• User Attivo

    A proposito di adozione e di dimenticanza

    "E come potevamo noi cantare
    con il piede straniero sopra il cuore,
    fra i morti abbandonati nelle piazze
    sull?erba dura di ghiaccio, al lamento
    d?agnello dei fanciulli, all?urlo nero
    della madre che andava incontro al figlio
    crocifisso sul palo del telegrafo?
    Alle fronde dei salici, per voto,
    anche le nostre cetre erano appese,
    oscillavano lievi al triste vento."

    In questa poesia di Quasimodo (Alle fronde dei salici, da Giorno dopo giorno, 1947), a prender le parole ad una ad una ? cantare, piede, agnello? ? se ne può fare un mazzetto e regalarlo al proprio figlio bambino se si ha: saprebbe da sé distinguerne, di ognuna, significato e immagine. Parole elementari, comuni, infinitamente ripetute? Ma non è questo il fascino della parola: la sua possibile quantità sterminata, a cui si è sempre tentati di aggiungere altro, forse per raggiungerne la qualità. (E però irrangiungibile per questa strada!)

    Lo stesso discorso vale per la materia: elementi, molecole, atomi, e particelle e nuclei e protoni? ? la materia ordinata in insiemi, campi, sistemi; stravolta in ipotesi di nuovi aggregati, attorcigliata in schemi di nuove leggi, sparpagliata in infiniti manuali di nuova edizione.

    Ora, di punto in bianco, m?invento una capannello di parole facili/di stessa matrice, utilissime ad esprimere una sensazione precisa che pure avverto (ma potrei altrettanto bene non voler aggirare nessuno ostacolo linguistico e seguitare a camminare per la mia strada modesta). Eccole: dizionarizzare, dizionariamente, dizionarizzabile? ? le posso moltiplicare per riproduzione agamica quanto voglio.

    (Ma a ritornare a Quasimodo?) Prendo meglio ?il piede straniero?, ?l?erba dura di ghiaccio?, ?il lamento d?agnello dei fanciulli?; oppure ?l?urlo nero della madre?, ?le cetre appese alle fronde dei salici?. O soltanto le ultime due di ?vento triste?, che già da sé mi bastano (un semplice sostantivo/un semplice aggettivo) a che il segno si elevi ad espressione, e farmi chiudere il vocabolario di botto per volatilizzarmi nell?immaginario che m?inghiotte.

    Perché è questo il fascino della parola, a pensarci: collocarla/saperla collocare ? la più comune/la più banale ? in un?aria di pensiero tale in cui seguita sì a volare, ma con le ali del gabbiano Jonathan e a destinarsi pure in disfide, le solite e più viete, ma da guerriero Alatriste che perde.

    eu.ro :yuppi::()::bho:

    P.S. Il Salmo CXXXVI della Bibbia rievoca la deportazione degli ebrei a Babilonia: "Abbiamo appeso ai salici le nostre cetre... Come potremmo cantare in terra straniera?".


  • Consiglio Direttivo

    Cosa abbiamo qui?

    "Telegrafo"
    "Cetra"
    "Salmo"
    "Fronda"
    "Capannello"
    "Agamico"
    "Volatilizzarsi"
    "Disfida"
    "Vieto"

    Parole che in pochi usano, ammettiamolo. Forse perché il loro tempo è trascorso, la loro società si è dissolta, il loro suono è annegato nei vortici del tempo. Forse perché nel frattempo ne abbiamo trovate altre, nuove, più adatte al nostro mondo.

    Chi un tempo usava il telegrafo - e prima ancora la posta pneumatica (qualcuno la ricorda?) - oggi usa "Internet"; gli arpisti abili nella cetra sono stati rimpiazzati dai dj con i loro piatti e sintetizzatori e computer; cavalleresche disfide uno contro uno sono le nostre guerre con le vittime civili. E poi, se si eccettuano i libri sui maghetti, nessuno si volatilizza più: al massimo, si smaterializza come nel teletrasporto di Star Trek.

    Poi ecco che qualcuno, con semplicità e gentilezza, rievoca per caso quelle parole, le fa riaffiorare, le cerca nelle nebbie del tempo, le strappa all'oblio e le ricolloca qui, nel panorama informatico che alcuni dicono (erroneamente) freddo e meccanico, tecnico e sterile.

    E la magia ritorna: la luce splende su di esse, e ci si accorge che quei vocaboli non hanno perso un solo atomo del loro smalto; la loro leggiadria, incorrotta, ci sta di nuovo di fronte, e noi le apprezziamo, le guardiamo con gli occhi ammirati dei bambini.

    Poi, ancora estasiati, ci chiediamo dove sia possibile trovarne altre, di quelle parole perdute che nessuno riesce più a ricordare; scopriamo allora che un oggetto le conserva per noi - non tutte, ovvio, ma una gran parte.

    Apriamo il dizionario, il lessico, il vocabolario. Lo avevamo chiuso credendo di poter fare a meno del suo peso, della sua trama, del suo fondo perduto di termini pomposi.

    Ci sbagliavamo, perché ad un tesoro non si rinuncia se non si vuole consapevolmente essere poveri; se quel tesoro riguarda lo spirito, poi, chi lo scaccerà da sé?

    Euro, non ho idea se il tuo discorso precedente fosse una critica o un'approvazione del lavoro che portiamo avanti nel WikiGT (in cui i termini da te suggeriti troveranno di certo appropriata collocazione quanto prima), ma so che tu vi hai appena contribuito egregiamente, entrando de facto nello spirito del progetto.

    Le parole, non lo nego, devono essere semplici e comprensibili, ma non scialbe, né smidollate. Un poeta può permettersi di usarne di elementarissime pur caricandole di grandi significati, ma è la ricchezza di una lingua (ricchezza in estensione, ma anche in profondità) che consente di esprimere anche le più delicate sfumature e le più insignificanti minuzie, che poi trascurabili proprio non sono.

    In caso di dubbio, basta spiegarsi: uno spazio per il termine complicato e qualche altro spazio per la sua breve definizione. Si arricchisce chi scrive e chi legge: nessuno perde nulla, mi sembra.

    Ammiro il tuo dono, più o meno volontario; la campagna "Adottiamo le Parole Dimenticate" sentitamente ringrazia.

    Leonov