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- Quando si usa "li" e quando "gli"
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Salve Ramanav.
Il tuo intervento ha suscitato in me tante reazioni e ha generato una risposta un po' lunga (forse prolissa); ti chiedo di perdonarmi per la scarsa brevità, ma in certi frangenti riassumere non è il mio forte, e ho usato il tuo testo come spunto per considerazioni più ampie e generali.
Spero tu non me ne vorrai.
Sì, hai ragione: come riportavo nel post iniziale, citando l'ottimo Serianni, sono attestate occorrenze sporadiche dell'uso di 'gli' che la buona grammatica tenderebbe a censurare, persino in scrittori celeberrimi sulla cui attenzione al bello scrivere nessuno potrebbe muovere obiezioni credibili.
Anche l'argomento generale di cui ti fai alfiere ? la lingua è definita dall'uso che ne fanno i suoi parlanti, non dalle regole 'astratte' imposte dai grammatici e dai logici, per di più in un qualche peraltro arbitrario istante della Storia ? è convincente e storicamente corretto, al netto di alcuni fondamentali distinguo di metodo e di intenti su cui mi soffermerò più avanti.
Tuttavia, e qui forse le nostre affinità divergono un poco, ci sono tanti aspetti di questo (lento) processo dialettico che vanno presi in considerazione, molti dei quali almeno a mio parere suggeriscono prudenza quando si tratta di abbracciare acriticamente certi usi 'leggeri' della lingua e certe adozioni di nuove parole o di vecchi errori nel corpo del parlato/scritto corrente.
Ad oggi, l'uso di 'gli' in luogo di 'a loro' è considerato a stretto rigore non esattamente corretto; ammissibile in alcuni contesti (tono basso, colloquiale o dialettale), ma quantomeno vivamente sconsigliato nello scritto sorvegliato e nel tono formale.
Sebbene nessuno impedisca con la forza di adottare l'errore contro la forma acconcia (e infatti abbiamo modo di leggerla e ascoltarla anche in contesti che spereremmo al sicuro da questo genere di pecche), finché ai parlanti è data facoltà di scegliere tra due o più soluzioni la mia preferenza personale va e andrà sempre alla forma consolidata e giudicata migliore dalla comunità degli esperti, nell'attesa paziente che o il mio punto di vista sia inghiottito dalla Storia e condannato all'oblio ? eventualità possibile, ma io non me ne curerò in quanto starò dormendo già da molte generazioni un sonno senza risveglio ? o sia al contrario l'errore a cadere in disuso dopo un periodo di apparente fioritura che ai suoi contemporanei sarà sembrato, erroneamente, destinato a continuare in eterno.
Il congiuntivo inglese, per dirne una, sta apparentemente morendo inghiottito dall'indicativo ? anche se a dirla tutta nella variante americana il 'paziente' gode di condizioni assai migliori; per una volta i britannici avrebbero da imparare dagli statunitensi in fatto di lingua.
Idem (sempre in inglese) per le distinzioni tra coppie di verbi ausiliari nella formazione del futuro semplice e del condizionale presente; ma come possiamo sapere che da qui a cento anni non si sentirà di nuovo il bisogno di quelle soluzioni che oggi sembrano a intere fasce di popolazione superflue e pedanti?
Scrivere e parlare al meglio delle nostre possibilità non è segno di presunzione o sciovinismo lessicale (o almeno non è mai stato così che l'ho considerato io, però posso comprendere che altri risponderebbero diversamente sul tema), ma solo un modo particolarmente efficace di sfruttare gli strumenti migliori che nel tempo abbiamo inventato per comunicare, ovvero le strutture linguistiche complesse e un vocabolario ricco.
Ho grandissimo rispetto per Dante e Manzoni ? o per Leopardi, che magari avrà combinato altre castronerie; o per Boccaccio che avrà usato giocoforza un po' troppi prestiti dal toscano antico; o per Gadda che manipolava la lingua quasi fosse una variabile libera ? e la mia stima verso di loro non decresce perché so che un paio di volte avranno detto "gli parlo io, a quei due", però...
Dal momento che io sono ben cosciente di scrivere e parlare un Italiano decisamente perfettibile e lacunoso (dovresti sentirmi quando puntualmente chiudo a sproposito le vocali nelle parole, con grande divertimento della mia incantevole ? e foneticamente impeccabile ? fidanzata), preferisco considerare questi scivoloni danteschi e manzoniani come un forte pungolo a migliorare la mia grammatica, invece che come pezza d'appoggio per giustificare e perseverare in un errore.
Se chi mi circonda comincia a fare il disonesto, il razzista o il fedifrago, potrò forse sentirmi io in diritto di fare come loro solo perché "mal comune mezzo gaudio"?
L'uso e la sua evoluzione possono far cambiare tante leggi e abitudini (sintassi compresa), ma dobbiamo sforzarci di riconoscere che esistono cose e valori i quali, pur non essendo assoluti ? perché la Verità assoluta semplicemente non esiste ? hanno almeno una prospettiva di stabilità spazio-temporale assai più ampia delle fluttuazioni locali.
'Non uccidere' è un adagio che vale oggi come ieri, qui come altrove, a dispetto di quanti siano stati disposi a giustificare l'omicidio in ogni epoca e Paese. 'Non mortificare la tua lingua' credo sia una regola altrettanto stabile, tutto qua.
Dicevamo poc'anzi che un idioma è una cosa viva e che a renderlo tale sono coloro che lo parlano e scrivono.
Giustissimo; peccato però che a portare avanti con veemenza questo argomento siano un po' troppo spesso quelli che la lingua vogliono uniformarla al loro standard ? qualunque esso sia: alto o basso poco importa; è la disonestà latente delle premesse a indebolire questa tesi.
Se dunque la lingua italiana è resa viva (non sana e florida, solo viva. E tra vivere e sopravvivere, permettimi, ce n'è di differenza...) dai tanti che dicono "gli telefono" quando dovrebbero dire "telefono a loro", allora io che ogni giorno mi sforzo di aprire la grammatica, sfogliare il dizionario e darmi da fare per trovare le fonti migliori non credo di poter essere accusato di voler condannare a morte la mia lingua.
Possiamo discutere sul modo in cui io voglia adeguarla al mio standard e sui livelli qualitativi di tale standard; sulle sue fondamenta e sulle sue prospettive di sviluppo; sul suo valore estetico. Ma se crediamo che siano i grammatici o gli Accademici della Crusca quelli che ordiscono un complotto quotidiano per imbalsamare e anestetizzare la lingua mentre "là fuori" il mondo la sta rendendo 'libera' a forza di regionalismi, neologismi penosi e strafalcioni allora siamo fuori strada.
Quella è propaganda populista di basso livello, censurabile tanto quanto quella che si scaglia per gli stessi motivi contro la ricerca scientifica di base o avanzata semplicemente perché non ha voglia di capirne le ragioni, le dinamiche e i valori.
In un Paese normale di un mondo perfetto ci sarebbero grandi e splendidi dibattiti quotidiani sulla lingua, capaci di coinvolgere e rendere partecipi tutti, dal grande decano dell'università al ciabattino, al ragazzo informaticamente alfabetizzato. Si parlerebbe di grafematica nei bar come oggi si parla di calcio o pettegolezzi (e se ne parlerebbe con parole più alate, almeno).
Da noi però la gloriosa Società Ortografica Italiana ha avuto vita breve, e l'Accademia della Crusca che dovrebbe fare da osservatorio permanente di usi e costumi del nostro parlare non ha nemmeno i fondi per far sopravvivere il suo sito web ? altro che onorare la sua fondamentale missione.
Noi comunque non ci arrendiamo, e continuiamo ad accumulare dizionari e grammatiche serie per il futuro; torneranno utili (tornano sempre utili, foss'anche soltanto per sorridere insieme alla propria ragazza rendendosi conto di quante vocali si confondono ogni giorno) e ci regaleranno un tempo meno grigio di quello di altri.
Non è poco.
Saluti,
Leonov
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Grazie mille Leonov per questo chiarimento così dettagliato.
Vorrei ribadire ciò che è stato detto in precedenza da clubbu ovvero che: Leonov, sei proprio un genio
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Grazie Leonov per le tue spiegazioni.
Ti devo chiedere un'ulteriore chiarimento per questa frase: "I pulcini si guardavano intorno incuriositi , incantati dalle cascate spumeggianti, dal sole che **li **diceva: -Buongiorno, miei cari !"
E' corretto **li **oppure bisognava scrivere **gli **?
Grazie
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@italica said:
Ti devo chiedere un'ulteriore chiarimento per questa frase: "I pulcini si guardavano intorno incuriositi , incantati dalle cascate spumeggianti, dal sole che **li **diceva: -Buongiorno, miei cari !"
E' corretto **li **oppure bisognava scrivere **gli **?Nessuno dei due calza, secondo me. Metterei invece "loro"; il Sole si rivolge ai pulcini ("pulcini" = maschile plurale) e in virtù di quanto scritto sopra occorre mettere "loro/a loro".
La frase diventa pertanto: "I pulcini si guardavano intorno incuriositi , incantati dalle cascate spumeggianti, dal sole che diceva loro: —Buongiorno, miei cari!".
In questo caso particolare, però, modificherei leggermente la frase, per questioni di eufonia, in: "I pulcini si guardavano intorno incuriositi , incantati dalle cascate spumeggianti, dal sole che li salutava: —Buongiorno, miei cari!".
In quest'ultima versione "li" è pronome complemento oggetto di "salutava", e sostituisce il "loro/a loro" che è complemento di termine di "diceva". Scegli tu la soluzione che ritieni più gradevole.
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Grazie mille Leonov per la risposta.
Questa frasi così come indicata sotto è stata scritta da una bambina di 10 anni e senz'altro può essere migliorata ; la bambina ha usato "li", ma la maestra ha fatto la correzione usando "gli".
E' giusta la correzione ?
Grazie
Ita
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Secondo il mio modesto parere, la correzione dell'insegnante va... riconsiderata, diciamo così.
La regola grammaticale sui pronomi è molto limpida: in caso di complemento indiretto, quindi diverso dal complemento oggetto, per il maschile plurale si usa solo e soltanto "loro", mai "gli", che è errore (o comunque forma propria del registro basso e del tono colloquiale, quindi non il tipo di lingua che dovrebbe essere insegnata nelle scuole).
Forse val la pena chiedere maggiori dettagli all'insegnante, magari non ho capito io la costruzione della frase, anche se mi sembra lineare e incontrovertibile. E per garantire alla bambina un futuro linguisticamente libero da dubbi come questo, basta munirsi di una buona grammatica italiana (le migliori sono quelle di Serianni, editore Garzanti, e di Dàrdano–Trifone, editore Zanichelli). Con quella no si sbaglia, qualsiasi cosa possano dire i maestri di scuola.
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Grazie mille Leonov.
Buona notte
Ita
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Concordo con Leonov!
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Ciao a tutti.
Tutto molto interessante, ma non mi è chiara una cosa,
perché posso dire: "Li salutava"(cioè salutava loro) ma non "li diceva" (diceva loro)?
Ps: non ho capito il riferimento all'inglese quando si dice che gli americani possono insegnare ai britannici, utilizzando il termine "paziente" mi pare.
Grazie Mille in advance
Davide
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@Davide1984 said:
non mi è chiara una cosa,
perché posso dire: "Li salutava"(cioè salutava loro) ma non "li diceva" (diceva loro)?Fermi tutti! Non è vietato scrivere "li diceva", soltanto che "li diceva" non significa "diceva a loro" (con "a loro" complemento di termine), ma "diceva loro" (con "loro" complemento oggetto).
Facciamo un esempio comparativo per capire la differenza:
"Quei versi erano magnifici. Il professore osservava gli alunni e diceva loro (= a loro) di ascoltarli con attenzione."
"Quei versi erano magnifici. Il professore li diceva (= declamava i versi) con voce ispirata, mentre gli studenti li ascoltavano rapiti."
Suona più chiaro adesso? Nella prima frase, se avessi scritto "li diceva" invece di "diceva loro" non avrei espresso il complemento giusto, ovvero non avrei fatto capire che il professore si rivolgeva agli alunni ("agli alunni" complemento di termine); nella seconda frase, se avessi scritto "diceva loro", non avrei fatto capire che il professore declamava i versi.
Si può quindi scrivere "li diceva", a patto di sapere bene dove si vuole andare a parare con la frase.
@Davide1984 said:
Ps: non ho capito il riferimento all'inglese quando si dice che gli americani possono insegnare ai britannici, utilizzando il termine "paziente" mi pare.
Contrariamente a quanto si pensi, in alcuni aspetti l'inglese americano è più sofisticato di quello britannico: nell'inglese britannico, per dirne una, il modo congiuntivo dei verbi (subjunctive mood) è quasi scomparso, e con esso la sfumatura di significato che porta con sé; gli americani lo hanno invece conservato, e lo usano più spesso dei loro "cugini" londinesi, arricchendo la loro prosa di dettagli e sottigliezze assai utili per una comunicazione efficace e versatile.
Quando si parla di letteratura o di ambienti accademici le due varianti sono quasi sovrapponibili, e a Oxford usano il congiuntivo come a New York e forse anche meglio, ma non si può dire lo stesso del parlato comune, dove l'inglese britannico ha scelto (recentemente, va detto) una via di drastica semplificazione, ancora più marcata di quella adottata negli Stati Uniti.
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Grazie Mille!
Avevo intuito che la risposta fosse nella domanda di analisi logicaPer quel che riguarda l'inglese debbo dire che le mie competenze sono maggiori, e mi trovo un poco in disaccordo nel senso che questo che citi è uno dei pochi casi in cui l'inglese americano mantenga una maggior complessità rispetto a quello britannico. Per natura storica "l'americano" è meno complesso, sia in termini sonori che di rispetto della regola. La stessa stesura grafica di diverse parole "americane", ad oggi corrette grammaticalmente, nasce da una erronea trasposizione delle parole dall'inglese britannico.
Ricordo una volta in UK un compagno di università americano, alla mia domanda: "ma ora che sei qui le parole le scrivi nella versione british o di casa tua?" e lui tutto orgoglioso: "io le scrivo come le ho imparate tanto significano la stessa cosa!"
Grazie ancora
Davide