• User

    @Leonov said:

    .

    È sempre un piacere confrontarsi con la curiosità e la sete di conoscenza, ma occhio: quando ci si spinge a confrontarsi con la natura ultima delle cose, l'Universo pone domande assai difficili, cui è complesso rispondere — se risposta esiste — e non sempre bastano le sole parole. anzi, per lo più a quel livello parlare è inutile. Il Mondo si esprime fluidamente in una lingua che non è umana (e ride di noi in un modo a volte assai sguaiato).

    Per fortuna, ad oggi il linguaggio del Mondo che abbiamo potuto scoprire è sempre stato logico e oggettivo, ed è grazie a questo piccolo dettaglio che siamo potuti diventare così abili nel decifrarlo. La Fisica su cui in troppi sembrano voler gettare discredito ad ogni piè sospinto resta ancora il nostro miglior monumento all'abilità umana di capire come stanno le cose, e di farci qualcosa di utile per il progresso materiale della specie.

    :ciauz:Gia!


  • User

    *UNA OSSERVAZIONE ***** Che reputo importante
    Leggendo il libro di Carlo Rovelli “La realtà non è come ci appare”, un ottimo libro di divulgazione scientifica, alla pagina 73 l’autore, a proposito della relatività generale, conclude così: “E’ una semplificazione impressionante del mondo. Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia. E’ una delle componenti “materiali” del mondo, è il fratello del campo elettromagnetico E’ un’entità reale che ondula, si flette, s’incurva, si torce.”
    Perché cito questo passaggio? Lo cito perché, a mio avviso, nasconde un, diciamo, buco nero che oscura, sempre a mio modesto avviso, il valore enorme sotteso da questa conclusione importantissima dell’autore. Si tratta di rispondere alla domanda: “ma rispetto a cosa, il campo complesso citato, si si torce e si flette?” Forse rispetto ad un altro campo che tutto avvolge e che può serve da riferimento universale assoluto?:x Io avrei una mia risposta....


  • User

    @Leonov said:

    È un giudizio molto modesto quello che attribuisci alla matematica.

    Quando si parla di "leggi di natura" si dovrebbe sempre scrivere "leggi matematiche": quello che noi conosciamo oggi del mondo, dove "conoscere" qui significa "sappiamo di che stiamo parlando perché abbiamo fatto i conti, abbiamo misurato dal vero e le due cifre coincidevano sostanzialmente" lo dobbiamo alla matematica, che non sbaglia un colpo (quando sbaglia, o c'è dietro un errore umano o stiamo testando l'ipotesi errata) e alla fisica, che invece può prendere più facilmente un abbaglio, ma non tanto spesso quanto si possa pensare.

    Tutto il resto sono parole, ottime per creare cose bellissime come le poesie o le storie — cui non fatico a riconoscere un ruolo di prim'ordine nel panorama culturale — ma assai meno utili quando si tratta di progettare una navetta che porti la gente sulla luna.

    Poiché però, da scienziato, sono sempre aperto alle smentite, lancio qui come altrove il guanto di sfida; quando una teoria radicalmente diversa da quelle fino a qui prodotte dall'umanità mi consentirà di costruire un apparecchio per le TAC senza fare uso di matematica, fisica e altre scienze, dandomi lo stesso livello di conoscenza che il "bozzetto" chimico-fisico-matematico mi dà oggi di un corpo umano fotografato con la TAC, allora sarò il primo ad applaudire. Dico sul serio, nessuna ironia o sarcasmo.
    Leggendo il libro di Carlo Rovelli “La realtà non è come ci appare”, un ottimo libro di divulgazione scientifica, alla pagina 73 l’autore dice, a proposito della relatività generale, dice conclude così: “E’ una semplificazione impressionante del mondo. Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia. E’ una delle componenti “materiali” del mondo, è il fratello del campo elettromagnetico E’ un’entità reale che ondula, si flette, s’incurva, si torce.”
    Perché cito questo passaggio? Lo cito perché, a mio avviso, nasconde un, diciamo, buco nero che oscuri, sempre a mio modesto avviso, il valore enorme sotteso da questa conclusione importantissima dell’autore. Si tratta di rispondere alla domanda: “ma rispetto a cosa, il campo complesso citato, si si torce e si flette?” Forse rispetto ad un altro campo che tutto avvolge e che può serve da riferimento universale assoluto?


  • Consiglio Direttivo

    Innanzitutto complimenti per la scelta del libro. 🙂

    Ho avuto il piacere di conoscere Carlo Rovelli, e di ritrovarlo a più riprese in giro per conferenze (in quei casi non a scopo divulgativo, ma in qualità di alfiere principale della Loop Quantum Gravity, la "sua" teoria della gravitazione, che prova a completare ed emendare quella di Einstein). È persona amabilissima, con la quale ogni conversazione è gradevole, sia che si parli di fisica contemporanea sia che si spazi verso filosofia, arte e storia. Un pensatore eclettico del tipo di cui ci sarebbe un gran bisogno, nella comunità dei fisici e fuori.

    Quanto alla questione "rispetto a chi fluttua e si torce il campo", la questione è sottile ma non impossibile da spiegare. Cerco di procedere per punti salienti.

    Potremmo essere tentati dal credere che le fluttuazioni dei campi (compreso quello gravitazionale) avvengano rispetto a un qualche riferimento assoluto; possiamo scegliere di identificare tale riferimento con spazio e tempo, come faceva Newton, oppure con un qualche etere quintessenziale, ripetendo la lezione di Aristotele. In tutti questi casi il problema diventa quello di inventarsi un esperimento che metta in luce in qualche modo la presenza del riferimento assoluto, facendolo svettare nella folla di altri campi (cangianti e variegati) che si agitano intorno, sopra o dentro il riferimento assoluto.

    C'è però un'altra via, ed è quella adottata da Einstein nella sua stesura della Relatività Generale. Con un salto concettuale poderoso, Einstein ha mostrato che non c'è bisogno di alcun riferimento assoluto rispetto al quale le cose accadono, ma che invece tutto l'Universo è fatto solo di interazioni e "dialoghi" tra campi (elettromagnetico, gravitazionale, spinoriale, scalare di Higgs ecc.), in un continuo influenzarsi reciproco. Einstein è fortemente debitore ad Ernest Mach per questa idea, e ad altri suoi coevi che lo ispirarono nella sua ricerca di una strada nuova.

    Il salto concettuale è poderoso, dicevo, ma assolutamente non originale: era già Cartesio, se non erro, che pensava al mondo come a una relazione, invece di vederlo come un ente (e dunque un ente rispetto a qualcos'altro); la novità sta nel fatto che Einstein ha spiegato, in un linguaggio matematicamente preciso, in che modo l'Universo sia riguardabile come pura collezione di relazioni, senza bisogno che ci sia qualcosa di esterno e fisso a dettare uno standard assoluto e immutabile.

    Un'analogia geometrica può aiutare a capire la questione: immaginiamo di viaggiare su una strada di montagna, che si inerpica su un pendio. Saliamo e giriamo e cerchiamo di non precipitare con l'auto. La strada si flette e si torce, giusto?

    Beh, è giusto se pensiamo di poter guardare la strada dall'esterno e da un punto di vista lontano (da un elicottero, per dire, o dalla cima del monte) e disegnarne la sua forma nello "spazio assoluto" che ha per riferimento la montagna o la posizione dell'elicottero; quello è il cosiddetto punto di vista estrinseco, con la strada che si sviluppa come una curva in una mappa 3D, vista "da fuori".

    Possiamo pensarla però anche in un altro modo: se rendiamo opachi i finestrini dell'auto, e ci priviamo della vista di ciò che sta all'esterno dell'abitacolo, perdiamo il "riferimento assoluto", ma potremo ancora renderci conto che la strada si flette e si torce piazzando delle livelle a bolla d'aria nell'auto, perché le bolle si muoveranno nelle loro guide man mano che ci spostiamo lungo il tracciato. A questo punto non esiste più uno "spazio assoluto" a cui fare riferimento, ma è solo la relazione tra le bolle nelle livelle, che sono interne al nostro "laboratorio", a dirci che ci stiamo muovendo lungo un tracciato complicato. Quello è il punto di vista intrinseco, e la fisica non è più riferita a nient'altro che non siano altri oggetti e strumenti, senza possibilità di accedere ad alcun riferimento esterno. I risultati sono gli stessi dal punto di vista della descrizione del nostro percorso, ma abbiamo guadagnato il fatto di non dover più fare riferimento a qualcosa di lontano e inaccessibile (cima del monte, elicottero, altri picchi lontani ecc.), preferendo una soluzione tutta a portata di mano.

    Il passaggio concettuale della fisica contemporanea è stato quello di adottare un punto di vista interamente intrinseco, che ha reso l'Universo una relazione e non più un ente. I campi si flettono e si torcono rispetto ad altri campi; noi crediamo di conoscere tutti i campi esistenti, e il loro modo di interagire che determina l'assetto corrente del nostro mondo.

    Buon proseguimento di lettura. 🙂


  • User

    Grazie** Leonov** per la tua elaborata risposta al quesito da me posto. Ho preso atto dell'ottimo esempio delle bolle che si muovono dal "di dentro" come pure la calda raccomandazione di Rovelli di abituarsi a guardare il mondo ancora dal "di dentro", raccomandazione, questa, che mi piace assumere come se l'avessi posta io medesimo, fatta salva solo la differenza dei termini: io uso dire, in certi post di questa e/o di altre discussioni sull'argomento, "guardare il mondo secondo una visuale idealistica". Tuttavia non nego che la versione "guardare dal di dentro" è di comprensione più immediata.
    Ad ogni modo, fatti salvi tutti gli apprezzamenti positivi di queste risposte, ho l'impressione che manchi in esse qualcosa di veramente conclusivo. L'esempio delle bolle, che ha menzionato nel tuo post, implica una valutazione dei cambiamenti del moto e delle posizioni delle bolle e precisamente la memoria che il sistema deve avere del prima e del *dopo *di un certo istante. Qui sto pensando a vecchie letture di divulgazione degli eventi che portarono alla nascita della MQ dove mi colpì una frase dove si riconosceva l'***osservatore ***come parte integrante del sistema dell'esperimento. Ritenni ciò cosa ovvia; però mi sono accorto che dopo anni e altre letture su questo argomento, quell'affermazione sembra praticamente dimenticata nei fatti dal mondo scientifico. Penso che forse proprio qui bisogna cercare per completare, in generale, la tua risposta, pur essa generale, al mio quesito.


  • User

    @Leonov said:

    I

    Possiamo pensarla però anche in un altro modo: se rendiamo opachi i finestrini dell'auto, e ci priviamo della vista di ciò che sta all'esterno dell'abitacolo, perdiamo il "riferimento assoluto", ma potremo ancora renderci conto che la strada si flette e si torce piazzando delle livelle a bolla d'aria nell'auto, perché le bolle si muoveranno nelle loro guide man mano che ci spostiamo lungo il tracciato. A questo punto non esiste più uno "spazio assoluto" a cui fare riferimento, ma è solo la relazione tra le bolle nelle livelle, che sono interne al nostro "laboratorio", a dirci che ci stiamo muovendo lungo un tracciato complicato. Quello è il punto di vista intrinseco, e la fisica non è più riferita a nient'altro che non siano altri oggetti e strumenti, senza possibilità di accedere ad alcun riferimento esterno. I risultati sono gli stessi dal punto di vista della descrizione del nostro percorso, ma abbiamo guadagnato il fatto di non dover più fare riferimento a qualcosa di lontano e inaccessibile (cima del monte, elicottero, altri picchi lontani ecc.), preferendo una soluzione tutta a portata di mano.

    Il passaggio concettuale della fisica contemporanea è stato quello di adottare un punto di vista interamente intrinseco, che ha reso l'Universo una relazione e non più un ente. I campi si flettono e si torcono rispetto ad altri campi; noi crediamo di conoscere tutti i campi esistenti, e il loro modo di interagire che determina l'assetto corrente del nostro mondo.

    Buon proseguimento di lettura. :)credo che un "campo" di riferimento assoluto c'è ed è...l'Osservatore (con la O maiuscola) altrimenti detto l'***IO, ***citato ma di fatto dimenticato dai padri della MQ, il quale è in grado di auto-correggersi quando si accorge, non importa come, che i conti del Suo sistema universo non tornano; poco importa se le sue correzioni non rimediano ai conti, vi ritornerà sopra imperterrito. Sto parlando di un giudice imparziale e severo di Sé medesimo. Basta appena un po' di riflessione per accorgersi di ciò. Forse sarebbe il caso di pensare ad una matematizzazione di quest'ultimo campo assoluto, ma bisognerebbe rivoluzionare la matematica tradizionale (per altro un po' aggiustata per la MQ):rollo:


  • Consiglio Direttivo

    Quest'ultimo passaggio è molto delicato, e mi lascia assai perplesso.

    L'Universo esisteva da molto prima che esistesse l'uomo, e al suo interno i fenomeni si svolgevano secondo leggi ben definite, ancorché sconosciute perché non esisteva nulla che potesse studiare e cercare di comprendere l'Universo stesso.

    Allo stesso modo, in un tempo molto rapido rispetto alle scale cosmologiche, la specie umana sarà cancellata dalla faccia del mondo; un destino identico riguarderà ogni altra possibile civiltà intelligente, ammesso che ne esistano da qualche parte, fuori dal Sistema Solare.

    Supponiamo allora per un momento che il sistema di riferimento assoluto sia l'Io, o l'Osservatore (c'è secondo me una differenza fondamentale tra i due concetti, che chiarisco fra un attimo); per cominciare, non ho capito se intendi l'Io di ogni singolo uomo, o una specie di Io collettivo/astratto/panenteistico che vale per tutti gli uomini ed è uguale a sé stesso nello spazio e nel tempo. Scelte diverse in tal senso portano a colossali differenze concettuali e teoriche.

    Andiamo con ordine, e cominciamo da quello che consociamo. Osservatore: esistono due nozioni distinte di "osservatore", fra di loro non incompatibili ma non del tutto concordanti; una classica e una quantistica.

    La nozione classica di osservatore è quella di una linea oraria nello spaziotempo (la storia dell'Osservatore stesso, il quale è pensabile, al livello più basso, come un micro-computer che registra eventi e assegna a ciascuno un'etichetta oraria, sparando informazioni su tali collezioni di eventi mediante raggi laser che possono intercettare altri osservatori nei dintorni), in ogni punto della quale è lecito erigere una quaterna di assi di riferimento (in realtà, una classe di equivalenza di siffatte quaterne, differenti l'una dall'altra per una quadri-rotazione lorentziana propria ortocrona). Riferimenti costruiti in punti diversi della medesima linea oraria daranno all'Osservatore un quadro coerente della fisica circostante solo se collegati da una speciale trasformazione, detta "trasporto misto di Fermi–Walker". A parte questi dettagli formali, la nozione di "osservatore" è ben posta e formalmente impeccabile: l'osservatore è in tal senso un ente astratto e "assoluto" in quanto concetto, ma affatto unico (esistono infiniti osservatori, tutti costruiti in conformità alle medesime regole). Non è un campo, essendo localizzato nello spaziotempo. Esistono inoltre vari problemi piuttosto seri sul come possano parlarsi tra loro due osservatori, ai quali sono state date risposte parziali (ma tutto sommato convincenti), e la questione è ancora discussa, però i contorni sono noti e definiti.

    Parimenti ben posta, anche se non sempre banale da caratterizzare, è la nozione di osservatore in ambito quantistico; qui "osservare" significa di fatto "eseguire un esperimento", ovvero applicare un operatore di proiezione sullo spazio hilbertiano dei possibili esiti di una misura e determinare il valore assunto da una quantità osservabile sullo specifico stato quantistico del sistema (funzione d'onda, ovvero una funzione a quadrato sommabile definita sullo spazio hilbertiano predetto). L'osservatore quantistico non è un uomo, ma qualsiasi apparato di misura in grado di determinare in modo univoco e preciso un certo risultato, portando al collasso della funzione d'onda in una sola delle sue infinite configurazioni possibili (in alcuni di questi esperimenti l'osservatore è un uomo, in altri un magnete, in altri una coppia di piastre cariche ecc.). Di nuovo, esistono alcuni problemi concettuali, ma la base teorica e formale è ben posta, e quella dell'osservatore quantistico è una nozione coerente, almeno nel paradigma oggi accettato.

    Da questo inciso si ricavano due lezioni importanti: la prima, sappiamo di cosa parliamo quando parliamo di osservatore, almeno a grandi linee, e con queste nozioni costruiamo teorie che funzionano molto bene; la seconda, in nessun caso la nozione di osservatore esige che si parli di un essere umano (ci mancherebbe pure: la fisica e la matematica sono universali e riguardano il mondo, con o senza l'uomo a far parte dello scenario), non menzionando alcuna caratteristica saliente tradizionalmente attribuita all'uomo — la coscienza per esempio.

    Il che ci porta al secondo punto che mi lascia perplesso nel tuo argomento: di che cosa parliamo quando parliamo di questo tuo "Io/Osservatore"? Se adottiamo la definizione tradizionale (osservatore classico o quantistico), il concetto di "io" è irrilevante, e ad osservare possiamo mettere anche un macchinario; se invece ci convinciamo della necessità di un qualche tipo di coscienza o auto/coscienza, allora ci sono altre domande che emergono a cascata, tra cui:

    • L'Io è universale? Come facciamo a saperlo? Come lo modellizziamo in termini formali e fisici? (Perché se voglio spiegare il mondo non mi basta una poesia, per quanto bella ed evocativa: io voglio poter fare calcoli precisi per determinare effetti misurabili e costruirci sopra esperimenti e tecnologia).

    • Questo Io quanto è legato alla nozione di essere umano? Personalmente gradirei una definizione adattabile anche a uno scenario in cui l'uomo è del tutto assente nell'Universo (la nostra presenza nella storia universale è con buona approssimazione un evento accidentale), ma questo potrebbe rendere necessario ridefinire il concetto stesso di auto-coscienza. Una deviazione molto affascinante, ma non so quanto prevista nel tuo percorso originale.

    • L'Io di cui parli è storicizzato o identico a sé stesso? Perché immagino che, con tutti i cambiamenti che abbiamo avuto negli ultimi cinquemila anni in termini di linguaggio, idee, nozioni (anche sulla natura stessa dell'uomo), l'Io di un antico egiziano abbia poco a che fare con quello di un filosofo positivista, o con quello di un teologo medievale; un'evoluzione storica della nozione di Io renderebbe però l'intuizione assai poco affidabile. Come lasceremmo il compito di dare un giudizio "imparziale" sul mondo a qualcosa che cambia da un luogo all'altro, o da un secolo all'altro? Al contrario, asserire che l'Io sia sempre stato identico a sé stesso mi porterebbe a chiedermi che giudizio dare su cosa pensavano dell'Io prima di noi, o sul come facciamo a sapere che la nozione di io oggi imperante sia proprio quella buona (ne erano convinti anche tutti i nostri antenati, eppure ne sparavano di fregnacce).

    Spero di aver esposto i miei dubbi con sufficiente chiarezza; sono sempre attento alle possibilità di aprirmi nuovi orizzonti (comprese le rivoluzioni della matematica, che però a rigore può solo evolversi, ma non rivoluzionarsi, essendo vincolata dalle regole della logica formale che non ammettono la contraddizione), ma quando si ragiona di cose così fondamentali mi piace che i termini della questione siano posti con assoluta esattezza, e in un modo che non lasci adito a fraintendimenti di sorta.


  • User

    *** "Supponiamo allora per un momento che il sistema di riferimento assoluto sia l'Io, o l'Osservatore (c'è secondo me una differenza fondamentale tra i due concetti, che chiarisco fra un attimo); per cominciare, non ho capito se intendi l'Io di ogni singolo uomo, o una specie di Io collettivo/astratto/panteistico che vale per tutti gli uomini ed è uguale a sé stesso nello spazio e nel tempo. Scelte diverse in tal senso portano a colossali differenze..."

    Ho stralciato questo brano della lunga e complessa argomentazione di Leonov* che mi consente almeno di dire che l'IO che cito nei miei post, su questo argomento, si avvicinerebbe all'IO di cui al brano sopra trascritto. Quindi non si tratta di qualche individuo in particolare ma di quella coscienza intelligente che chiunque può sperimentare. Perché unico riferimento assoluto dell'Universo? Altre coscienze IO non conosco se non per trasposizione artificiosa della Mia.
    Mi rendo perfettamente conto della difficoltà di questo concetto. Per questo IO si potrebbe forse azzardare l'affermazione che il famoso Big Bank altro non sia che l'attimi, che tutti hanno dimenticato, in cui l'IO ha preso coscienza di ***Sé. *Sapendo bene di parlare con chi sa bene come interpretare questi concetti, mi fermo (almeno in questo post) ma voglio concludere questo intervento dicendo che l'Universo è, come ribadisce Rovelli, una sovrapposizione (in senso concettuale) di campi il tutto immerso nel campo che l'IO , cioè la Conoscenza. sì, perché l'Universo è fatto do Conoscenza, appunto. Non può essere descritto dall'esterno perché non c'è un esterno. Dall'interno è difficilissimo a causa dell'autoreferenza del sistema stesso sicché manca un linguaggio adeguato ma arrangiarsi solo linguaggi approssimati che la scienza aggiusterà senza pretese di raggiungere la perfezione. L'osservazione non è che l'azione vitale dell'universo, cosa molto lontana da ciò che si ritiene comunemente.:x


  • User

    Esprimo questo post solo per ovviare ad una dimenticanza nel precedente mio post di ieri.
    Volevo aggiungere che l'argomentazione accennata nel precedente post si collega alle cause della meraviglia di Einstein sulla inspiegabile efficacia della matematica nel disegnare la fisica (classica, aggiungo io, vista l'epoca in cui scriveva Einstein) e fare previsioni.


  • User

    Perché, faceva notare Einstein, la matematica esprime così bene le leggi della fisica? No intento, almeno ora, esporre le mie convinzioni perché scrivere direttamente su questo forum è difficile; mi riservo di scrivere il mio parere indirettamente fra un aio di giorni nel frattempo chi avesse idee le scriva subito qui.


  • User

    **LA COSTANZA DELLA VELOCITA' DELLA LUCE
    **
    Perché costante?
    Lo è perché è riferita al riferimento assoluto dell'Universo che è l'Osservatore che è unico e si identifica nell'IO (che è cosa diversa dall'io); in effetti questa particolare "costanza" riguarda la nullità degli effetti addittivi e sottrattivi delle velocità attribuibili al presunto moto dell'Osservatore nella direzione (+-) della luce. Infatti abbiamo poco fa detto che l'Osservatore è unico ed è il sistema di riferimento assoluto dell'universo a cui, ovviamente e notoriamente, non ha alcun senso attribuire un moto.:o

    PS: Potrei aspettarmi una caterva di osservazioni ed accuse di insensatezza; non posso non scusare chi persino arrivasse ad offendermi attribuendomi stupidissime insensatezze, questo perché è quasi l'ora di rivedere in una nuova ottica il mondo e non solo in senso genericamente filosofico. Non siamo ancora bene e diffusamente pronti a ciò, neppure, oserei pensare in buona parte, nel mondo scientifico professionale.:o


  • Consiglio Direttivo

    Veramente la velocità della luce è costante solo nel vuoto.

    E nemmeno per tutti gli osservatori, ma solo per quelli inerziali. Un osservatore su un treno in moto rettilineo uniforme e uno fermo sulla banchina della stazione concordano sulla costanza della velocità della luce. Uno che sta su una giostra in rotazione, o in mezzo a una cascata, non la pensa mica così.

    Per non parlare di come la gravità curvi la luce, che non si muove più su linee rette. Lo hanno scoperto dalle fotografie delle eclissi solari, e hanno verificato in questo modo che la teoria della Relatività di Einstein funzionava a dovere.

    Quando poi la luce attraversa un mezzo (aria, acqua, olio, vino, smog, materia interstellare ecc.) la sua velocità cambia eccome, variando a seconda del mezzo che sta attraversando. Anche per gli osservatori inerziali di cui sopra.

    È una cosa che conosciamo fin dai tempi degli antichi greci (e basta immergere un coltello in una bacinella con dell'acqua per vedere cosa succede alla luce rifratta: sembra che la lama del coltello si stia piegando, mentre è solo la luce che cambia velocità).

    Si chiama "indice di rifrazione". L'ho studiato per la prima volta al liceo classico, al quarto anno.

    Su tutto il resto: se non vedo le equazioni che provano qualsiasi cosa mi si dica che si intende provare (e un esperimento da realizzare in base a tali premesse che mostri qualsiasi nuova fisica, o qualsiasi errore cruciale della fisica vecchia), io sono come San Tommaso.

    Che era pur sempre un brav'uomo — un santo, addirittura — ma se non vedeva, non credeva. 🙂

    Per esempio, posso aspettare di vedere le nuove equazioni che rivoluzioneranno la fisica. Non ho fretta. Ne vedo a decine ogni giorno e ognuna mi promette una rivoluzione, ma per lo più hanno grossolani errori di matematica dentro o premesse che cozzano contro gli esperimenti (extra-precisi) che abbiamo già condotto. Io però aspetto fiducioso. Un giorno, magari, chissà.

    Sarò il primo a stappare una bottiglia alla salute del nuovo avvenire e di chi ce lo ha mostrato, numeri ed esperimenti alla mano. 🙂

    :ciaosai:


  • User

    t


  • User

    Ciò che dici è fuori discussione, o mi riferivo alla "costanza" della velocità della luce cui alludeva, p.es., Einstein


  • Consiglio Direttivo

    Ok, allora non capisco proprio.

    Einstein parlava della costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto e per osservatori inerziali, per motivi ben noti e chiari nel contesto della fisica classica (la luce è espressione delle perturbazioni di prim'ordine del campo elettromagnetico, ovvero i fotoni, che si propagano in forma di onda nei mezzi come l'aria o l'acqua, o nel vuoto). Non mi risulta che abbia spinto le sue considerazioni sulla costanza della velocità della luce oltre questi stretti e rigorosi margini.

    Sempre Einstein, che di fisica ci capiva parecchio, era ben consapevole che tale costanza del modulo si perde quando la luce attraversa un qualsiasi materiale, e a seconda del materiale il modulo (cioè quanto, in metri al secondo, va veloce la luce) diminuisce; questo è noto, come ho scritto, fin dall'epoca dei greci, ed è verificabile in ogni casa mettendo un po' d'acqua in una ciotola e immergendoci un coltello. L'apparente deformazione della lama non è altro che l'effetto di come il nostro occhio percepisce il cambiamento di velocità di propagazione nella luce al passaggio dall'aria all'acqua.

    Di nuovo Einstein era consapevole che il modo di propagazione della luce, anche nel vuoto, cambia in presenza della gravità (e c'è gravità ogni volta che c'è massa o energia di qualche tipo), e ha provato a costruire una teoria — la sua Relatività Generale — che incorporasse questo fenomeno in un quadro coerente e compatibile con i dettami della fisica galileiana (oltre che con la costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto per osservatori inerziali).

    Ciò premesso, la velocità della luce (e ogni altra velocità) è un vettore, quindi è un oggetto dotato di tre sole caratteristiche salienti: modulo (quanto si va veloce), direzione (dove si va) e verso (ci si allontana o ci si avvicina a un punto assegnato). Se di costanza della velocità della luce si deve parlare, tale costanza può riguardare solo e soltanto una di queste caratteristiche, o una loro opportuna combinazione.

    In Relatività Ristretta ciò che è costante è solo il modulo della velocità della luce (nel vuoto e rispetto a un osservatore inerziale). La direzione può cambiare, perché posso sparare un raggio di luce in qualsiasi direzione, come fa una lampadina di forma sferica o come fa il Sole, senza cambiare l'esito dei miei esperimenti. Il verso può cambiare (basta usare uno specchio e riflettere i raggi di luce).

    Il che mi riporta alla domanda iniziale; probabilmente non mi è chiaro qualche passaggio, però basta capirsi e tutto si risolve. A quale elemento della velocità della luce, precisamente, ti riferisci tu quando parli di una sua "costanza"? In che contesto? Per quale osservatore (inerziale, non inerziale, classico, quantistico...)? In quale teoria fisica (meccanica classica galileiana, elettromagnetismo maxwelliano, relatività ristretta, relatività generale, meccanica quantistica standard o relativistica, elettromagnetismo carrolliano)?


  • User

    @Leonov said:

    Il che mi riporta alla domanda iniziale; probabilmente non mi è chiaro qualche passaggio, però basta capirsi e tutto si risolve. A quale elemento della velocità della luce, precisamente, ti riferisci tu quando parli di una sua "costanza"? In che contesto? Per quale osservatore (inerziale, non inerziale, classico, quantistico...)? In quale teoria fisica (meccanica classica galileiana, elettromagnetismo maxwelliano, relatività ristretta, relatività generale, meccanica quantistica standard o relativistica, elettromagnetismo carrolliano)?A fine '800 Michelson ed altri dimostrarono e misurarono la finitezza ed il valore della velocità della luce; successivamente, mediante il confronto tra le misure di velocità misurate quando l'Osservatore e la fonte luminosa si muovevano in una direzione e poi nella direzione opposta, confronto che non mostrò differenze. Ciò e quel che ho inteso per "costanza della velocità della luce".


  • Consiglio Direttivo

    Ok, quindi parliamo della costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto (vuoto che all'alba della fisica contemporanea era confuso con l'etere luminifero, di cui l'esperimento di Michelson e Morley aiutò a confutare l'esistenza).

    E su questo punto ci siamo intesi, cosa di cui sono assai lieto. 🙂


  • User

    @Leonov said:

    Ok, quindi parliamo della costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto (vuoto che all'alba della fisica contemporanea era confuso con l'etere luminifero, di cui l'esperimento di Michelson e Morley aiutò a confutare l'esistenza).

    E su questo punto ci siamo intesi, cosa di cui sono assai lieto. :)Grazie,

    Quello che intendo evidenziare è che tale "costanza" e' dovuta al particolarissimo ruolo dell'Osservatore (con iniziale maiuscola, quindi l'IO) quale riferimento centrale assoluto a cui non ha senso attribuirgli un moto ma è unico riferimento di ogni moto e non solo.
    Non pretendo di esaurire così questo complesso argomento, ma digitare lunghi argomenti su questo forum presenta difficoltà pratiche scoraggianti.
    Uno dei problemi di base è il doversi accordare sul significato dei termini del linguaggio che bisognerebbe usare dal momento che ci troveremmo di fronte ad un capovolgimento di prospettiva: dall'oggettivistica (l''IO esterno al mondo) all'idealista (il mondo dentro l'IO); poi ci sarebbero problemi sul tipo di matematica idonea ad un siffatto cambiamento.


  • User

    Le difficoltà di linguaggio di cui al mio immediatamente precedente post di approccio cero di riassumerle così:

    • qual è il senso di "realtà oggettiva" ?
    • cosa è la dimostrazione sperimentale che deve conferire la certificazione di verità ad una tesi o teorema?
    • Cos'è esattamente l'Osservatore?
      Ciò è solo un anticipo delle questioni.

  • Consiglio Direttivo

    Con riferimento al post precedente, e a questa frase di qualche giorno fa:

    @mariodic said:

    Uno dei problemi di base è il doversi accordare sul significato dei termini del linguaggio che bisognerebbe usare dal momento che ci troveremmo di fronte ad un capovolgimento di prospettiva: dall'oggettivistica (l''IO esterno al mondo) all'idealista (il mondo dentro l'IO); poi ci sarebbero problemi sul tipo di matematica idonea ad un siffatto cambiamento.

    Ho qualche difficoltà anche su questo. La logica formale studia da tempo i linguaggi, siano essi naturali o artificiali, e da tempo conosciamo i trionfi e soprattutto i limiti (teorema di incompletezza di Gödel) dei sistemi formali.

    Con il cosiddetto Calcolo Lambda (https://it.wikipedia.org/wiki/Lambda_calcolo) abbiamo uno strumento per analizzare non solo i linguaggi logicamente ben posti disponibili al momento, ma anche tutti quelli teoricamente possibili. Ivi compresi gli angoli oscuri e le sacche residuali di fraintendimento.

    Mi risulta un po' difficile capire come un modello tanto potente e versatile possa fallire nel discutere di concetti di fisica, come quelli di Osservatore, che sono da tempo ben posti (ne parlavo qualche intervento fa). Certo, io sto supponendo che la discussione si svolga sul piano della logica, cioè che i ragionamenti siano consequenziali e ben formati, privi di ogni ambiguità voluta e predisposti alla comunicazione.

    Se invece si vuol giocare poco pulito e parlarsi con l'intento di non capirsi, allora occorre davvero cambiare paradigma, perché la confusione non è il fine ultimo del Calcolo Lambda, né di qualsivoglia altro sistema logico formale. Però, da persona che cerca di capire come va il mondo, non saprei cosa farmene di un linguaggio volutamente ambiguo e contraddittorio.

    Temo però che qui si confondano gli osservatori noti alla fisica (quantistica e relativistica generale), con una nozione assai più diluita di "singolarità essenziale del pensiero" che viene solitamente associata all'uomo — dall'uomo stesso, peraltro — e sul cui significato o valore ho bisogno di capire di più. In quel caso si sta cercando di dare un significato preciso a qualcosa di assai complesso, che abbraccia campi molto distinti, dalla topologia delle reti neurali visti come grafi astratti (nel senso di König? Non ne sono certo), alla biochimica dell'encefalo, alla fisiologia umanoide, alle neuroscienze cognitive.

    Forse è qualcosa di più simile a questo, ciò di cui si parla in alcuni post di Mariodic. Ci sono però tante variabili in questo scenario (quattordici miliardi di neuroni, con milioni di miliardi di connessioni: un sistema a dir poco complicato da modellizzare) e, temo, troppe possibili spiegazioni per dare alla nozione di "uomo", di "io", o comunque si voglia chiamare questa ineffabile componente dell'Universo, un senso compiuto e dei margini ben definiti.

    Quanto alle tre domande poste: cosa sia la "realtà oggettiva" è un problema aperto da quando abbiamo imparato come funziona la Meccanica Quantistica e da quanto cruciale sia il ruolo dell'apparato sperimentale nella determinazione di una misura e del suo valore (ed è solo tramite le misure che conosciamo qualcosa del mondo: lunghezze, tempi, cariche elettriche, intensità di campi magnetici, curvature mareali, ecc.). Si attende una teoria fisica, scritta in linguaggio matematico universale, che possa dare qualche indizio in più per la soluzione del problema — gravità quantistica? teoria quantistica del paradosso della perdita dell'informazione? teorie di stringa e di brana? supergravità? teorie di tipo Kaluza—Klein?

    Non importa quale colpo di genio risolverà l'enigma: sappiamo soltanto che non sarà una cosa banale, come non era banale il calcolo differenziale quando Newton e Leibnitz ne vennero finalmente a capo. Ci sembra banale oggi, non lo era affatto al tempo.

    Sulla seconda domanda abbiamo da decenni una risposta di ferro, chiamata complessivamente Metodo Sperimentale: ci si sbatte sempre il muso contro, ed è l'abisso nel quale precipitano tante cattedrali di fuffa costruite ad arte per vendere rimedi miracolosi o per consolidare posizioni politiche di nicchie e sette. Le regole del gioco le ha dettate Galileo Galilei, poi altri ci hanno ricamato sopra. Per una rassegna, rimando a questa voce enciclopedica: https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_scientifico Il Metodo Scientifico funziona perché ammette al suo interno un test di auto-consistenza, cosa che tutte le dogmatiche standard (religione in primis, poi alcuni sistemi filosofici, alcune correnti di pensiero politico ecc.) rifiutano con orrore, ed è lì che cascano.

    Non so infine cosa sia "l'Osservatore" (a meno che non si parli di un personaggio dei fumetti Marvel, nel qual caso so perfettamente cosa sia e che faccia abbia; un indizio: è pelato e porta la toga romana. Dico sul serio), e continuo a non capire perché ce ne debba essere soltanto uno. Con tutta la diversità che abbiamo avuto e abbiamo ancora tra gli esseri umani, sia nella prospettiva storica che in una mera analisi statistico-geografica, non vedo perché insistere sul fatto che tutti vediamo il mondo allo stesso modo. I daltonici non distinguono certi colori, gli acromatopici vedono in bianco e nero, i sordi non sanno cosa siano i rumori e c'è chi non è in grado di percepire il dolore: eppure non ci sogniamo di chiamare quegli esseri umani "meno umani" per questo.

    Secondo me di osservatori ce ne sono tanti, magari divisi in macro-classi; quelli classici e quantistici, per esempio, che vedono cose diverse osservando gli stessi sistemi fisici. Ora, a parte una colossale proiezione del proprio sé su tutto il mondo, che dovrebbe vederla in un modo "standard", "normale" (e chi lo decide cosa è normale, esattamente? basandosi su quali standard?), per quale motivo dovrebbe esistere un solo Osservatore? Prima ancora di chiarirci su cos'è, o forse per aiutarmi a mettere a fuoco il punto, sono curioso di capire come la si pensi si questo aspetto per me fondamentale.