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Il piuttosto che
Enrico Altavilla mi ha fatto scoprire questo video che condivido con voi.
Stavamo discutendo su questo sistema come metodo d'insegnamento
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Non è nient'altro che la "A" del classico AIDA del marketing.
Il tono minaccioso e irriverente è qualcosa che non ci si aspetta quindi desta l'attenzione dello spettatore. Davvero funzionale.In questo caso particolare però non mi piace proprio come è stato sviluppato il concetto: tutto fumo e niente arrosto perché se non sapessi già il significato di "piuttosto che" non penso che sarei riuscito a capirlo.
Ovviamente può essere solo un mio problema legato all'età.Comunque gli elementi di shock, o di Attacco, non dovrebbero mai sovrastare il contenuto altrimenti si rischia di fare come l'oramai noto caso accademico della pubblicità della TIM di fine 2010 dove l'immagine della Belen sovrastava completamente la comunicazione commerciale rendendo inutile l'intera campagna.
Valerio Notarfrancesco
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Mi sembra tutto sommato una modalità piuttosto (senza che :D) diplomatica, io passerei direttamente alle bastonate come metodo d'insegnamento per quelli che non capiscono!
Concordo poi con Valerio, un esempio in negativo più chiaro ci stava. M'immagino il personaggio medio stile "uomini e donne" che dice: "A Riccione vado in discoteca...piuttosto che a fare l'ape in spiaggia...piuttosto che a buttarmi nel porto canale!"
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Andando fuori tema, il metodo d'insegnamento, e riflettendo invece sul contenuto, questa notte ho avuto una riflessione che non mi ha fatto dormire (e spero che non faccia sobbalzare Leonov dalla sedia per le blasfemie che sto per scrivere).
Lo scopo del video è informare sull'uso corretto di una locuzione che viene spesso usata in modo improprio. Bene.
Però sappiamo anche che l'Italiano è una lingua viva e quindi si evolve, si modifica, perde alcuni termini e ne guadagna altri.Ecco, il punto è questo.
Qual'è il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato?Ho pensato a diversi incontri ed occasioni in cui l'interlocutore sbaglia, ad esempio quando parliamo con un cliente e questo sbaglia i congiuntivi o la consecutio temporum.
In questi casi la mia risposta, pur non sottolineando l'errore del cliente, è corretta, ovvero non "copio" il linguaggio errato del cliente.Ci sono però errori, come ad esempio questo in oggetto, il "piuttosto che", che non mi sento di correggere e lo ripeto nella mia risposta in modo naturale e automatico.
E' come se fosse un modo di dire gergale e il suo uso identico a quello che ne fa il mio interlocutore mi permette di entrare in un rapporto di fiducia e comprensione con lui perché effettivamente capisco cosa vuole dire e capisco che è diverso da quello che potrebbe significare se fosse interpretato alla lettera.Quindi qual'è il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato?
Se perfino l'Accademia della Crusca sancisce il diritto ad esistere di quell'abominio che è il temine "videofonino" (analizzate la parola e vedrete che manca la parte di comunicazione "-tele") chi siamo noi da condannare una grossa fetta della popolazione che usa "piuttosto che" come disgiunzione?Magari proprio oggi l'Accademia della Crusca ne sancisce l'uso, quindi non sarebbe arrogante una crociata santa o meglio un messaggio così violento lanciato come una guerra santa?
Piuttosto che sfruttare un format così forte e violento, non potremmo ottenere la stessa efficacia o addirittura una maggiore destando l'attenzione del nostro pubblico in un altro modo?Valerio Notarfrancesco