• User Attivo

    Patto e divieto di Concorrenza - Posso realizzare siti web?

    Salve,
    oggi chiedo ai più esperti un'informazione riguardante la mia attuale/futura situazione lavorativa.

    Sto per firmare un contratto di apprendistato come dipendente di un'agenzia che ha come core principale lo sviluppo di siti web, gestionali e grafica.
    Mi è stato anticipato che non potrò , o meglio se lo farò sarà motivo di licenziamento, lavorare come freelance fuori dall'orario lavorativo . In altre parole non potrà sviluppare siti web / creare grafica per nessun cliente poiché andrei a creare concorrenza alla mia azienda.

    Mi domando però se rientri in queste clausole la partecipazione a siti di contest grafici (es.BestCreativty), in quanto non rubo clienti visto che un vincitore deve per forza essere assegnato.

    Grazie dell'eventuale aiuto.


  • Super User

    Il vincolo indicato è anticostituzionale. Ergo le possibilità sono 2:

    Ignora tutto e rischia che, come bene noto, il datore di lavoro licenzi lo stesso, anche senza motivo. Poi ci sarà la trafila di cause, ecc...
    Partecipi senza informare nessuno, fuori dall'orario di lavoro il datore di lavoro non può metterle nessuno alle costole, se lo facesse si profila lo stalking.

    A mio avviso un datore di lavoro "privato" che impedisce di lavorare al di fuori del proprio impiego è un criminale, tralasciando ciò a livello morale c'è molto da ridire visto che la mette in una situazione di soggezione continua causando seri problemi.


  • User Attivo

    Grazie della risposta. Quindi mi sta dicendo che non è legale un vincolo del genere?

    Edit - Ho trovato questo articolo:

    Articolo 2105 del codice civile: Obbligo di fedeltà

    Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.


  • Super User

    Infatti non esiste che il lavoratore sia obbligato a lavorare unicamente per un determinato imprenditore, l'articolo del codice civile citato, parla di fedeltà e rispetto, non si servitù o schiavitù.


  • User Attivo

    QUINDI NON ESISTONO I PATTI DI NON CONCORRENZA???! Addirittura anticostituzionali?? non sono assolutamente d'accordo.
    In termini generali i patti di non concorrenza esistono e sono validi! dipende solo da come sono scritti, come sempre bisogna conoscere la singola fattispecie concreta dalla quale magari in un singolo caso potrà risultare non valido, ma dire in termini assoluti che non sono validi non è assolutamente vero, anzi, ci sono intere realtà imprenditoriali e professionali che si basano sui patti di non concorrenza!


  • User Attivo

    Concordo totino al 100%. Non si può ragionare il "legalese" ogni volta. Negli anni ne ho buttati fuori un paio per questo motivo .....nemmeno ci hanno provato a farmi causa.


  • User Attivo

    gnughi, per la precisione, quando dico che in termini generali i patti di concorrenza esistono e sono validi, lo dico con valenza "legalese", ovvero basandomi su norme di diritto esistenti.


  • Super User

    Il patto va firmato e pagato per la durata dello stesso, non esiste a priori o in via bonaria.

    Essendo firmato a parte, il lavoratore, sa con certezza i termini del rapporto da cui ovviamente riceve compensazione. Il contratto di lavoro, con un patto orale, non firmato è una truffa.


  • User Attivo

    Totino, avevo capito. Io mi riferivo al fatto che un Non si può andar per vie legali per ogni starnuto, anche quando è se sulla carta la cosa e praticabile.


  • User Attivo

    Sul fatto che il patto di non concorrenza vada retribuito non ci piove, ad una rinuncia del lavoratore deve corrispondere un adeguato compenso, non si può pretendere che il lavoratori accetti il patto senza alcun emolumento.


  • Super User

    Leggendo la domanda, risulta chiaro che il patto non è stato sottoscritto, è semplicemente di obbligo bonario.

    Questi tipi di patti sono prettamente civili (precisiamo), è un accordo di tipo personale con un determinato soggetto, che tende ad integrare e proteggere alcune situazioni.
    A livello contrattuale non si può licenziare nemmeno se il patto viene meno. In quel caso, il diritto prevede unicamente sanzioni monetarie.


    Il patto di non concorrenza è disciplinato agli artt. 2125, 2596 e 1751 bis del codice civile, rispettivamente per lavoratori dipendenti, autonomi e agenti commerciali. Il lavoratore può concordare un pagamento mensile che è soggetto a contributi pensionistici ed integra la retribuzione, oppure alla cessazione del contratto, soggetto agli obblighi e al regime fiscale del TFR. In caso di declaratoria di nullità, il datore può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in precedenza.

    Il codice civile associa il patto di non concorrenza a un obbligo di fedeltà fra datore e prestatore di lavoro, che ha carattere di reciprocità.

    La giurisprudenza riconosce a tutte le categorie di lavoratori alcuni diritti minimi, che la clausola di non concorrenza deve rispettare a pena di inefficacia:

    • obbligo della forma scritta;
    • durata massima non superiore a quella prevista per legge (5 anni per i dirigenti e 3 anni per le altre categorie);
    • limitazione di luogo, tempo e oggetto non esclusive;
    • l'onerosità del contratto: il datore deve corrispondere una maggiorazione percentuale della retribuzione, evidenziate a parte nel contratto di assunzione, per tutta la durata del rapporto di lavoro, proporzionale alla durata, estensione territoriale e di oggetto dell'obbligo di non concorrenza. La contrattazione collettiva in questo senso non provvede a individuare dei massimali e dei parametri di valutazione di dette indennità, uniformi a livello nazionale;

    Il patto di non concorrenza deve garantire al lavoratore:

    • la capacità redditizia, di assicurarsi un guadagno idoneo alle proprie esigenze di vita;
    • le potenzialità professionali, non risultando compromettente per la carriera e il diritto a migliorare le proprie condizioni di lavoro;
    • la coerenza dell'impiego con la professionalità, sia quella acquisita durante gli studi che nelle esperienze lavorative pregresse;

    Il giudice del lavoro può stabilire la non sussistenza di una di queste condizioni nel patto di non concorrenza, dichiarandone l'inefficacia.


    Parlando in linguaggio comune, un lavoratore che percepisce 600-1200€ non può essere sottoposto a tale clausola, per assicurarsi il valore legale della clausola bisogna per lo meno triplicare lo stipendio.
    A meno che non sia una ditta con meno di 15 dipendenti, non vi è alcuna possibilità di applicazione reale.

    Da qui nella quasi totalità dei casi, si parla di limitazioni delle libertà personali, traducendosi con l'anticostituzionalità e le maggiori spese in giudizio.


  • User

    Un contratto di lavoro, qualsiasi esso sia, può prevedere l'obbligo di non collaborazione per un periodo determinato e successivo la sua conclusione di non collaborazione con altri soggetti che svolgono attività uguali, al fine di preservare il Know-how aziendale?

    In particolare può essere previsto in un contratto a progetto?

    Nel caso in cui il "patto di non concorrenza" non preveda nessuna indennità, ma soltanto il divieto, è dovuta una indennità nel caso in cui fosse infranto da parte del lavoratore e su quale base si calcola?


  • Super User

    L'indennità è esponenziale al livello di istruzione del dipendente. Ergo un progetto che paga 800, portrebbe avere un indennità di 3000 o più.


  • User

    Grazie per le risposte. 🙂

    Un'aspetto non rimane chiaro; l'obbligo di non collaborazione per un periodo determinato e successivo la sua conclusione di non collaborazione con altri soggetti che svolgono attività uguali è valido? Può definirsi sempre un patto di non concorrenza? In questo caso non sarebbe una violazione dell'art. 41 della Costituzione?

    Nel caso di contratto a prestazione occasionale invece la mancanza dell'indennità è sempre elemento che causa la nullità del patto?
    Quali sono i riferimenti normativi che avvalorano questa posizione?


  • Super User

    Infatti avevo già trattato questo argomento (non l'art 41 cmq).

    Il patto è stato fatto e reso possibile dal codice civile, e non ha alcuna sanzione, se viene meno, le somme ricevute vengono restituite (è una sorta di multa) ma in realtà non si può nemmeno licenziare.

    La prestazione occasionale non è tra i contratti ricomprendenti il patto, vista l'origine occasionale.


  • User Attivo

    E se l'azienda avesse meno di 15 dipendenti? (post vecchio lo so, ma sempre interessante)
    @Lokken said:

    Leggendo la domanda, risulta chiaro che il patto non è stato sottoscritto, è semplicemente di obbligo bonario.

    Questi tipi di patti sono prettamente civili (precisiamo), è un accordo di tipo personale con un determinato soggetto, che tende ad integrare e proteggere alcune situazioni.
    A livello contrattuale non si può licenziare nemmeno se il patto viene meno. In quel caso, il diritto prevede unicamente sanzioni monetarie.


    Il patto di non concorrenza è disciplinato agli artt. 2125, 2596 e 1751 bis del codice civile, rispettivamente per lavoratori dipendenti, autonomi e agenti commerciali. Il lavoratore può concordare un pagamento mensile che è soggetto a contributi pensionistici ed integra la retribuzione, oppure alla cessazione del contratto, soggetto agli obblighi e al regime fiscale del TFR. In caso di declaratoria di nullità, il datore può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in precedenza.

    Il codice civile associa il patto di non concorrenza a un obbligo di fedeltà fra datore e prestatore di lavoro, che ha carattere di reciprocità.

    La giurisprudenza riconosce a tutte le categorie di lavoratori alcuni diritti minimi, che la clausola di non concorrenza deve rispettare a pena di inefficacia:

    • obbligo della forma scritta;
    • durata massima non superiore a quella prevista per legge (5 anni per i dirigenti e 3 anni per le altre categorie);
    • limitazione di luogo, tempo e oggetto non esclusive;
    • l'onerosità del contratto: il datore deve corrispondere una maggiorazione percentuale della retribuzione, evidenziate a parte nel contratto di assunzione, per tutta la durata del rapporto di lavoro, proporzionale alla durata, estensione territoriale e di oggetto dell'obbligo di non concorrenza. La contrattazione collettiva in questo senso non provvede a individuare dei massimali e dei parametri di valutazione di dette indennità, uniformi a livello nazionale;

    Il patto di non concorrenza deve garantire al lavoratore:

    • la capacità redditizia, di assicurarsi un guadagno idoneo alle proprie esigenze di vita;
    • le potenzialità professionali, non risultando compromettente per la carriera e il diritto a migliorare le proprie condizioni di lavoro;
    • la coerenza dell'impiego con la professionalità, sia quella acquisita durante gli studi che nelle esperienze lavorative pregresse;

    Il giudice del lavoro può stabilire la non sussistenza di una di queste condizioni nel patto di non concorrenza, dichiarandone l'inefficacia.


    Parlando in linguaggio comune, un lavoratore che percepisce 600-1200€ non può essere sottoposto a tale clausola, per assicurarsi il valore legale della clausola bisogna per lo meno triplicare lo stipendio.
    A meno che non sia una ditta con meno di 15 dipendenti, non vi è alcuna possibilità di applicazione reale.

    Da qui nella quasi totalità dei casi, si parla di limitazioni delle libertà personali, traducendosi con l'anticostituzionalità e le maggiori spese in giudizio.