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C?è dell?arbitrarietà nella distinzione fra iati e dittonghi?
Scusate, sono nuovo e spaesato.
Volevo una delucidazione su un argomento.
Dunque, che [ià], [iè], [iò], [iù], [uà], [uè], [uì], [uò] siano dittonghi non ci sono dubbi, che *, *, *, *, *, * siano dittonghi non ci sono dubbi. Ma *? Nelle varie discussioni sui dittonghi si dice che un dittongo può essere formato:-
Da una vocale alta o dolce (cioè * o *) atona più una qualsiasi vocale.
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Dall?unione delle vocali alte di cui una atone e l?altra tonica.
Per questo secondo caso vengono solitamente riportati gli esempi riguardanti [uì], * e [jù] ma viene escluso sempre *. Forse perché in italiano non esistono parole che contengono ? Ovviamente non valgono termini quali ?pagliuzza?, ?figliuolo?, ?ciurma?, ?asciutto?, in questi casi infatti anche se la * si scrive, non esiste da un punto di vista fonetico, e poi comunque anche in questi casi se la * si pronunciasse il dittongo sarebbe piuttosto /ju/.
Se in italiano si dicesse ?miu? invece di ?mio?, ?ziu? invece di ?zio?, ?iu? invece di ?io?, come avviene un po? negli idiomi del sud, quell? sarebbe un dittongo o uno iato? In fonetica dovrei scrivere /iu/ come si usa per gli iati oppure /iw/? Perché la * e la * in questo caso non formerebbero dittongo?
È vero che la differenza fra dittongo e iato dovrebbe essere prettamente legata al suono e non alla grafia però non capisco perché molti considerano il francese *, pronunciato /u/ un dittongo, dato che si tratta semplicemente di una vocale. Non si dovrebbe fare una distinzione fra dittonghi e digrammi in questo caso? * più che un dittongo non è una sorta di digramma vocalico? Ora non so se ufficialmente esiste questa definizione di digramma vocalico.
Stessa cosa per il cinese, lingua monosillabica. Ogni parola è costituita da una sillaba, infatti /ao/ già è una parola. I linguisti parlano di dittongo anche nel caso di /ao/.
Tralasciando il francese e il cinese, possiamo prendere in considerazione la nostra lingua d?origine, il latino. Nella lingua latina lo si chiama dittongo benché si pronunci /ε/, lo si chiama dittongo benché si pronunci /e/, ma l?esito sonoro di queste grafie non è una semplice vocale? Non sono due suoni che si pronunciano con un?unica emissione di voce, è un unico suono! O mi sbaglio? Qualcuno potrebbe ribattere che nel latino classico si pronunciavano effettivamente come due suoni, ma allora perché oggi per noi /ae/ ed /oe/ sono iati e non dittonghi? Una parola come ?aere? i dizionari la sillabano ?a-e-re? e non ?ae-re?.
Spero di non avervi fatto confondere nel tentativo di fare ordine nella mia testa.
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Buongiorno Signore,
benvenuto sul forum GT. Hai aperto un thread interessantissimo, vedrai che presto arriveranno risposte più sensate della mia.
Secondo la mia ignoranza secolare, bisogna collocare la definizione di dittongo nel tempo, ma più alla variazione fonetica delle pronunce latine, visto che non abbiamo idee chiare in merito. Ad esempio quello che per noi è Cesare, per "Caesar" pronunciato come oggi pronunceremmeo un "Kàesar" (ricorda un po Kaiser dei tedechi). Un po' come "Odo augelli far festa", che è diventato "uccelli". Diciamo che è per pigrizia o per morbidezza che l'italiano si è evoluto come lo conosciamo oggi.
In ogni caso l'origine della parola "diphthongus" significa proprio due suoni, ergo la "ae" non poteva essere pronunciata come "e", altrimenti che senso avrebbe inventare un termine per una cosa che non è.Secondo il Devto-Oli le due vocali devono conservare il proprio suono, avere in comune un solo accento e essere una sola sillaba.
Quindi direi che hai tutte le risposte che ti servono per capire come dirimere il tuo dubbio. Se la sillabazione spezza l'unione delle vocali, non è un dittongo (tanto più che lo iato mi pare di capire sia legato addirittura a due parole susseguenti).
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Grazie per il ben venuto.
Ho cercato di postare la domanda da altre parti ma non ho mai ricevuto una risposta, anzi una volta sì ma non molto valida a mio parere, quindi ci riprovo qui sperando di essere soddisfatto a pieno.
A parte l'arbitrarietà (e vorrei capire se veramente si tratta di arbitrarietà o ci sono ragioni fonetiche ben precise che portano latino ad essere un dittongo e non un monottongo), vorrei conoscere l'opinione di un "esperto" di fonetica che mi spieghi perché *, *, *, * sono dittonghi discendenti ma * non può esserlo nonostante sia costituito da due vocoidi alte.
Sillabando anche a me viene istintivo dividere * in i-u, anche se in italiano mi pare che non esistano parole con *. Forse il problema sta solo nella definizione? Boh
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Salve Signore (l'uso voluto della maiuscola valga d'ora in avanti a personalizzare ed elevare a «nome-utente» ? cioè nome proprio di persona ? una parola altrimenti comune).
Concordo con Redsector circa il valore della discussione, senza dubbio molto alto, e ringrazio per aver aperto il filone, che spero porterà giovamento a tutta la sezione.
A titolo cautelativo e per amore di onestà premetto di essere né linguista né esperto di lettere, ma solo amante dell'Italiano e possessore di qualche grammatica (unita a un po' di risorse informatiche), che vado a compulsare allo scopo di aggiungere qualche elemento al dibattito.
Infine, e qui chiudo la premessa, alzo fin d'ora bandiera bianca sugli idiomi stranieri, le cui leggi non conosco abbastanza da potermi pronunciare nel merito (nel caso del cinese mandarino, poi, non fatico a immaginare esistano sfumature molto più ricche o comunque diverse da quelle codificate dalle lingue del ceppo indo-europeo quanto a variazioni dei suoni e loro commistione).
Cominciamo dalla domanda che apre la discussione: la risposta migliore al quesito se esistano differenze tra dittonghi e iati potrebbe essere "Dipende"; non per eccesso di zelo diplomatico, ma soltanto in ragione del fatto che sul tema la posizione della fonetica (piuttosto limpida) confligge con quella che vede l'intervento di morfologia e grafematica.
Cito da un condivisibile intervento sul Forum dell'Accademia della Crusca:
[...] un «dittongo» è la sequenza di due «vocoidi» qualsiasi (anche appartenenti a due parole distinte) quando questi non siano separati da alcuna differenza accentuale (né, ovviamente, da una pausa o da un colpo di glottide), mentre uno «iato» è la sequenza di due «vocoidi», ancora una volta qualsiasi, separati però da una differenza accentuale, «primaria» o «secondaria» che sia.
laddove si precisa poco oltre che:
Qui, il termine «vocoide» non è un?inutile «pedanteria», ma allude al fatto che si considerano solo «foni vocalici» veri, e non contoidi quali, per esempio, gli [j] e [w] di ieri e uomo, rispettivamente, che fonematicamente possono essere considerati delle «vocali» in alcune lingue.
Un esempio dello stesso luogo prova a sciogliere i dubbi residui:
Foneticamente l?«oe» di «poeta» /po'Eta/ è uno iato, quello di «poetessa» /poe'tessa/ è un dittongo e quello di «poeticismo» è uno iato se/quando lo si pronuncia /po,eti'tsizmo/ per via di quell?accento secondario
Se si accettano tali premesse, l'interpretazione di ogni caso possibile è immediatamente accessibile (sebbene l'onere della caratterizzazione si scarichi interamente sull'eventuale presenza di accenti secondari nella parola, a loro volta suscettibili del gusto del parlante) e ben si adatta alla situazione descritta, in cui il gruppo /iu/ vede correlate due vocoidi ? sto adottando l'ipotesi che anche il suono /u/ sia identicamente (semi)vocalico.
Con riferimento ai lemmi del tutto inventati *miu, *àrsiu *riustò in cui si esclude per convenzione la presenza di /j/ e /w/, si avrebbe iato nel primo caso /m'iu/, dittongo nel secondo /'ar-siu/ e oscillazione tra i due casi in /riu'sto/ in funzione dell'eventuale presenza di un accento secondario /ri,u'sto/.
Se invece si adotta la convenzione tradizionale, che vede l'intervento di influssi morfologico-grafematici (gli stessi per intenderci che determinano la fioritura di sillabe in viaggiare o avviamento), allora il quadro cambia e di parecchio, risentendo anche probabilmente dell'apparente assenza di gruppi /'iu/ in italiano.
A questo punto però mi riservo del tempo per provare a scrostare via un po' di ignoranza in materia, consultando fonti autorevoli e provando a costruire un quadro organico e coerente (nei limiti del possibile), lasciando nel frattempo spazio agli esperti ? quelli veri, non già gli avventizi come il sottoscritto ? che sentiranno il desiderio di lasciare una loro opinione qui di seguito.
Attendo anche con ansia la replica di Signore sul punto, mi sembra ovvio.
A presto.
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Grazie Leonov, quasi quasi ho l'istinto di darti del lei per come ti sei espresso!
Mi sei stato utile riportando gli esempi di "poeta", "poetessa" e "poeticismo". Quindi in questo caso la convenzione prevale sulla ragione fonetica; la divisione in sillabe di "poetessa" è uguale a quella di "poeta". Spiegare la differenza fra i due suoni a dei bambini di prima elementare, probabilmente, porterebbe a confonderli.
In vari siti che trattano la questione, si cita come iato anche * di "cui", che per me è sempre stato un monosillabo indivisibile. Ma si aggiunge che per alcuni studiosi * è un dittongo, così come: , [ào], [éa], [éo], [èa,] , [èo], [òa], , [òo], [óa], , [óo], e persino: [ìa], , *, [ìo], *, [ùa], , [ùo].La situazione si complica.