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- osservazioni intorno alla osservazione dell'Universo da prospettiva idealistica
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Perché, faceva notare Einstein, la matematica esprime così bene le leggi della fisica? No intento, almeno ora, esporre le mie convinzioni perché scrivere direttamente su questo forum è difficile; mi riservo di scrivere il mio parere indirettamente fra un aio di giorni nel frattempo chi avesse idee le scriva subito qui.
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**LA COSTANZA DELLA VELOCITA' DELLA LUCE
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Perché costante?
Lo è perché è riferita al riferimento assoluto dell'Universo che è l'Osservatore che è unico e si identifica nell'IO (che è cosa diversa dall'io); in effetti questa particolare "costanza" riguarda la nullità degli effetti addittivi e sottrattivi delle velocità attribuibili al presunto moto dell'Osservatore nella direzione (+-) della luce. Infatti abbiamo poco fa detto che l'Osservatore è unico ed è il sistema di riferimento assoluto dell'universo a cui, ovviamente e notoriamente, non ha alcun senso attribuire un moto.:oPS: Potrei aspettarmi una caterva di osservazioni ed accuse di insensatezza; non posso non scusare chi persino arrivasse ad offendermi attribuendomi stupidissime insensatezze, questo perché è quasi l'ora di rivedere in una nuova ottica il mondo e non solo in senso genericamente filosofico. Non siamo ancora bene e diffusamente pronti a ciò, neppure, oserei pensare in buona parte, nel mondo scientifico professionale.:o
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Veramente la velocità della luce è costante solo nel vuoto.
E nemmeno per tutti gli osservatori, ma solo per quelli inerziali. Un osservatore su un treno in moto rettilineo uniforme e uno fermo sulla banchina della stazione concordano sulla costanza della velocità della luce. Uno che sta su una giostra in rotazione, o in mezzo a una cascata, non la pensa mica così.
Per non parlare di come la gravità curvi la luce, che non si muove più su linee rette. Lo hanno scoperto dalle fotografie delle eclissi solari, e hanno verificato in questo modo che la teoria della Relatività di Einstein funzionava a dovere.
Quando poi la luce attraversa un mezzo (aria, acqua, olio, vino, smog, materia interstellare ecc.) la sua velocità cambia eccome, variando a seconda del mezzo che sta attraversando. Anche per gli osservatori inerziali di cui sopra.
È una cosa che conosciamo fin dai tempi degli antichi greci (e basta immergere un coltello in una bacinella con dell'acqua per vedere cosa succede alla luce rifratta: sembra che la lama del coltello si stia piegando, mentre è solo la luce che cambia velocità).
Si chiama "indice di rifrazione". L'ho studiato per la prima volta al liceo classico, al quarto anno.
Su tutto il resto: se non vedo le equazioni che provano qualsiasi cosa mi si dica che si intende provare (e un esperimento da realizzare in base a tali premesse che mostri qualsiasi nuova fisica, o qualsiasi errore cruciale della fisica vecchia), io sono come San Tommaso.
Che era pur sempre un brav'uomo — un santo, addirittura — ma se non vedeva, non credeva.
Per esempio, posso aspettare di vedere le nuove equazioni che rivoluzioneranno la fisica. Non ho fretta. Ne vedo a decine ogni giorno e ognuna mi promette una rivoluzione, ma per lo più hanno grossolani errori di matematica dentro o premesse che cozzano contro gli esperimenti (extra-precisi) che abbiamo già condotto. Io però aspetto fiducioso. Un giorno, magari, chissà.
Sarò il primo a stappare una bottiglia alla salute del nuovo avvenire e di chi ce lo ha mostrato, numeri ed esperimenti alla mano.
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t
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Ciò che dici è fuori discussione, o mi riferivo alla "costanza" della velocità della luce cui alludeva, p.es., Einstein
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Ok, allora non capisco proprio.
Einstein parlava della costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto e per osservatori inerziali, per motivi ben noti e chiari nel contesto della fisica classica (la luce è espressione delle perturbazioni di prim'ordine del campo elettromagnetico, ovvero i fotoni, che si propagano in forma di onda nei mezzi come l'aria o l'acqua, o nel vuoto). Non mi risulta che abbia spinto le sue considerazioni sulla costanza della velocità della luce oltre questi stretti e rigorosi margini.
Sempre Einstein, che di fisica ci capiva parecchio, era ben consapevole che tale costanza del modulo si perde quando la luce attraversa un qualsiasi materiale, e a seconda del materiale il modulo (cioè quanto, in metri al secondo, va veloce la luce) diminuisce; questo è noto, come ho scritto, fin dall'epoca dei greci, ed è verificabile in ogni casa mettendo un po' d'acqua in una ciotola e immergendoci un coltello. L'apparente deformazione della lama non è altro che l'effetto di come il nostro occhio percepisce il cambiamento di velocità di propagazione nella luce al passaggio dall'aria all'acqua.
Di nuovo Einstein era consapevole che il modo di propagazione della luce, anche nel vuoto, cambia in presenza della gravità (e c'è gravità ogni volta che c'è massa o energia di qualche tipo), e ha provato a costruire una teoria — la sua Relatività Generale — che incorporasse questo fenomeno in un quadro coerente e compatibile con i dettami della fisica galileiana (oltre che con la costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto per osservatori inerziali).
Ciò premesso, la velocità della luce (e ogni altra velocità) è un vettore, quindi è un oggetto dotato di tre sole caratteristiche salienti: modulo (quanto si va veloce), direzione (dove si va) e verso (ci si allontana o ci si avvicina a un punto assegnato). Se di costanza della velocità della luce si deve parlare, tale costanza può riguardare solo e soltanto una di queste caratteristiche, o una loro opportuna combinazione.
In Relatività Ristretta ciò che è costante è solo il modulo della velocità della luce (nel vuoto e rispetto a un osservatore inerziale). La direzione può cambiare, perché posso sparare un raggio di luce in qualsiasi direzione, come fa una lampadina di forma sferica o come fa il Sole, senza cambiare l'esito dei miei esperimenti. Il verso può cambiare (basta usare uno specchio e riflettere i raggi di luce).
Il che mi riporta alla domanda iniziale; probabilmente non mi è chiaro qualche passaggio, però basta capirsi e tutto si risolve. A quale elemento della velocità della luce, precisamente, ti riferisci tu quando parli di una sua "costanza"? In che contesto? Per quale osservatore (inerziale, non inerziale, classico, quantistico...)? In quale teoria fisica (meccanica classica galileiana, elettromagnetismo maxwelliano, relatività ristretta, relatività generale, meccanica quantistica standard o relativistica, elettromagnetismo carrolliano)?
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@Leonov said:
Il che mi riporta alla domanda iniziale; probabilmente non mi è chiaro qualche passaggio, però basta capirsi e tutto si risolve. A quale elemento della velocità della luce, precisamente, ti riferisci tu quando parli di una sua "costanza"? In che contesto? Per quale osservatore (inerziale, non inerziale, classico, quantistico...)? In quale teoria fisica (meccanica classica galileiana, elettromagnetismo maxwelliano, relatività ristretta, relatività generale, meccanica quantistica standard o relativistica, elettromagnetismo carrolliano)?A fine '800 Michelson ed altri dimostrarono e misurarono la finitezza ed il valore della velocità della luce; successivamente, mediante il confronto tra le misure di velocità misurate quando l'Osservatore e la fonte luminosa si muovevano in una direzione e poi nella direzione opposta, confronto che non mostrò differenze. Ciò e quel che ho inteso per "costanza della velocità della luce".
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Ok, quindi parliamo della costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto (vuoto che all'alba della fisica contemporanea era confuso con l'etere luminifero, di cui l'esperimento di Michelson e Morley aiutò a confutare l'esistenza).
E su questo punto ci siamo intesi, cosa di cui sono assai lieto.
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@Leonov said:
Ok, quindi parliamo della costanza del modulo della velocità della luce nel vuoto (vuoto che all'alba della fisica contemporanea era confuso con l'etere luminifero, di cui l'esperimento di Michelson e Morley aiutò a confutare l'esistenza).
E su questo punto ci siamo intesi, cosa di cui sono assai lieto. :)Grazie,
Quello che intendo evidenziare è che tale "costanza" e' dovuta al particolarissimo ruolo dell'Osservatore (con iniziale maiuscola, quindi l'IO) quale riferimento centrale assoluto a cui non ha senso attribuirgli un moto ma è unico riferimento di ogni moto e non solo.
Non pretendo di esaurire così questo complesso argomento, ma digitare lunghi argomenti su questo forum presenta difficoltà pratiche scoraggianti.
Uno dei problemi di base è il doversi accordare sul significato dei termini del linguaggio che bisognerebbe usare dal momento che ci troveremmo di fronte ad un capovolgimento di prospettiva: dall'oggettivistica (l''IO esterno al mondo) all'idealista (il mondo dentro l'IO); poi ci sarebbero problemi sul tipo di matematica idonea ad un siffatto cambiamento.
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Le difficoltà di linguaggio di cui al mio immediatamente precedente post di approccio cero di riassumerle così:
- qual è il senso di "realtà oggettiva" ?
- cosa è la dimostrazione sperimentale che deve conferire la certificazione di verità ad una tesi o teorema?
- Cos'è esattamente l'Osservatore?
Ciò è solo un anticipo delle questioni.
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Con riferimento al post precedente, e a questa frase di qualche giorno fa:
@mariodic said:
Uno dei problemi di base è il doversi accordare sul significato dei termini del linguaggio che bisognerebbe usare dal momento che ci troveremmo di fronte ad un capovolgimento di prospettiva: dall'oggettivistica (l''IO esterno al mondo) all'idealista (il mondo dentro l'IO); poi ci sarebbero problemi sul tipo di matematica idonea ad un siffatto cambiamento.
Ho qualche difficoltà anche su questo. La logica formale studia da tempo i linguaggi, siano essi naturali o artificiali, e da tempo conosciamo i trionfi e soprattutto i limiti (teorema di incompletezza di Gödel) dei sistemi formali.
Con il cosiddetto Calcolo Lambda (https://it.wikipedia.org/wiki/Lambda_calcolo) abbiamo uno strumento per analizzare non solo i linguaggi logicamente ben posti disponibili al momento, ma anche tutti quelli teoricamente possibili. Ivi compresi gli angoli oscuri e le sacche residuali di fraintendimento.
Mi risulta un po' difficile capire come un modello tanto potente e versatile possa fallire nel discutere di concetti di fisica, come quelli di Osservatore, che sono da tempo ben posti (ne parlavo qualche intervento fa). Certo, io sto supponendo che la discussione si svolga sul piano della logica, cioè che i ragionamenti siano consequenziali e ben formati, privi di ogni ambiguità voluta e predisposti alla comunicazione.
Se invece si vuol giocare poco pulito e parlarsi con l'intento di non capirsi, allora occorre davvero cambiare paradigma, perché la confusione non è il fine ultimo del Calcolo Lambda, né di qualsivoglia altro sistema logico formale. Però, da persona che cerca di capire come va il mondo, non saprei cosa farmene di un linguaggio volutamente ambiguo e contraddittorio.
Temo però che qui si confondano gli osservatori noti alla fisica (quantistica e relativistica generale), con una nozione assai più diluita di "singolarità essenziale del pensiero" che viene solitamente associata all'uomo — dall'uomo stesso, peraltro — e sul cui significato o valore ho bisogno di capire di più. In quel caso si sta cercando di dare un significato preciso a qualcosa di assai complesso, che abbraccia campi molto distinti, dalla topologia delle reti neurali visti come grafi astratti (nel senso di König? Non ne sono certo), alla biochimica dell'encefalo, alla fisiologia umanoide, alle neuroscienze cognitive.
Forse è qualcosa di più simile a questo, ciò di cui si parla in alcuni post di Mariodic. Ci sono però tante variabili in questo scenario (quattordici miliardi di neuroni, con milioni di miliardi di connessioni: un sistema a dir poco complicato da modellizzare) e, temo, troppe possibili spiegazioni per dare alla nozione di "uomo", di "io", o comunque si voglia chiamare questa ineffabile componente dell'Universo, un senso compiuto e dei margini ben definiti.
Quanto alle tre domande poste: cosa sia la "realtà oggettiva" è un problema aperto da quando abbiamo imparato come funziona la Meccanica Quantistica e da quanto cruciale sia il ruolo dell'apparato sperimentale nella determinazione di una misura e del suo valore (ed è solo tramite le misure che conosciamo qualcosa del mondo: lunghezze, tempi, cariche elettriche, intensità di campi magnetici, curvature mareali, ecc.). Si attende una teoria fisica, scritta in linguaggio matematico universale, che possa dare qualche indizio in più per la soluzione del problema — gravità quantistica? teoria quantistica del paradosso della perdita dell'informazione? teorie di stringa e di brana? supergravità? teorie di tipo Kaluza—Klein?
Non importa quale colpo di genio risolverà l'enigma: sappiamo soltanto che non sarà una cosa banale, come non era banale il calcolo differenziale quando Newton e Leibnitz ne vennero finalmente a capo. Ci sembra banale oggi, non lo era affatto al tempo.
Sulla seconda domanda abbiamo da decenni una risposta di ferro, chiamata complessivamente Metodo Sperimentale: ci si sbatte sempre il muso contro, ed è l'abisso nel quale precipitano tante cattedrali di fuffa costruite ad arte per vendere rimedi miracolosi o per consolidare posizioni politiche di nicchie e sette. Le regole del gioco le ha dettate Galileo Galilei, poi altri ci hanno ricamato sopra. Per una rassegna, rimando a questa voce enciclopedica: https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_scientifico Il Metodo Scientifico funziona perché ammette al suo interno un test di auto-consistenza, cosa che tutte le dogmatiche standard (religione in primis, poi alcuni sistemi filosofici, alcune correnti di pensiero politico ecc.) rifiutano con orrore, ed è lì che cascano.
Non so infine cosa sia "l'Osservatore" (a meno che non si parli di un personaggio dei fumetti Marvel, nel qual caso so perfettamente cosa sia e che faccia abbia; un indizio: è pelato e porta la toga romana. Dico sul serio), e continuo a non capire perché ce ne debba essere soltanto uno. Con tutta la diversità che abbiamo avuto e abbiamo ancora tra gli esseri umani, sia nella prospettiva storica che in una mera analisi statistico-geografica, non vedo perché insistere sul fatto che tutti vediamo il mondo allo stesso modo. I daltonici non distinguono certi colori, gli acromatopici vedono in bianco e nero, i sordi non sanno cosa siano i rumori e c'è chi non è in grado di percepire il dolore: eppure non ci sogniamo di chiamare quegli esseri umani "meno umani" per questo.
Secondo me di osservatori ce ne sono tanti, magari divisi in macro-classi; quelli classici e quantistici, per esempio, che vedono cose diverse osservando gli stessi sistemi fisici. Ora, a parte una colossale proiezione del proprio sé su tutto il mondo, che dovrebbe vederla in un modo "standard", "normale" (e chi lo decide cosa è normale, esattamente? basandosi su quali standard?), per quale motivo dovrebbe esistere un solo Osservatore? Prima ancora di chiarirci su cos'è, o forse per aiutarmi a mettere a fuoco il punto, sono curioso di capire come la si pensi si questo aspetto per me fondamentale.
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@Leonov said:
Con riferimento al post precedente, e a questa frase di qualche giorno fa:
Non so infine cosa sia "l'Osservatore" (a meno che non si parli di un personaggio dei fumetti Marvel, nel qual caso so perfettamente cosa sia e che faccia abbia; un indizio: è pelato e porta la toga romana. Dico sul serio), e continuo a non capire perché ce ne debba essere soltanto uno. Con tutta la diversità che abbiamo avuto e abbiamo ancora tra gli esseri umani, sia nella prospettiva storica che in una mera analisi statistico-geografica, non vedo perché insistere sul fatto che tutti vediamo il mondo allo stesso modo. I daltonici non distinguono certi colori, gli acromatopici vedono in bianco e nero, i sordi non sanno cosa siano i rumori e c'è chi non è in grado di percepire il dolore: eppure non ci sogniamo di chiamare quegli esseri umani "meno umani" per questo.
Secondo me di osservatori ce ne sono tanti, magari divisi in macro-classi; quelli classici e quantistici, per esempio, che vedono cose diverse osservando gli stessi sistemi fisici. Ora, a parte una colossale proiezione del proprio sé su tutto il mondo, che dovrebbe vederla in un modo "standard", "normale" (e chi lo decide cosa è normale, esattamente? basandosi su quali standard?), per quale motivo dovrebbe esistere un solo Osservatore? Prima ancora di chiarirci su cos'è, o forse per aiutarmi a mettere a fuoco il punto, sono curioso di capire come la si pensi si questo aspetto per me fondamentale.Detto in beve: l'Osservatore, che potrei pressappoco definire come la *coscienza critica assoluta, *è chi decide, p.es., se una "prova scientifica è soddisfacente o meno, se un evento qualchessia è caratterizzato da sufficiente "certezza" oppure no, ecc , al tutto si aggiunge che questo "Osservatore" è nell'Universo e non fuori, come si addice ad un giudice assoluto qual è questo.
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@mariodic said:
l'Osservatore, che potrei pressappoco definire come la *coscienza critica assoluta, *è chi decide, p.es., se una "prova scientifica è soddisfacente o meno, se un evento qualchessia è caratterizzato da sufficiente "certezza" oppure no...
Domanda: in quale lingua o linguaggio questo Osservatore pronuncia i suoi giudizi sulla realtà?
Per esempio: io mi appello a questa coscienza assoluta (che non sono io, perché io ho una coscienza parziale e una comprensione limitatissima della realtà) e pongo una domanda, magari chiamando l'Osservatore a pronunciarsi sul se sia accaduto un certo evento fisico (una collisione di due corpi celesti che dovrei poter osservare tramite un qualche telescopio). In che lingua o linguaggio pongo la domanda all'Osservatore per essere abbastanza sicuro di ricevere una risposta comprensibile. E in quale lingua o linguaggio mi risponderà l'Osservatore affinché io interpreti correttamente il suo giudizio?
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@Leonov said:
Domanda: in quale lingua o linguaggio questo Osservatore pronuncia i suoi giudizi sulla realtà?
Per esempio: io mi appello a questa coscienza assoluta (che non sono io, perché io ho una coscienza parziale e una comprensione limitatissima della realtà) e pongo una domanda, magari chiamando l'Osservatore a pronunciarsi sul se sia accaduto un certo evento fisico (una collisione di due corpi celesti che dovrei poter osservare tramite un qualche telescopio). In che lingua o linguaggio pongo la domanda all'Osservatore per essere abbastanza sicuro di ricevere una risposta comprensibile. E in quale lingua o linguaggio mi risponderà l'Osservatore affinché io interpreti correttamente il suo giudizio?La Coscienza assoluta (o IO) ha un unico interlocutore che è l'universo ossia Se stesso, il linguaggio è la Conoscenza e lo spazio della autointerlocuzione è l'errore, per es. l'insoddisfacente esito di un'azione qualchessia o di una teoria (visto che argomentiamo intorno a fatti di scienza), ma anche il dubbio del successo apparentemente conseguito. Se non vi fosse questo sfondo di incertezza il, diciamo, colloquio IO-Universo non vi sarebbe perché inutile per Conoscenza assolta
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@mariodic said:
Lo spazio della autointerlocuzione è l'errore, per es. l'insoddisfacente esito di un'azione qualchessia o di una teoria
Ok, a parte che questo Io assoluto mi ricorda tanto il Dio aristotelico che pensa sé stesso (e che è pertanto splendidamente inutile, data la sua natura tautologica, idempotente e alcontempo nilpotente); ho un problema con la frase citata.
Cosa si intende con l'aggettivo "insoddisfacente", e quale caratterizzazione precisa e quantificabile è prevista per l'errore?
Ovvero: cosa è un "errore" in questo contesto? Se lo è per l'Io assoluto, lo è anche per noi? E come facciamo a saperlo? Calcoliamo un risultato e controlliamo con un esperimento che qualcosa non torna? (Perché questo è ciò che comunemente si chiama errore, unito agli errori logici come fallacie, antinomie e contraddizioni, che si rivelano in uno scorrere imperfetto di un'argomentazione.)
Per esempio: la Meccanica Quantistica è incompleta, e lo sappiamo già da decenni (disuguaglianza di Bell, paradosso EPR, correlazioni super-causali nell'Universo fisico); la dobbiamo considerare "insoddisfacente"? Rispetto a quali standard? C'è una lunga lista di problemi aperti, ma non per questo la specie umana smette di usare la Meccanica Quantistica, anzi.
La Relatività Generale è quasi certamente una teoria con grosse lacune concettuali e strutturali (problema delle singolarità gravitazionali localizzate e/o cosmologiche, inadeguatezza della teoria della misura, presenza di soluzioni con curve di tipo tempo chiuse — universi di Gödel, Van Stockum, Gott, ecc. — problematicità essenziali nella quantizzazione canonica, limite semiclassico non ben compreso); in che senso queste lacune sarebbero un problema per l'Io assoluto? E come funziona il meccanismo della soluzione di un errore, a livello di teoria? Rivoluzione Kühniana o processo Machiano?
Ma soprattutto: l'Io assoluto parla solo con l'intero Universo (in che linguaggio non mi è ancora chiaro: un qualche linguaggio formale Turing-completo?), quindi noi come possiamo capire quando una teoria prodotta non dall'intero universo, ma solo da una sua piccola parte propria, cioè noi, è errata?
Da scienziato, una risposta ce l'ho: il metodo sperimentale di cui si parlava prima. Quello dà un giudizio inappellabile (almeno finché non si producono teorie con troppi parametri, ma su quello c'è una bella frase di un qualche fisico russo che diceva: "Una buona teoria ha un solo parametro libero, il cui valore reale viene misurato. Se il modello ha due parametri liberi, Landau [grandissimo fisico russo] può descrivere ogni teoria con quel modello. Se il modello ha tre o più parametri liberi,non serve nemmeno Landau per descrivere qualunque teoria con quel modello...").
Ma senza che qui mi sia esibita un'equazione, un teorema, un ragionamento quantitativo su cosa sta succedendo in questo sistema di pensiero, proprio non so come valutarlo. Se questo Io assoluto e la sua teoria non può essere provata errata, dicendola con Popper, come facciamo a giudicarlo un modello serio per una qualsiasi porzione di realtà?
Perché a fare astrologia sono buoni tutti — pure io, guarda un po' — mentre per parlare di cose serie, tipo mandare una sonda a fare foto ravvicinate su Plutone, o scoprire schemi di replicazione cellulare in grado di fermare un tumore, occorrono capacità affinate nel tempo, modelli matematici rigorosissimi e certificati dal metodo sperimentale, e una mostruosa coerenza strutturale del pensiero logico presentato.
Altrimenti è tutto un "Ofiuco ascendente Balena con la Luna in terza casa e l'Idra in casa base". Che è una frase simpatica per strappare un sorriso, ma non vuol dire niente; e in nessun modo ha la pretesa di raccontare come vada il mondo.
Dai, che secondo me ci stiamo avvicinando a punti interessanti del discorso; secondo me ne sta venendo fuori una discussione davvero sostanziosetta, oltre che piacevole.
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Per LEONOV
Mi limito ( solo per mancanza attuale di tempo fiducioso che spero di rimediare) a rispondere almeno alla prima domanda su cosa intendo per "soddisfazione". E' semplice: se un fisico sta elaborando una teoria e lavora per dimostrarla può trovarsi: a) di fronte ad un procedimento di prova su cui è covintamente fiducioso per precedenti numerose esperienze e/o er altro; b) di fronte ad un procedimento non così ben garantito perciò abbisognevole di ulteriori garanzie.
Orbene credo che ciò basti per graduare il livello di "soddisfazione" di quel ricercatore. Da notare che entrambi casi non sono esenti dal rischio di errore sia nella verità della teoria che nello sviluppo nel ciclo di prova sperimentale.
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@Leonov said:
L'Universo esisteva da molto prima che esistesse l'uomo, e al suo interno i fenomeni si svolgevano secondo leggi ben definite, ancorché sconosciute perché non esisteva nulla che potesse studiare e cercare di comprendere l'Universo stesso.
Rigurdo alle prime righe di questo post "L'universo eisteva da molto prima che l'uomo........" rispondo che ciò sarà vero per l'essere vivenete o animale uomo, non per l'Io o coscienza osservante!
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Mmm... pensierino della notte, breve e articolato in soli due punti secchi:
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Se l'Io o coscienza osservante di cui parli esiste dal momento in cui esiste l'Universo, lo permea e di fatto si identifica con esso, ed esisterà fino a che l'Universo stesso avrà vita, allora in cosa questa intuizione si differenzia dal classico Deus, sive Natura di Spinoza (per il quale l'Essere si identifica con l'Universo, e le regole della divinità altro non sono che le leggi di natura)?
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Se l'Io o coscienza osservante che dir si voglia è diverso dall'Universo, in che relazione è con esso? Ne è parte propria/sottoinsieme? Lo trascende? Lo intercetta in qualche piano di realtà, o in qualche evento saliente? E come fa l'essere umano (o qualsiasi altra civiltà senziente del Cosmo) a mettersi in relazione con esso? In che cosa si differenzia questo Io da una qualsiasi divinità delle religioni attuali ed estinte, dal Crono degli antichi greci allo Shinji Ikari di Neon Genesis Evangelion, ciascuno a suo modo divinità assoluta, eppure fragile e difettosa?
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SEMPLICITA?, COMPLESSITA?
Si tratta di *sentiti* ovvero di percezioni immediate, perciò indefinibili o mal definibili, così come il *tempo*, e ciò sia da parte dell?***o****sservatore* comune che dell?***O****sservatore unico *o* universale*. La differenza del secondo dal primo dei due modi di concepire l?osservatore può essere approssimativamente riassunta affermando che l?Osservatore è assimilabile ad una specie di *media* fra tutti gli esseri coscienti, comunemente immaginabili o percepibili come tali e facenti parte dell?universo. Ovviamente una definizione precisa va molto oltre il mero concetto di media; questo Osservatore è, infatti, percepibile o *sentito* come l?*IO cosciente *o *Coscienza osservante*, ma è molto di più. *Universo* e *Coscienza osservante* sono due facce inseparabili dell?Universo, e con questo si fondono in un amalgama recepito come *Conoscenza*, il cui significato va ben oltre quello usualmente attribuito a questa parola. L?autoreferenza tra Osservatore e Universo è proprio ciò che rende indefinibili concetti come IO, Universo, Tempo ed anche concetti come *semplicità *e *complessità.*
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Leggendo il libro di Carlo Rovelli ?La realtà non è come ci appare?, un ottimo libro di divulgazione scientifica, alla pagina 73 l?autore, a proposito della relatività generale, conclude così: ?E? una semplificazione impressionante del mondo. Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia. E? una delle componenti ?materiali? del mondo, è il fratello del campo elettromagnetico E? un?entità reale che ondula, si flette, s?incurva, si torce.?
Perché cito questo passaggio? Perché, a mio avviso, sembra esserci una nuvola ad adombrare l?enorme estensione di contenuti sottesi da questa conclusione importantissima dell?autore. Si tratta di rispondere alla domanda: ?ma rispetto a cosa, il campo o spazio citato, si torce e si flette?? forse rispetto ad un altro campo che tutto ingloba e che così possa servire da sistema di riferimento universale assoluto? *
Credo che questa ipotesi indichi una ragionevole direzione verso cui puntare per una risposta o, almeno, per una parte di essa; ma per concretizzare questo lavoro si suggerirebbe di prendere le mosse da ciò che già i pionieri della fisica quantistica ebbero a ventilare, quasi a mo? di illuminazione, cioè l?influenza che l?osservatore, che, all?epoca, non era che la persona del dotata di strumenti e della volontà per eseguire la* ?misura?, potrebbe avere sull?esito di quest?ultima. Oggi quell?apertura appare obliata nella quotidianità del lavoro scientifico, infatti il concetto di osservatore sembra rinchiuso negli striminziti limiti della definizione appena detta.
L?osservatore, in quanto non solo spettatore attivo sulla scena dell?attività scientifica, meriterebbe molta più considerazione di quanta glie ne sia di fatto riconosciuta. Prima di tentare una definizione di *osservatore *è utile predefinire l?osservazione.
L?osservazione è, nell?uso scientifico, sinonimo di misurazione; nel linguaggio comune questa precisazione può apparire fuorviante, ritengo, invece, che sarebbe meglio e più totalizzante dire che *l?Osservazione la *vita stessa dell?Universo e l?Osservatore ne è l?origine e il centro generatore; in un certo senso l?Osservatore è anche contenitore e contenuto dell?Universo stesso, la sostanza o spazio di questo Universo è la Conoscenza, che è pure la percezione di ciò è l?IO (da non confondere con l?io del senso comune).
Mi rendo ben conto che siffatte definizioni stonerebbero, a dir poco, in una tradizionale aula di fisica, ma bisogna pur ricordare che per dar luogo a definizioni rigorose sono necessarie basi, seppure evanescenti, da elevare comunque, e almeno provvisoriamente, al rango di principi indiscutibili, questo ruolo è dell?Osservatore e lo caratterizza come tale. Mi vengono in mente le acrobatiche difficoltà connesse all?accettabilità della primitiva e famosa definizione euclidea di retta, poggiata su sentiti percettive di immagini fisiche con evidente debolezza quanto a rigore, ma, se che giudicate col senno di poi, cioè dopo che ci si è abituati ad accettare ed a fidare sulla millenaria, ci accorgiamo che proprio la acquisita percezione di solidità della geometria euclidea ha finito col farci dimenticare le originali ?discutibilità? di quelle fondamenta. Il sistema euclideo, dunque, si sostiene su quelle basi, ma anche queste si auto perfezionano e si auto sostengono grazie all?auto-rafforzato. Si tratta dell?auto-referenzialità dei sistemi logici dell?Universo o, se si ritiene preferibile, dell?Osservatore.
La rilevanza assoluta dell?Osservatore (non semplicemente dell?osservatore) sulla scena scientifica sta nel fatto che, di questa scena, è l?autore, che la ha elaborata, poi anche il regista, l?attore, la comparsa, il suggeritore, lo spettatore, il critico e, soprattutto, il giudice che la chiude e, con essa, tutto il ciclo. Si comprende bene che da una siffatta scena nulla e nessuno può considerarsi esterno, questo vuol dire che neppure ciò che riteniamo essere un osservatore comune, lo è.
Quest?auto-referenza universale comincia ad essere concepita, più o meno consapevolmente a partire dall?ultimo quarto dell?800, per esempio, il positivista E. Mach credo ne avesse sentimento quando suggerì di estendere alla totalità delle masse dell?universo la cause di certi micro-equilibri locali. Fu proprio il lavoro di Mach ad alimentare in Einstein i principi della relatività generale, infatti qualche commentatore dell?opera di quest?ultimo, ha suggerito ai lettori interessati alla relatività, di immaginarsi all?interno del sistema in studio per seguirne, da coinvolti fisicamente, l?evoluzione di esso. In questo senso si può ben capire che l?influenza dell?Osservatore nell?esperimento è tutt?altro che banale. In senso esteso l?essere l?Osservatore dall?interno di un sistema in studio, giustifica, fra l?altro, anche i risultati di Gὃdel espressi col suo teorema applicato al nostro sistema matematico.ciauz: