangiamo il fatto di non "aver fatto l'idraulico a 14 anni" (ma sarebbero veramente serviti tutti questi idraulici).

    Un dato spesso sfugge, anyway.

    Il PIL degli ultii 20 anni ha visto lo spostamento tra le quote dedicate ai salari e quelle appannaggio dei profitti.

    Prima il 60% delal torta si spendeva in salari, solo il 40 per cento era il frutto del denaro investito capitalisticamente.

    Oggi il rapporto è inverso, in Italia.

    Segno che il capitale rende meglio , e non è affatto in crisi (e infatti continua a giocare sul piano internazionale, fabbricando all'estero, speculando insieme agli amici di banca etc etc ).

    Segno che i consumi popolari si stanno contraendo, sale l'inflazione e si gioca alla guerra dei poveri.

    Facciamo un 3D in cui ciascuno dichiara quanto spende per mangiare? (al mese o all'anno)

    Io ho avuto di recente un aumento di "stipendio".

    🙂

    Sono arrivato a 1.000 euro al mese.

    Vivo a Roma e per camparci devi essere un "artista".

    Ma almeno posso finalmente mettermi nella generazione dei "milleuristi", che prima me li sognavo tutti questi soldi.

    🙂

    E tanti coetanei che conosco lavorano per molto meno (se non per nulla).

    😉

    Ma, badate bene.
    Io sono un "privilegiato". Anche molti di quelli che conosco lo sono.
    Gente laureata e masterizzata, con specializzazioni varie etc etc.

    Ma siamo commessi, operatori sociali, manovali, baristi, telefonisti, webmaster, speedy boys e consegnatori d'ogni sorta...... stagisti, apprendisti, passacartisti, borsisti e borsaioli (come nel mio caso).

    E fiumi di penne malpagati, cervelli utilizzati come tappabuchi.
    Gente pronta ad andare in Siria a scavar le piramidi (ho anche un amico che ha fatto cos').

    😄

    Gente comunque, fervida e fervente, spesso tutt'altro che "arresa".

    Anzi, in "movimento", pronta ad eplodere (positivamente.... o "letteralmente", se va male.....).

    Sperem'....

    :ciauz:


  • Moderatore

    Volevo postare questa frase tratta da uno dei primi documenti prodotti dagli occupanti dell'Università di Torino, una delle prime a scendere in agitazione.

    Il documento risale al dicembre 1967.

    😄

    [RIGHT][CENTER]?Dopo questa seconda settimana di discussione[/RIGHT][/CENTER]
    [LEFT]

    [/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]a vuoto, la conclusione più politica e interessante che è stata raggiunta è che non eravamo capaci di studiare senza i docenti.[/RIGHT]
    [/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]*Il che vuol dire che in quattordici anni di scuola elementare e media[/RIGHT]
    [/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]e secondaria non ci avevano insegnato a studiare.?[/RIGHT]
    [/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]

    [/RIGHT][/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]

    *[/RIGHT][/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]Cronaca dell?occupazione di Torino,[/RIGHT]
    [/LEFT]
    [RIGHT][LEFT]«Quaderni Piacentini», n. 33, febbraio 1968, p. 32.[/RIGHT][/LEFT]


  • Super User

    Buongiorno WWW,

    intanto .. non conosco l'età di Andrez ne di Fabysnet :), ho chiesto lumi al primo e leggo sempre molto volentieri il secondo perchè i paragoni, paralleli e le sintesi mi affascinano quando sono fatti non a caso e contengono sempre spunti su cui riflettere.

    Ho 40 anni, quindi, nascevo durante un periodo che, a pelle, proprio non ricordo anche se lo stimolo presente nel fervore di quegli anni l'ho assorbito in casa, essendo vissuto appunto dalla generazione dei miei genitori e da mio padre in modo particolare.

    Personalmente mi interessa capire più le persone che i movimenti del presente; Non trovo ci sia più quella chiarezza di ideali che porta a unirsi e combattere insieme per davvero.
    Leggendo questa discussione ma anche girando per l'entusiasmo del forum tutto, spesso mi sono rinfrancata e ricreduta.

    Sono un po' indietro con le tappe classiche della vita e oggi la mia realtà è la materna di mio figlio e la difficoltà grande di essere donna (concetto oggi sparito nella sua profondità e naturalezza).
    Guardandomi intorno ho scelto di puntare il fulcro dell'educazione sulla tolleranza, sull'integrazione, sulla responsabilità intesa come conseguenza logica di causa ed effetto. Anni fa avrei puntato su altro, specie sul non accettare mai compromessi e di lottare fino alla morte per essere se stessi ... questo in linea generale per non approfondire e non andare troppo OT. Oggi, non è questo il mio ruolo (a mio parere).

    La storia è sicuramente un ripetersi di movimenti di ascesa e di collasso. Ecco, a me interessa, anche attraverso la cultura degli altri quando la mia è carente, cercare quelle scintille che si ripetono, i segni che possono essere utili per comprendere la direzione ...
    Poi però tutto va contestualizzato nel presente...

    Oggi le persone hanno urgenze troppo pressanti, tanto da essere portate naturalmente a cercare di prevalere su chiunque e così facendo, alimentano la propria e la debolezza del gruppo. E' il nemico comune che unisce più del resto. Ben venga allora!! :ciauz: