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Il Lonfo - Fosco Maraini (poesia metasemantica)
Dedicato con simpatia a tutti gli amanti della poesia, della semantica e delle parole che scrivono qui.
Quali sono gli "ingredienti" per fare poesia?
La domanda è molto complessa; azzardo una lapidaria risposta (anche provvisoria) sostenendo che, tra le molteplici caratteristiche presentate in media dai testi poetici, quattro si elevano nettamente sopra le altre.
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La voce del declamatore (meglio: l'oralità intrinseca dell'opera), che rende viva ogni poesia e la solleva dallo stato di languida prostrazione in cui versa quando resta troppo a lungo fissa sulla carta e non viene animata dal fiato di qualche parlante.
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Lo stomaco - o la pancia - cioè l'impulso elementare, essenziale, viscerale all'espressione che muove il poeta e quasi lo costringe a far affiorare (a volte ad espellere con violenza) il suo sentire.
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Il cuore, inteso come sensibilità spiccata, empatia acuita al massimo ed insolita capacità di percepire gli stimoli del reale o del pensiero, trasfigurandoli nel verso o riproducendoli, nudi e crudi, nell'opera di cui si fa creatore.
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Il cervello, ovvero la tecnica e le conoscenze culturali, che garantiscono al pensiero una congrua forma espressiva ed una cornice di riferimenti, allusioni, citazioni appropriata.
Le poesie, a ben vedere, presentano tutte - in proporzioni molto variabili e con livelli qualitativi più ondivaghi del clima di un luogo temperato - questi quattro elementi.
Che cosa, accade, però, se uno prevale decisamente sugli altri?
Il risultato, solitamente, non è troppo felice, perché lascia nella bocca e nella mente un retrogusto di perplessità: il lettore si accorge di stare contemplando qualcosa di sbilanciato (senza che ciò vieti una magnifica confezione o fama imperitura) e magari in fondo ne soffre.
In rarissimi casi, però, emerge qualcosa di speciale e delizioso; come quando la voce, o meglio il suono, il gioco con la lingua e le sue assonanze si impongono sulla logica, sulle regole e su tutto il resto.
A quel punto compare ad esempio "Il Lonfo", brevissimo componimento di Fosco Maraini (Firenze, 15 novembre 1912 ? 8 giugno 2004). Eccolo declamato da un fine dicitore d'eccezione: Gigi Proietti.
IL LONFO
Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce,
sdilenca un poco e gnagio s'archipatta.
È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa legica busia, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui, zuto
t' alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.F. Maraini
Quanto appena riportato è un esempio di quella che lo stesso autore - celebre orientalista ed antropologo - chiamava poesia metasemantica: una creazione poetica, cioè, che si fonda sulla pura capacità dei suoni di evocare e suggerire immagini, pur se quei medesimi suoni ed effetti vocali non hanno alcuna relazione con parole dotate di significato.
"Il Lonfo" è inserito nella raccolta "Gnosi delle Fànfole" (1978), piccola perla del non-sense ispirato e del gioco linguistico, semantico e lessicale.
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Fantastica 'sta cosa della poesia metasemantica.
Poi Proietti la recita veramente alla grande... ...
Ho trovato questa "Ferlingesca", roba amatoriale ma meglio che niente.
E' un immagine erotico-giuliva, che metasemanticamente vuol dire osè, o qualcosa del genere, direi...
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.. vabè va hem ...
Ferlingesca
La riframba freuciava sul grafunzio
sdrodolando e sdirlindandosi tra i blormi,
dalla frubba rosinegna e di vermunzio
sorvagiva valitando cantulireme.Drimulanti e virmigliate solegluncie
le sue vere vircolavano sui girli
vedegrevi come rine di grimunce
marbelibero le dulbe nei vaporli.La sua vrigna vulpinarda e grodendra
fra le malde globilunde e verlaganti
sulguttuta la ventribola etroiondra
vernisceva le sue vure sfervoranti.
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@Andrez said:
.. vabè va hem ...
Perdonami.
Riparo con "E gnacche alla formica", proprio di Fosco Maraini.
"**Io t'amo o pia cicala e un trillargento
ci spàffera nel cuor la tua canzona.
Canta cicala frìnfera nel vento:
E gnacche alla formica ammucchiarona!Che vuole la formica con quell'umbe
da mòghera burbiosa? È vero, arzìa
per tutto il giorno, e tràmiga e cucumbe
col capo chino in mogna micrargìa.Verrà l'inverno si, verrà il mordese
verranno tante gosce aggramerine,
ma intanto il sole schìcchera gigliese
e sgnèllida tra cròndale velvine.Canta cicala, càntera il manfrore,
il mezzogiorno zàmpiga e leona.
Canta cicala in zìlleri d'amore:
E gnacche alla formica ammucchiarona!**"
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** "** .. vabè va hem ... " non è un commento mio, ma lo dice il dicitore preparandosi a recitare la **Ferlingesca. **
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Interessanti contributi addizionali alla discussione, i due che ho trovato qui al risveglio.
Per di più, con un eccellente equilibrio tra il dionisiaco della Felingesca e l'apollineo della variazione sul tema "La Cicala & la Formica".
Sulla prima devo ancora un po' riflettere: qualche stimolo sensoriale non mi è del tutto chiaro... :():
Sulla seconda: l'espressione "col capo chino e in mogna micrargìa" è praticamente una foto, perfetta in ogni dettaglio; parimenti evocativa e immaginifica quella del sole che "schìcchera gigliese".
Un bell'esordio - e naturalmente una storia d'amore - per l'anno che incede elegante nel mondo.
E, solo per poche ore ancora, prima di tornare al lavoro, "gnacche alla formica ammucchiarona"!
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Cercavo proprio il testo di questa poesia ed eccola qui: primo risultato.
Sempre i migliori
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Bella discussione, complimenti :). Il "giocare con le parole" a partire dal suono è sempre un gran divertimento per chi scrive: come chi disegna, non si sa mai né come va a finire, né dove si va a parare.