- Home
- Categorie
- Società, Web e Cultura
- Società e Impegno Civile
- osservazioni intorno alla osservazione dell'Universo da prospettiva idealistica
-
?Trasmissioni televisive e riviste sull'argomento? (poi si vedrà quali) le salto a pie pari e mi pongo addosso tutta la*?osservazione? *di cui sono capace. Osservazione che?... mah, guardare ? penso ? le stelle, cercare di ricordarmi quello che ho mangiato due giorni fa, qualche riflesso d'attenzione su ciò che sto scrivendo in questo momento... E naturalmente il post di ?mariodic?.
Questo lo osservo bene e mi chiedo se valga la pena lasciare che un dubbio antico che mi lacerava da bambino, ormai da vecchio, vada in progress maturando in problemuccio (sono molto lontano dalle *?problematiche?*)... **[ 'Problematiche'**** suppongo significhi un intreccio ingarbugliatissimo di problemi ****come ****stra/usano il termine con amore politici ed amministratori****! ****]** che sarà difatti tale il mio: un problemuccio. Per cui tra lo stordito, il cretinetti e il curioso ? qui/a giocare al contro/verso ? scelgo quella forma di scrittura a ruota libera dei giornalisti, che sanno chi più/chi meno soltanto discorrere/discorrere.
Dove m'impunto da subito discorrendo?... in ?materia oscura?, concetto detto e ripetuto fra parentisi impropria seppure l'ortografia esista. Che è quasi titolo, cardine, forse lo spettro che s'aggira per tutto il post suddetto. Così decido di camminare verso il precipizio come a volermi gettare da un picco del Gran Canyon: l'oscuro m'affascina alla maniera di come Leonardo ? lessi da qualche parte ? inoltrandosi, si descrisse un giorno andando per grotte.
Ci penso un po' e mi chiedo perché da qualcuno (i ?fisici? ad esempio) certa materia è oscura?... Io direi semplicemente altra, probabile, ancora sconosciuta ma supponibile, magari lucente/lucentissima: diamole insomma degli aggettivi d'una qualche lunghezza e sonorità sillabica a questa materia!... Altrimenti facciamo come coi bambini: impressioniamo ad hoc, il cervellino si stanca, il pupo s'addormenta. [No/no, mancanza d'idee, *****?fantasia? *****stenta, il** linguaggio è pochino: i fisici ? credo ? non sanno scrivere.****]**
Io, ?l'Universo?, più che vederlo lo suppongo; dal che non saprei, tanto per dire, se ?cresce? o *?diminuisce? *nel suo particolare. Invece di materia ne vedo tanta/me stesso e trilioni di cose, ma non vedo quella oscura ? fa niente. Però una ammissione per estensione la faccio: se ammetto che l'universo sia fatto di materia che ? parte di essa ? è ?mancante? (come se non ci fosse), ovvero ignota... (ecco, oscura significa ignota che è aggettivo meno suggestivo/più comprensibile?), ammetto anche il vuoto: ad esempio quello sidereo. Errore!... ? si dirà: il vuoto sidereo è anch'esso fatto di materia. Per cui m'illumino: ho capito/capito!!... la materia oscura è il vuoto sidereo (difatti abbastanza nero lo è di certo). Macché/non ci arrivi/lascia perdere ? continueranno a dirmi i fisici: poniti pure problemucci, ma lascia perdere le problematiche! M'arrendo, gli do retta, seppure l'istinto mi spinge verso un'altra parola/spunto che mi suggerisce dall'inizio del post mariodic?... ?L'antimateria?! (Che a dire il vero ?è scarsa rispetto alla materua?.**)
Arrivo **[ ****per il momento ****] **ad una prima conclusione su cui non nutro dubbi: l'antimateria è scarsa come me che non arrivo a capire. Per cui decido sull'attimo di gettarmi adesso come prima, anziché da un picco del Gran Canyon, questa volta in uno di quei ?buchi neri? (che pare che esistano nell'universo anch'essi).
-
Per tener dietro a una ruota libera ci vuole tutta la stabilità dell'universo.
Per fortuna, Sant'Isacco Newton, Sant'Alberto Einstein e San Cristiano Møller son con noi. Quanto alla stabilità...
"La nostra stabilità è soltanto un equilibrio, e la saggezza sta
nell'abile amministrazione dell'imprevisto."(Robert Bridges, The Testament of Beauty, I, 6–7)
La materia oscura si chiama così perché non la vediamo, ma abbiamo al contempo dati sperimentali che sembrano suggerire la sua esistenza. È "oscura" perché ciò che vediamo in ultima istanza è legato alla luce, mentre la materia oscura non "brilla" in nessun modo, per definizione — ma questo non vuol dire che non ci sia: c'è una messe sorprendente di stelle troppo flebili perché noi possiamo vederle, anche col più potente dei telescopi; ma ciò non vuol dire che non ardano da qualche parte, incessanti e indifferenti.
Detto meglio: la materia oscura "fredda" (cold dark matter) proprio non interagisce con il resto della materia di cui siamo fatti e che vediamo intorno — quella che noi "vediamo" esattamente perché la luce rimbalza sulle cose e colpisce i recettori nei nostro occhi deputati a ricevere i fotoni; l'interazione determina la percezione, e senza interazione, non c'è percezione (ma ciò non vuol dire che non ci sia esistenza: esistono per esempio miliardi di persone al mondo con cui nessuno di noi interagisce in alcun modo, ma non per questo neghiamo la loro esistenza). Al contrario, la materia oscura "tiepida" (warm dark matter) ha interazioni debolissime che tutti cercano di misurare, ma che nessuno ha ancora "colto sul fatto".
E dunque la chiamiamo oscura. In realtà c'è anche una materia oscura "calda" (hot dark matter), quindi magari la tridimensione di Euro torna a fare capolino là dove meno ce lo si aspetterebbe, ma c'è grande dibattito su questo e prima che si decida un albero genealogico sarebbe bello trovarla, la materia oscura. ci stanno lavorando in tanti: la scienza è ormai quasi ovunque un'avventura sociale, non una scalata in solitaria.
La materia oscura non c'entra niente con l'antimateria. Il discorso è lungo, ma possiamo dire che, mentre materia (visibile e oscura) e antimateria (visibile e oscura) sono tra loro speculari come i poli opposti della calamita, materia oscura e materia visibile sono gusti diversi del concetto di gelato (limone e cioccolato, per dire); non opposizione polare, ma semplice differenza in alcuni aspetti della medesima specie.
Ah, che la materia oscura esista lo inferiamo da prove indirette, di origine astrofisica, legate alla stabilità strutturale e al moto collettivo di grandi ammassi galattici. Ciò vuol dire che potrebbe anche non esistere, e i nostri modelli attuali che spiegano il sistema del mondo (precisamente: la stabilità e la meccanica delle galassia) potrebbero essere sbagliati, sebbene su molti altri aspetti ci azzecchino con spaventosa precisione. Quando avremo prove migliori, decideremo. Nel frattempo, possiamo fare modelli.
Concordo, problematiche è tremendo.
Il vuoto sidereo non so cosa sia. Potremmo chiederlo a qualche esperto di flogisto, etere sottile e fuochi fatui, ma mi sa che son tutti passati a miglior vita. Quelli seri titolati a discettare sul tema, intendo. In compenso oggi sappiamo (per averlo "visto", in un modo piuttosto inequivocabile) cosa sia ciò che riempie lo spazio — assai poco denso di materia, ma non vuoto — tra le stelle (il mezzo interstellare), quello tra le galassie (il mezzo intergalattico), e quello che si frappone tra strutture più grandi.
"Vuoto" è un concetto del tutto diverso, solitamente legato all'infinitamente piccolo e non all'infinitamente grande. C'è probabilmente del vuoto nell'universo e del vuoto nelle particelle elementari, ma non è proprio la stessa cosa. Il secondo è davvero vuoto, il primo è solo il garage di un grande ufficio a ferragosto: pochissima gente, ma non vuoto.
Poi boh, qui si dubita della materia oscura ma sembra che si accettino a scatola chiusa i buchi neri — quelli sì, un bel problema; altro che problematiche: sono proprio problemi tosti, di quelli da mal di testa perenne. Ecco, dei buchi neri sappiamo veramente poco, matematica sofisticata a parte. Osservarli non si può, almeno non in modo convenzionale (se li chiamano "neri", che è ben peggio di "oscuri", ci sarà un motivo), gli effetti indiretti sono assai vari, i modelli teorici hanno gravi punti deboli... C'è da discuterne seriamente.
E se tutti ci dedicassimo a risolvere seriamente i problemi, invece delle "problematiche" (un termine che va per la maggiore in ambiti filosofici, mi è parso leggere passim), ci sarebbe un bel po' di aria fritta in meno, un bel po' di soluzioni in più, e l'ignoranza — che, è bene ricordarlo, non è un punto di vista: lo dico come considerazione generale, essendo forse la cosa che ho imparato con più fatica in tutti questi anni — sarebbe una malattia dimenticata come il vaiolo, non una peste che attenta ogni giorno alla stabilità culturale che abbiamo faticosamente conquistato.
Amministrando abilmente gli imprevisti.
-
Ho ripescato con piacere i post di Leonov ed Euoscini e del mio, scritti qualche tempo fa. Leonov criticava l'assenza di riferimenti matematici nel mio argomenta su questioni scientifiche dove la matematica è strumento indiscusso. Al riguardo mi permetto di sostenere che la matematica schizza, in modo più o meno ricco di informazione, la così detta realtà così come un bravo caricaturista richiama molto bene, con pochi e brevi tratti di matita, l'immagine di una persona ben conosciuta. Questo mi pare abbastanza ovvio; ci si potrebbe chiedere: come è possibile compendiare in quei pochi tratti ciò che non riesce neppure a una foto? Si risponde che tutta la informazione sul personaggio schizzo è già contenuta nel sistema universo a cui è diretta l'esca dello schizzo
-
È un giudizio molto modesto quello che attribuisci alla matematica.
Forse è come dici, ma ti invito alla seguente considerazione: l'edificio in cui vivi, la macchina che guidi, il telefonino con cui comunichi e il computer con cui hai scritto il post precedente sono costruiti sulla base di precisi calcoli matematici, che garantiscono (nel senso che predicono con uno scarto considerato accettabile da parte dell'industria che realizza oggetti in serie, su larga scala) il buon funzionamento di sistemi estremamente complessi.
Sistemi di cui, prima di eseguire i conti, non sapevamo granché: un cellulare è stato prima pensato (con un sacco di conti) e solo dopo prototipato (altri conti) e infine messo sul mercato globale (inutile dirlo: altri conti).
Gli aerei stanno sù in ragione del fatto che abbiamo compreso le leggi (matematiche) della fluidodinamica laminare — teorema di Bernoulli — e che abbiamo capito come sagomare le ali dei velivoli per sfruttare le scoperte sul comportamento dell'aria (usando trasformazioni conformi del piano complesso, non semplici bozzetti "alla buona"). E via dicendo, ché la lista è lunghissima.
Quando si parla di "leggi di natura" si dovrebbe sempre scrivere "leggi matematiche": quello che noi conosciamo oggi del mondo, dove "conoscere" qui significa "sappiamo di che stiamo parlando perché abbiamo fatto i conti, abbiamo misurato dal vero e le due cifre coincidevano sostanzialmente" lo dobbiamo alla matematica, che non sbaglia un colpo (quando sbaglia, o c'è dietro un errore umano o stiamo testando l'ipotesi errata) e alla fisica, che invece può prendere più facilmente un abbaglio, ma non tanto spesso quanto si possa pensare.
Tutto il resto sono parole, ottime per creare cose bellissime come le poesie o le storie — cui non fatico a riconoscere un ruolo di prim'ordine nel panorama culturale — ma assai meno utili quando si tratta di progettare una navetta che porti la gente sulla luna.
Poiché però, da scienziato, sono sempre aperto alle smentite, lancio qui come altrove il guanto di sfida; quando una teoria radicalmente diversa da quelle fino a qui prodotte dall'umanità mi consentirà di costruire un apparecchio per le TAC senza fare uso di matematica, fisica e altre scienze, dandomi lo stesso livello di conoscenza che il "bozzetto" chimico-fisico-matematico mi dà oggi di un corpo umano fotografato con la TAC, allora sarò il primo ad applaudire. Dico sul serio, nessuna ironia o sarcasmo.
-
Non metto in discussione tutto quanto hai detto, che è assolutamente furi discussione. Ciò che intendevo dire forse non stato ben compreso perché il mio intervento è stato molto strimenzito è superficiale.
Comunque ti ringrazio per l'intervento e per altri che vorai fare.u
ta
me
tec
-
Citazione
?Sono piuttosto curioso di conoscere il collegamento che tu ravvisi tra fisica e fantasia: sebbene certe idee sembrino emergere quasi da un'ineffabile intuizione primigenia di alcuni eccelsi pionieri (la teoria degli spazi funzionali di Hilbert come traduzione astratta della rappresentazione delle funzioni d'onda di Schroedinger in meccanica quantistica, o l'audace introduzione delle varietà differenziabili curve nella rappresentazione dello spaziotempo di Einstein), c'è dietro a ciascuna di esse una grande meditazione e un lavoro certosino di ricucitura col quadro matematico e sperimentale circostante. Einstein credeva fortemente che Galilei e Newton avessero ragione, quando superò senza interruzione di continuità il modello standard della gravitazione e introdusse la sua visione della relatività, e (oltre a commettere qualche errore, come tutti), non "rivoluzionò" proprio nulla. Più che altro, mise le cose a posto, dal momento che la sua interpretazione (matematica) della realtà dava predizioni (sperimentali) più accurate di quelle fornite all'epoca del modello imperante.Esperimento ? cioè messa alla prova della realtà, che è quella che è, punto e basta ? e logica/matematica. Sempre da lì si parte, e sempre lì si va a finire.?
Il collegamento tra fisica e fantasia è, secondo me, piuttosto semplice. Cito qualche esempio:
- L?ipotesi del ?quantum? di M. Plank fu una sua, diciamo così, ?sparata?, non sapendo (o non avendo, al momento, migliori idee) su come dare una spiegazione ragionevole (almeno per quell?epoca) alle incongruenze che sembravano minacciare la validità delle tranquille le leggi classiche sulla relazione tra frequenza elettromagnetiche e l?energia, che avrebbero dovuto valere anche negli esperimenti sul ?corpo nero? su cui Plank era allora impegnato.
- La fantasia non dovette mancare ad Einstein quando concepì l?idea di tradurre in coordinata spaziale quella temporale il ché aprì un bel varco nella visuale fisiche circa le proprietà puramente matematiche dello spazio per altro da tempo studiate, appunto, dalla matematica astratta.
- Nella definizione del principio di indeterminazione, Heisenberg adottò le dimensioni del quantum plankiano come riferimento di misura di base per calcolare il limite estremo oltre il quale tutto è tabù assoluto per la penetrazione conoscitiva di qualsiasi tipo, non solo in fisica. Soprattutto il salto di fantasia maggiore è consistito nella generalizzazione di quel risultato, dichiaratamente destinato a specificare i limiti di precisione tra posizione spaziale e velocità dei corpi, ad ogni altro argomento logico, scientifico e ?direi io- teologico.
- C?è poi la cosa più difficile da digerire ?specialmente per coloro che operano nei laboratori di ricerca sperimentale nel ramo quantistico -dove è inevitabilmente più forte la così detta deformazione professionale-. parlo della denominazione di ?particella? assegnata a qualcosa che è un modello logico legato a determinate ed attese reazioni recepibili strumentalmente (quando lo siano davvero) e non particella di materia.
Non mi dilungo oltre se non per dire che mi sta bene tutto, l?unica cosa che vorrei auspicare è una rieducazione, o, meglio, una rieducazione dei ricercatori ad una visione meno oggettivistica del mondo, quindi più idealistica, almeno per quanto possa essere possibile; ma qui si innescherebbe un altro ben più lungo discorso.
-
@Leonov said:
.
È sempre un piacere confrontarsi con la curiosità e la sete di conoscenza, ma occhio: quando ci si spinge a confrontarsi con la natura ultima delle cose, l'Universo pone domande assai difficili, cui è complesso rispondere — se risposta esiste — e non sempre bastano le sole parole. anzi, per lo più a quel livello parlare è inutile. Il Mondo si esprime fluidamente in una lingua che non è umana (e ride di noi in un modo a volte assai sguaiato).
Per fortuna, ad oggi il linguaggio del Mondo che abbiamo potuto scoprire è sempre stato logico e oggettivo, ed è grazie a questo piccolo dettaglio che siamo potuti diventare così abili nel decifrarlo. La Fisica su cui in troppi sembrano voler gettare discredito ad ogni piè sospinto resta ancora il nostro miglior monumento all'abilità umana di capire come stanno le cose, e di farci qualcosa di utile per il progresso materiale della specie.
Gia!
-
*UNA OSSERVAZIONE ***** Che reputo importante
Leggendo il libro di Carlo Rovelli “La realtà non è come ci appare”, un ottimo libro di divulgazione scientifica, alla pagina 73 l’autore, a proposito della relatività generale, conclude così: “E’ una semplificazione impressionante del mondo. Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia. E’ una delle componenti “materiali” del mondo, è il fratello del campo elettromagnetico E’ un’entità reale che ondula, si flette, s’incurva, si torce.”
Perché cito questo passaggio? Lo cito perché, a mio avviso, nasconde un, diciamo, buco nero che oscura, sempre a mio modesto avviso, il valore enorme sotteso da questa conclusione importantissima dell’autore. Si tratta di rispondere alla domanda: “ma rispetto a cosa, il campo complesso citato, si si torce e si flette?” Forse rispetto ad un altro campo che tutto avvolge e che può serve da riferimento universale assoluto?:x Io avrei una mia risposta....
-
@Leonov said:
È un giudizio molto modesto quello che attribuisci alla matematica.
Quando si parla di "leggi di natura" si dovrebbe sempre scrivere "leggi matematiche": quello che noi conosciamo oggi del mondo, dove "conoscere" qui significa "sappiamo di che stiamo parlando perché abbiamo fatto i conti, abbiamo misurato dal vero e le due cifre coincidevano sostanzialmente" lo dobbiamo alla matematica, che non sbaglia un colpo (quando sbaglia, o c'è dietro un errore umano o stiamo testando l'ipotesi errata) e alla fisica, che invece può prendere più facilmente un abbaglio, ma non tanto spesso quanto si possa pensare.
Tutto il resto sono parole, ottime per creare cose bellissime come le poesie o le storie — cui non fatico a riconoscere un ruolo di prim'ordine nel panorama culturale — ma assai meno utili quando si tratta di progettare una navetta che porti la gente sulla luna.
Poiché però, da scienziato, sono sempre aperto alle smentite, lancio qui come altrove il guanto di sfida; quando una teoria radicalmente diversa da quelle fino a qui prodotte dall'umanità mi consentirà di costruire un apparecchio per le TAC senza fare uso di matematica, fisica e altre scienze, dandomi lo stesso livello di conoscenza che il "bozzetto" chimico-fisico-matematico mi dà oggi di un corpo umano fotografato con la TAC, allora sarò il primo ad applaudire. Dico sul serio, nessuna ironia o sarcasmo.
Leggendo il libro di Carlo Rovelli “La realtà non è come ci appare”, un ottimo libro di divulgazione scientifica, alla pagina 73 l’autore dice, a proposito della relatività generale, dice conclude così: “E’ una semplificazione impressionante del mondo. Lo spazio non è più qualcosa di diverso dalla materia. E’ una delle componenti “materiali” del mondo, è il fratello del campo elettromagnetico E’ un’entità reale che ondula, si flette, s’incurva, si torce.”
Perché cito questo passaggio? Lo cito perché, a mio avviso, nasconde un, diciamo, buco nero che oscuri, sempre a mio modesto avviso, il valore enorme sotteso da questa conclusione importantissima dell’autore. Si tratta di rispondere alla domanda: “ma rispetto a cosa, il campo complesso citato, si si torce e si flette?” Forse rispetto ad un altro campo che tutto avvolge e che può serve da riferimento universale assoluto?
-
Innanzitutto complimenti per la scelta del libro.
Ho avuto il piacere di conoscere Carlo Rovelli, e di ritrovarlo a più riprese in giro per conferenze (in quei casi non a scopo divulgativo, ma in qualità di alfiere principale della Loop Quantum Gravity, la "sua" teoria della gravitazione, che prova a completare ed emendare quella di Einstein). È persona amabilissima, con la quale ogni conversazione è gradevole, sia che si parli di fisica contemporanea sia che si spazi verso filosofia, arte e storia. Un pensatore eclettico del tipo di cui ci sarebbe un gran bisogno, nella comunità dei fisici e fuori.
Quanto alla questione "rispetto a chi fluttua e si torce il campo", la questione è sottile ma non impossibile da spiegare. Cerco di procedere per punti salienti.
Potremmo essere tentati dal credere che le fluttuazioni dei campi (compreso quello gravitazionale) avvengano rispetto a un qualche riferimento assoluto; possiamo scegliere di identificare tale riferimento con spazio e tempo, come faceva Newton, oppure con un qualche etere quintessenziale, ripetendo la lezione di Aristotele. In tutti questi casi il problema diventa quello di inventarsi un esperimento che metta in luce in qualche modo la presenza del riferimento assoluto, facendolo svettare nella folla di altri campi (cangianti e variegati) che si agitano intorno, sopra o dentro il riferimento assoluto.
C'è però un'altra via, ed è quella adottata da Einstein nella sua stesura della Relatività Generale. Con un salto concettuale poderoso, Einstein ha mostrato che non c'è bisogno di alcun riferimento assoluto rispetto al quale le cose accadono, ma che invece tutto l'Universo è fatto solo di interazioni e "dialoghi" tra campi (elettromagnetico, gravitazionale, spinoriale, scalare di Higgs ecc.), in un continuo influenzarsi reciproco. Einstein è fortemente debitore ad Ernest Mach per questa idea, e ad altri suoi coevi che lo ispirarono nella sua ricerca di una strada nuova.
Il salto concettuale è poderoso, dicevo, ma assolutamente non originale: era già Cartesio, se non erro, che pensava al mondo come a una relazione, invece di vederlo come un ente (e dunque un ente rispetto a qualcos'altro); la novità sta nel fatto che Einstein ha spiegato, in un linguaggio matematicamente preciso, in che modo l'Universo sia riguardabile come pura collezione di relazioni, senza bisogno che ci sia qualcosa di esterno e fisso a dettare uno standard assoluto e immutabile.
Un'analogia geometrica può aiutare a capire la questione: immaginiamo di viaggiare su una strada di montagna, che si inerpica su un pendio. Saliamo e giriamo e cerchiamo di non precipitare con l'auto. La strada si flette e si torce, giusto?
Beh, è giusto se pensiamo di poter guardare la strada dall'esterno e da un punto di vista lontano (da un elicottero, per dire, o dalla cima del monte) e disegnarne la sua forma nello "spazio assoluto" che ha per riferimento la montagna o la posizione dell'elicottero; quello è il cosiddetto punto di vista estrinseco, con la strada che si sviluppa come una curva in una mappa 3D, vista "da fuori".
Possiamo pensarla però anche in un altro modo: se rendiamo opachi i finestrini dell'auto, e ci priviamo della vista di ciò che sta all'esterno dell'abitacolo, perdiamo il "riferimento assoluto", ma potremo ancora renderci conto che la strada si flette e si torce piazzando delle livelle a bolla d'aria nell'auto, perché le bolle si muoveranno nelle loro guide man mano che ci spostiamo lungo il tracciato. A questo punto non esiste più uno "spazio assoluto" a cui fare riferimento, ma è solo la relazione tra le bolle nelle livelle, che sono interne al nostro "laboratorio", a dirci che ci stiamo muovendo lungo un tracciato complicato. Quello è il punto di vista intrinseco, e la fisica non è più riferita a nient'altro che non siano altri oggetti e strumenti, senza possibilità di accedere ad alcun riferimento esterno. I risultati sono gli stessi dal punto di vista della descrizione del nostro percorso, ma abbiamo guadagnato il fatto di non dover più fare riferimento a qualcosa di lontano e inaccessibile (cima del monte, elicottero, altri picchi lontani ecc.), preferendo una soluzione tutta a portata di mano.
Il passaggio concettuale della fisica contemporanea è stato quello di adottare un punto di vista interamente intrinseco, che ha reso l'Universo una relazione e non più un ente. I campi si flettono e si torcono rispetto ad altri campi; noi crediamo di conoscere tutti i campi esistenti, e il loro modo di interagire che determina l'assetto corrente del nostro mondo.
Buon proseguimento di lettura.
-
Grazie** Leonov** per la tua elaborata risposta al quesito da me posto. Ho preso atto dell'ottimo esempio delle bolle che si muovono dal "di dentro" come pure la calda raccomandazione di Rovelli di abituarsi a guardare il mondo ancora dal "di dentro", raccomandazione, questa, che mi piace assumere come se l'avessi posta io medesimo, fatta salva solo la differenza dei termini: io uso dire, in certi post di questa e/o di altre discussioni sull'argomento, "guardare il mondo secondo una visuale idealistica". Tuttavia non nego che la versione "guardare dal di dentro" è di comprensione più immediata.
Ad ogni modo, fatti salvi tutti gli apprezzamenti positivi di queste risposte, ho l'impressione che manchi in esse qualcosa di veramente conclusivo. L'esempio delle bolle, che ha menzionato nel tuo post, implica una valutazione dei cambiamenti del moto e delle posizioni delle bolle e precisamente la memoria che il sistema deve avere del prima e del *dopo *di un certo istante. Qui sto pensando a vecchie letture di divulgazione degli eventi che portarono alla nascita della MQ dove mi colpì una frase dove si riconosceva l'***osservatore ***come parte integrante del sistema dell'esperimento. Ritenni ciò cosa ovvia; però mi sono accorto che dopo anni e altre letture su questo argomento, quell'affermazione sembra praticamente dimenticata nei fatti dal mondo scientifico. Penso che forse proprio qui bisogna cercare per completare, in generale, la tua risposta, pur essa generale, al mio quesito.
-
@Leonov said:
I
Possiamo pensarla però anche in un altro modo: se rendiamo opachi i finestrini dell'auto, e ci priviamo della vista di ciò che sta all'esterno dell'abitacolo, perdiamo il "riferimento assoluto", ma potremo ancora renderci conto che la strada si flette e si torce piazzando delle livelle a bolla d'aria nell'auto, perché le bolle si muoveranno nelle loro guide man mano che ci spostiamo lungo il tracciato. A questo punto non esiste più uno "spazio assoluto" a cui fare riferimento, ma è solo la relazione tra le bolle nelle livelle, che sono interne al nostro "laboratorio", a dirci che ci stiamo muovendo lungo un tracciato complicato. Quello è il punto di vista intrinseco, e la fisica non è più riferita a nient'altro che non siano altri oggetti e strumenti, senza possibilità di accedere ad alcun riferimento esterno. I risultati sono gli stessi dal punto di vista della descrizione del nostro percorso, ma abbiamo guadagnato il fatto di non dover più fare riferimento a qualcosa di lontano e inaccessibile (cima del monte, elicottero, altri picchi lontani ecc.), preferendo una soluzione tutta a portata di mano.
Il passaggio concettuale della fisica contemporanea è stato quello di adottare un punto di vista interamente intrinseco, che ha reso l'Universo una relazione e non più un ente. I campi si flettono e si torcono rispetto ad altri campi; noi crediamo di conoscere tutti i campi esistenti, e il loro modo di interagire che determina l'assetto corrente del nostro mondo.
Buon proseguimento di lettura. :)credo che un "campo" di riferimento assoluto c'è ed è...l'Osservatore (con la O maiuscola) altrimenti detto l'***IO, ***citato ma di fatto dimenticato dai padri della MQ, il quale è in grado di auto-correggersi quando si accorge, non importa come, che i conti del Suo sistema universo non tornano; poco importa se le sue correzioni non rimediano ai conti, vi ritornerà sopra imperterrito. Sto parlando di un giudice imparziale e severo di Sé medesimo. Basta appena un po' di riflessione per accorgersi di ciò. Forse sarebbe il caso di pensare ad una matematizzazione di quest'ultimo campo assoluto, ma bisognerebbe rivoluzionare la matematica tradizionale (per altro un po' aggiustata per la MQ)
-
Quest'ultimo passaggio è molto delicato, e mi lascia assai perplesso.
L'Universo esisteva da molto prima che esistesse l'uomo, e al suo interno i fenomeni si svolgevano secondo leggi ben definite, ancorché sconosciute perché non esisteva nulla che potesse studiare e cercare di comprendere l'Universo stesso.
Allo stesso modo, in un tempo molto rapido rispetto alle scale cosmologiche, la specie umana sarà cancellata dalla faccia del mondo; un destino identico riguarderà ogni altra possibile civiltà intelligente, ammesso che ne esistano da qualche parte, fuori dal Sistema Solare.
Supponiamo allora per un momento che il sistema di riferimento assoluto sia l'Io, o l'Osservatore (c'è secondo me una differenza fondamentale tra i due concetti, che chiarisco fra un attimo); per cominciare, non ho capito se intendi l'Io di ogni singolo uomo, o una specie di Io collettivo/astratto/panenteistico che vale per tutti gli uomini ed è uguale a sé stesso nello spazio e nel tempo. Scelte diverse in tal senso portano a colossali differenze concettuali e teoriche.
Andiamo con ordine, e cominciamo da quello che consociamo. Osservatore: esistono due nozioni distinte di "osservatore", fra di loro non incompatibili ma non del tutto concordanti; una classica e una quantistica.
La nozione classica di osservatore è quella di una linea oraria nello spaziotempo (la storia dell'Osservatore stesso, il quale è pensabile, al livello più basso, come un micro-computer che registra eventi e assegna a ciascuno un'etichetta oraria, sparando informazioni su tali collezioni di eventi mediante raggi laser che possono intercettare altri osservatori nei dintorni), in ogni punto della quale è lecito erigere una quaterna di assi di riferimento (in realtà, una classe di equivalenza di siffatte quaterne, differenti l'una dall'altra per una quadri-rotazione lorentziana propria ortocrona). Riferimenti costruiti in punti diversi della medesima linea oraria daranno all'Osservatore un quadro coerente della fisica circostante solo se collegati da una speciale trasformazione, detta "trasporto misto di Fermi–Walker". A parte questi dettagli formali, la nozione di "osservatore" è ben posta e formalmente impeccabile: l'osservatore è in tal senso un ente astratto e "assoluto" in quanto concetto, ma affatto unico (esistono infiniti osservatori, tutti costruiti in conformità alle medesime regole). Non è un campo, essendo localizzato nello spaziotempo. Esistono inoltre vari problemi piuttosto seri sul come possano parlarsi tra loro due osservatori, ai quali sono state date risposte parziali (ma tutto sommato convincenti), e la questione è ancora discussa, però i contorni sono noti e definiti.
Parimenti ben posta, anche se non sempre banale da caratterizzare, è la nozione di osservatore in ambito quantistico; qui "osservare" significa di fatto "eseguire un esperimento", ovvero applicare un operatore di proiezione sullo spazio hilbertiano dei possibili esiti di una misura e determinare il valore assunto da una quantità osservabile sullo specifico stato quantistico del sistema (funzione d'onda, ovvero una funzione a quadrato sommabile definita sullo spazio hilbertiano predetto). L'osservatore quantistico non è un uomo, ma qualsiasi apparato di misura in grado di determinare in modo univoco e preciso un certo risultato, portando al collasso della funzione d'onda in una sola delle sue infinite configurazioni possibili (in alcuni di questi esperimenti l'osservatore è un uomo, in altri un magnete, in altri una coppia di piastre cariche ecc.). Di nuovo, esistono alcuni problemi concettuali, ma la base teorica e formale è ben posta, e quella dell'osservatore quantistico è una nozione coerente, almeno nel paradigma oggi accettato.
Da questo inciso si ricavano due lezioni importanti: la prima, sappiamo di cosa parliamo quando parliamo di osservatore, almeno a grandi linee, e con queste nozioni costruiamo teorie che funzionano molto bene; la seconda, in nessun caso la nozione di osservatore esige che si parli di un essere umano (ci mancherebbe pure: la fisica e la matematica sono universali e riguardano il mondo, con o senza l'uomo a far parte dello scenario), non menzionando alcuna caratteristica saliente tradizionalmente attribuita all'uomo — la coscienza per esempio.
Il che ci porta al secondo punto che mi lascia perplesso nel tuo argomento: di che cosa parliamo quando parliamo di questo tuo "Io/Osservatore"? Se adottiamo la definizione tradizionale (osservatore classico o quantistico), il concetto di "io" è irrilevante, e ad osservare possiamo mettere anche un macchinario; se invece ci convinciamo della necessità di un qualche tipo di coscienza o auto/coscienza, allora ci sono altre domande che emergono a cascata, tra cui:
• L'Io è universale? Come facciamo a saperlo? Come lo modellizziamo in termini formali e fisici? (Perché se voglio spiegare il mondo non mi basta una poesia, per quanto bella ed evocativa: io voglio poter fare calcoli precisi per determinare effetti misurabili e costruirci sopra esperimenti e tecnologia).
• Questo Io quanto è legato alla nozione di essere umano? Personalmente gradirei una definizione adattabile anche a uno scenario in cui l'uomo è del tutto assente nell'Universo (la nostra presenza nella storia universale è con buona approssimazione un evento accidentale), ma questo potrebbe rendere necessario ridefinire il concetto stesso di auto-coscienza. Una deviazione molto affascinante, ma non so quanto prevista nel tuo percorso originale.
• L'Io di cui parli è storicizzato o identico a sé stesso? Perché immagino che, con tutti i cambiamenti che abbiamo avuto negli ultimi cinquemila anni in termini di linguaggio, idee, nozioni (anche sulla natura stessa dell'uomo), l'Io di un antico egiziano abbia poco a che fare con quello di un filosofo positivista, o con quello di un teologo medievale; un'evoluzione storica della nozione di Io renderebbe però l'intuizione assai poco affidabile. Come lasceremmo il compito di dare un giudizio "imparziale" sul mondo a qualcosa che cambia da un luogo all'altro, o da un secolo all'altro? Al contrario, asserire che l'Io sia sempre stato identico a sé stesso mi porterebbe a chiedermi che giudizio dare su cosa pensavano dell'Io prima di noi, o sul come facciamo a sapere che la nozione di io oggi imperante sia proprio quella buona (ne erano convinti anche tutti i nostri antenati, eppure ne sparavano di fregnacce).
Spero di aver esposto i miei dubbi con sufficiente chiarezza; sono sempre attento alle possibilità di aprirmi nuovi orizzonti (comprese le rivoluzioni della matematica, che però a rigore può solo evolversi, ma non rivoluzionarsi, essendo vincolata dalle regole della logica formale che non ammettono la contraddizione), ma quando si ragiona di cose così fondamentali mi piace che i termini della questione siano posti con assoluta esattezza, e in un modo che non lasci adito a fraintendimenti di sorta.
-
*** "Supponiamo allora per un momento che il sistema di riferimento assoluto sia l'Io, o l'Osservatore (c'è secondo me una differenza fondamentale tra i due concetti, che chiarisco fra un attimo); per cominciare, non ho capito se intendi l'Io di ogni singolo uomo, o una specie di Io collettivo/astratto/panteistico che vale per tutti gli uomini ed è uguale a sé stesso nello spazio e nel tempo. Scelte diverse in tal senso portano a colossali differenze..."
Ho stralciato questo brano della lunga e complessa argomentazione di Leonov* che mi consente almeno di dire che l'IO che cito nei miei post, su questo argomento, si avvicinerebbe all'IO di cui al brano sopra trascritto. Quindi non si tratta di qualche individuo in particolare ma di quella coscienza intelligente che chiunque può sperimentare. Perché unico riferimento assoluto dell'Universo? Altre coscienze IO non conosco se non per trasposizione artificiosa della Mia.
Mi rendo perfettamente conto della difficoltà di questo concetto. Per questo IO si potrebbe forse azzardare l'affermazione che il famoso Big Bank altro non sia che l'attimi, che tutti hanno dimenticato, in cui l'IO ha preso coscienza di ***Sé. *Sapendo bene di parlare con chi sa bene come interpretare questi concetti, mi fermo (almeno in questo post) ma voglio concludere questo intervento dicendo che l'Universo è, come ribadisce Rovelli, una sovrapposizione (in senso concettuale) di campi il tutto immerso nel campo che l'IO , cioè la Conoscenza. sì, perché l'Universo è fatto do Conoscenza, appunto. Non può essere descritto dall'esterno perché non c'è un esterno. Dall'interno è difficilissimo a causa dell'autoreferenza del sistema stesso sicché manca un linguaggio adeguato ma arrangiarsi solo linguaggi approssimati che la scienza aggiusterà senza pretese di raggiungere la perfezione. L'osservazione non è che l'azione vitale dell'universo, cosa molto lontana da ciò che si ritiene comunemente.:x
-
Esprimo questo post solo per ovviare ad una dimenticanza nel precedente mio post di ieri.
Volevo aggiungere che l'argomentazione accennata nel precedente post si collega alle cause della meraviglia di Einstein sulla inspiegabile efficacia della matematica nel disegnare la fisica (classica, aggiungo io, vista l'epoca in cui scriveva Einstein) e fare previsioni.
-
Perché, faceva notare Einstein, la matematica esprime così bene le leggi della fisica? No intento, almeno ora, esporre le mie convinzioni perché scrivere direttamente su questo forum è difficile; mi riservo di scrivere il mio parere indirettamente fra un aio di giorni nel frattempo chi avesse idee le scriva subito qui.
-
**LA COSTANZA DELLA VELOCITA' DELLA LUCE
**
Perché costante?
Lo è perché è riferita al riferimento assoluto dell'Universo che è l'Osservatore che è unico e si identifica nell'IO (che è cosa diversa dall'io); in effetti questa particolare "costanza" riguarda la nullità degli effetti addittivi e sottrattivi delle velocità attribuibili al presunto moto dell'Osservatore nella direzione (+-) della luce. Infatti abbiamo poco fa detto che l'Osservatore è unico ed è il sistema di riferimento assoluto dell'universo a cui, ovviamente e notoriamente, non ha alcun senso attribuire un moto.:oPS: Potrei aspettarmi una caterva di osservazioni ed accuse di insensatezza; non posso non scusare chi persino arrivasse ad offendermi attribuendomi stupidissime insensatezze, questo perché è quasi l'ora di rivedere in una nuova ottica il mondo e non solo in senso genericamente filosofico. Non siamo ancora bene e diffusamente pronti a ciò, neppure, oserei pensare in buona parte, nel mondo scientifico professionale.:o
-
Veramente la velocità della luce è costante solo nel vuoto.
E nemmeno per tutti gli osservatori, ma solo per quelli inerziali. Un osservatore su un treno in moto rettilineo uniforme e uno fermo sulla banchina della stazione concordano sulla costanza della velocità della luce. Uno che sta su una giostra in rotazione, o in mezzo a una cascata, non la pensa mica così.
Per non parlare di come la gravità curvi la luce, che non si muove più su linee rette. Lo hanno scoperto dalle fotografie delle eclissi solari, e hanno verificato in questo modo che la teoria della Relatività di Einstein funzionava a dovere.
Quando poi la luce attraversa un mezzo (aria, acqua, olio, vino, smog, materia interstellare ecc.) la sua velocità cambia eccome, variando a seconda del mezzo che sta attraversando. Anche per gli osservatori inerziali di cui sopra.
È una cosa che conosciamo fin dai tempi degli antichi greci (e basta immergere un coltello in una bacinella con dell'acqua per vedere cosa succede alla luce rifratta: sembra che la lama del coltello si stia piegando, mentre è solo la luce che cambia velocità).
Si chiama "indice di rifrazione". L'ho studiato per la prima volta al liceo classico, al quarto anno.
Su tutto il resto: se non vedo le equazioni che provano qualsiasi cosa mi si dica che si intende provare (e un esperimento da realizzare in base a tali premesse che mostri qualsiasi nuova fisica, o qualsiasi errore cruciale della fisica vecchia), io sono come San Tommaso.
Che era pur sempre un brav'uomo — un santo, addirittura — ma se non vedeva, non credeva.
Per esempio, posso aspettare di vedere le nuove equazioni che rivoluzioneranno la fisica. Non ho fretta. Ne vedo a decine ogni giorno e ognuna mi promette una rivoluzione, ma per lo più hanno grossolani errori di matematica dentro o premesse che cozzano contro gli esperimenti (extra-precisi) che abbiamo già condotto. Io però aspetto fiducioso. Un giorno, magari, chissà.
Sarò il primo a stappare una bottiglia alla salute del nuovo avvenire e di chi ce lo ha mostrato, numeri ed esperimenti alla mano.
-
t
-
Ciò che dici è fuori discussione, o mi riferivo alla "costanza" della velocità della luce cui alludeva, p.es., Einstein