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Abbiamo notato e soprattutto sperimentato sulla nostra pelle quanto possa essere interessante in chiave mercato Il Linkedin per le aziende e face book per il consumer.
Abbiamo un cliente inglese che ha usato la leva del web 2.0 in modalità social network per trovare nuovi clienti. Devo riconoscere che solo dopo due anni questo sta cambiando le sorti della sua azienda.
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Secondo me ancora in pochi (me compreso) hanno capito cosa sia realmente il fantomatico web 2.0 e di conseguenza il suo potenziale (se c'è) non è ancora stato sfruttato.
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Il web 2.0 secondo me è l'essenza stessa del web. Di fatto non è altro che un modo per creare informazione: "la sommatoria delle opinioni dei singoli utenti che rappresentano la nostra realtà (corretta o distorta che sia)".
Un esempio su tutti è Giorgiotave. Quando ho bisogno di sapere qualcosa o ho qualche dubbio entro dentro la community e sento il parere autorevole di qualche benchmarker. Dopo avere letto l'articolo di interesse ho la facoltà e la libertà di crederci oppure no. Di fatto ho un elemento in più.
Web 1.0 unito al Web 2.0 diventano una vera opportunità informativa. Nel paradigmi del modello delle 3 C il web 1.0 di fatto è il cosidetto Content (comunicazione ad 1 via) il web 2.0 estende l'informazione a tutti in modalità Community.
Ciao amici amo il nostro lavoro su internet. sono sicuro che ci darà grandi soddisfazioni nel futuro.
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Ritengo un importante risorsa web 2.0 anche naymz
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@giannibianchi said:
Nel paradigmi del modello delle 3 C il web 1.0 di fatto è il cosidetto Content (comunicazione ad 1 via) il web 2.0 estende l'informazione a tutti in modalità Community.
A me suona molto strano....
Provo a spiegarmi meglio: ho iniziato a navigare su internet nel '94
e mi ricordo benissimo che nel '94 si diceva che il punto di forza del
web rispetto agli altri media era l'interazione, ovvero l'aver superato
il modello di comunicazione ad una via della TV, giornali, radio, ecc.
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Corretto quello che dici è sempre stato a due vie. Tuttavia con forte predominanza della comunicazione aziendale sull'interazione dell'utente finale/consumatore.
Della serie nel passato il consumatore poteva interagire con l'azienda tuttavia non ne rimaneva traccia, eventualmente solo le considerazioni positive. Oggi la conversazione tra consumatori su un argomento amplia il giudizio (sono presenti tutte le opinioni) e lo completa.
Possiamo definire il web 2.0 un convesional media.
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Ciao Gianni e grazie per la tua risposta
@giannibianchi said:
Corretto quello che dici è sempre stato a due vie. Tuttavia con forte predominanza della comunicazione aziendale sull'interazione dell'utente finale/consumatore.
Della serie nel passato il consumatore poteva interagire con l'azienda tuttavia non ne rimaneva traccia, eventualmente solo le considerazioni positive. Oggi la conversazione tra consumatori su un argomento amplia il giudizio (sono presenti tutte le opinioni) e lo completa.
Possiamo definire il web 2.0 un convesional media.
Ti spiego come la vedo.
L'interazione è una delle possibilità che ti permette il web....
Una tra mille.L'interazione, il lasciar traccia, ecc. può essere una cosa molto positiva, ma anche inutile
ed in alcuni casi pure dannosa.... dipende...Dal mio punto di vista dipende da quelli che sono i tuoi obiettivi come azienda,
dal tuo modello di business e da un miliardo di altre cose.Esaltare e spingere una cosa come se fosse sempre e comunque migliore mi spaventa....
Mi spaventa perché è un DANNO per il web tutto.Quello che secondo me è successo è che sono nati dei nuovi servizi che prima non c'erano e,
come spesso accade in questi casi, un servizio che NON ha competitor è un servizio che ha maggiori possibilità
di ottenere successo (vedi youtube).L'errore è stato, a mio avviso, quello di cercare "nuove" teorie per spiegare il successo di questi servizi
senza rendersi conto che le "vecchie" teorie erano più che sufficienti per spiegarlo.Questo errore diviene ancora più grave considerando che molte di queste "nuove teorie", nuove non sono,
ma sono stralci di quel modo di pensare che ha portato al fallimento le aziende della new economy.Andando agli esempi che fai, io nel '94 mi confrontavo (interazione) con altri navigatori (lasciando tracce
reperibili ancora oggi) sui prodotti di varie aziende, chiedendo consigli ed opinioni in merito (positivi e negativi).La vera differenza tra allora ed oggi è che oggi trovi queste stesse possibilità strutturate
in modo tale da essere più facilmente fruibili (avanzamento tecnico).Una seconda differenza è che oggi qualcuno ci ha costruito un business sopra.
Ultima cosa.
Nei blog, che sono considerati a pieno titolo "web 2.0", l'interazione solitamente è uomo-macchina
e non interazione tra persone.All'interno di un forum le persone interagiscono tra loro, mentre in un blog, soprattutto nei blog famosi,
leggendo i vari commenti è evidente che chi li scrive NON ha letto gli altri commenti, infatti nella
maggior parte dei casi NON risponde a questi.Più semplicemente la persona esprime una sua opinione (cioè rimane ad un livello di comunicazione ad una via).
La cosa paradossale di tutto questo discorso è che per me un blog ha senso anche per questi motivi.
Cioè un blog ha senso proprio perché è uno strumento che NON è focalizzato all'interazione tra gli utenti....
Se voglio interazione tra gli utenti gli strumenti migliori sono altri (forum, mailing list, ecc.).Scusatemi se dico cose impopolari, ma è quello che penso.
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Ciao ragazzi, vi copio le conclusioni della mia tesi.
Il titolo era User generated advertising: la pubblicità nell'era del web 2.0.
La tesi è più a sfondo sociologico ed è stata discussa più di un anno fa.Attendo commenti e critiche.
Durante la stesura di questa tesi ho avuto modo di rafforzare le intuizioni che mi avevano spinto ad intraprendere il lavoro. La convinzione di partenza si basava sul fatto che Internet stesse cambiando il nostro modo di concepire la realtà, l’economia, le relazioni sociali e la psicologia delle persone.
Coloro che prima sembravano detenere le chiavi della rete e cioè gli hacker, adesso non sono che una parte marginale rispetto alla grande quantità di persone che quotidianamente si rende partecipe del mutamento di Internet. Fino a qualche anno fa erano gli unici ad occupare le pagine dei giornali e telegiornali grazie alle loro azioni di scardinamento, etiche o meno che fossero. Adesso oltre ai software si scardinano le convinzioni. Questa novità deve molto comunque alla cultura hacker e open source. Se non fosse stato per la spinta propulsiva di questi due mondi oggi non avremmo software di facile concezione e utilizzo che hanno messo in discussione un mondo apparentemente fondato su solide basi.
Internet negli anni è stato considerato (e forse lo è ancora) come un medium di difficile utilizzo, con contenuti di grande mole da estrapolare. Oltretutto essendo situato in quella scatola complessa che è il personal computer, la sua accessibilità è stata maggiormente garantita a coloro che disponevano più di altri di risorse culturali ed economiche. Lo sforzo cognitivo non indifferente che bisogna mettere in atto ogni qualvolta si accende un personal computer o si è collegati alla rete e si deve usufruire di contenuti pull, fa sì che non tutti giudichino di facile impiego questo mezzo.
Ecco perché per anni anche le aziende ne hanno diffidato. Alle difficoltà tecniche si aggiunge l’atteggiamento di un’utenza di buon livello culturale, non amante delle interruzioni pubblicitarie: entrambe hanno rappresentato una barriera per chi avesse voluto intraprendere attività di marketing sul Web. Per questo sono nate varie strategie partendo dall’interruption marketing, vero e proprio incubo dei navigatori assidui, per passare al viral marketing, la cui punta di diamante è la creatività, finendo al permission marketing che teorizza un forte coinvolgimento e un elevato rispetto per l’utente.
Se poi si unisce il tutto allo strapotere che in Italia ha il mezzo televisivo sembrano non esserci soluzioni. La televisione sta subendo un piccolo decremento, per quanto riguarda gli introiti pubblicitari, solo in questo ultimo anno. Ma detiene ancora la fetta più grande della torta che supera tutti gli altri media messi insieme. Un dato interessante riguarda anche la fruizione televisiva che, complice l’avvento della banda larga, sta lentamente scemando a favore di Internet.
La Rete oltre ad essere un campo di difficile utilizzo, modifica tutte quelle dinamiche comunicazionali tipiche della pubblicità e del marketing tradizionale. L’interattività è il cardine di questa logica. I consumatori possono indagare sul prodotto, fare confronti, proporre boicottaggi di grande successo. Il prodotto scadente o l’azienda con un passato non proprio pulito hanno veramente poche speranze di sopravvivere in rete.
Viene totalmente sconvolta la dinamica verticale tipica dei media tradizionali secondo la quale, una volta subita la pubblicità si poteva fare ben poco. La provenienza dei prodotti, fino a poco tempo fa, era avvolta da un alone di oscurità ed il consumatore più curioso, nel caso avesse voluto approfondire le qualità di un prodotto, sarebbe stato costretto a fare ricerche specialistiche o scrivere all’azienda che lo produceva, aspettando vanamente una risposta. Con Internet è possibile conoscere tutti i passaggi che precedono la realizzazione di un prodotto, si possono consultare forum, ci si può iscrivere a newsletter informative, si possono ricevere casualmente catene di Sant’Antonio che invitano al boicottaggio e ne spiegano i perché.Questa era un’ottima scusa per le aziende che non volevano promuovere i loro prodotti su Internet. Ma la crescita che oggi sta avendo questo mezzo impone una rivisitazione delle logiche aziendali. Infatti si sta pian piano capendo che forse è meglio perdere capitali per investire su un nuovo tipo di rapporto con il consumatore, basato sul coinvolgimento e su un’etica aziendale vera. I nuovi strumenti forniti dal Web 2.0 danno quest’opportunità.
I blog, videoblog, il file sharing, i wiki, YouTube hanno realizzato un piccolo miracolo, chiamato User Generated Content, dando voce e visibilità a milioni di persone che prima non trovavano mezzi per esprimere la loro creatività. Hanno messo in discussione le dinamiche dei media mainstream che hanno provato a copiare, rimescolare e somigliare a questi con scarsi risultati.
Questi nuovi strumenti hanno trovato anche la loro applicazione commerciale. I blog aziendali oggi sono diffusissimi e sembra che non se ne possa fare a meno. Bisogna essere molto accorti nell’utilizzo di questi mezzi perché, come detto prima, Internet è un mezzo che riserva molte sorprese.E' facile quindi scoprire che chi risponde alle domande sui blog aziendali non è un consulente o un diretto responsabile, come vorrebbe la logica blogger ma una società esperta di marketing interattivo che falsa i commenti facendo un vero e proprio uso distorto del mezzo e mettendone in discussione la sua essenza etica. Infatti un buon utilizzo del blog, dove ogni tipo di commento sia accettato e dove a rispondere fosse un diretto responsabile, non farebbe altro che avvicinare il consumatore accrescendo la sua fiducia e, perché no, anche la sua stima. Anche l’utilizzo di YouTube con campagne a sfondo sociale da parte di aziende cosmetiche ha avuto le sue ritorsioni.
E’ arrivato allora il momento di chiedersi se non sia il caso di introdurre l’utente nei processi decisionali dell’azienda, di fare un tutt’uno come propone Stefan Engeseth, con i molti rischi ma anche con le tante novità positive che una scommessa del genere può apportare.
Oggi l’utente medio è abituato a caricare ogni tipo di contenuto, fatto in casa o meno, su media come MySpace o Qoob, partecipa direttamente alla costituzione di una enciclopedia globale, Wikipedia, che non ha nulla da invidiare alla Britannica, pratica l’esperienza del citizen journalism mettendo in crisi un giornalismo tradizionale che aveva già grossi problemi. Il cybernauta tradizionale è abituato a dire la sua e ad informarsi in maniera approfondita su tutto ciò che può essere di suo interesse.Ecco perché quel rapporto schizofrenico con l’azienda e con le marche è destinato ad un cambiamento epocale.
Chiunque può ottenere fama grazie ad un blog particolare, o ad una trasmissione in podcasting di grande successo ma partita da zero o grazie a video inseriti su Youtube che hanno fatto il giro del mondo e sono stati visti da milioni di persone. Il giovane ragazzo norvegese Lasse Gjertsen, con il suo video musicale Amateur, in quattro mesi ha ottenuto quasi 4 milioni di visualizzazioni. Questo esempio serve a dare l’idea di come persone capaci di produrre contenuti di qualità siano ovunque a prescindere dal fatto che possano apparire su Mtv o sui giornali.La Long Tail teorizzata da Anderson spiega magnificamente questa trasformazione. Per caso o grazie al passaparola si può venire a conoscenza di blog, podcast, pagine personali di MySpace fatte da persone che hanno grandi capacità ma che non hanno avuto la fortuna di essere notati dai media tradizionali. I giovani d’oggi sono allo stesso consumatori e produttori di contenuti, questo fa sì che la loro esperienza per quanto riguarda il rapporto con le marche si modifichi e ridefinisca continuamente. Dalla generazione X degli anni ’90, priva di contenuti e di ideologie, si è passati alla generazione Y che è forse la realizzazione espressiva della precedente.
L’attuale generazione Y o networked generation ha ridefinito il proprio sé grazie alla rete e ai suoi strumenti.
Invero in un’epoca di forte precarietà e di grandi incertezza Internet è riuscito a creare una vera e propria seconda vita dove l’espressione del sé trova le porte spalancate ed è soggetta a continue rielaborazioni di significato.Siamo di fronte a quelli che Schehr definisce “percorsi di vita funambolici”, non esistono più le distinzioni nette di un tempo per quanto riguarda i ruoli sia nel lavoro che nella vita privata. Il successo non può più avere una caratterizzazione canonica perché un normale studente e un giovane lavoratore, apparentemente senza pretese, possono essere un podcaster o un blogger di successo, seguiti e stimati da milioni di persone.
E’ così che da normali consumatori si diventa prosumer, produttori di ciò che si consuma, e si chiede alle aziende di rendere i loro processi più partecipativi, bidirezionali e orizzontali, pena la perdita di fiducia e di futuri clienti. In questo modo si realizza la subpoliticizzazione dell’azienda. Secondo il sociologo U. Beck subpolitica significa agire dal basso, apportare cambiamenti significativi dall’interno, proponendo stili di vita alternativi. Se questo cambiamento toccherà la politica perché non dovrebbe riguardare anche le aziende e la società in generale?
Attualmente le innovazioni maggiori riguardanti il campo pubblicitario sono concentrate su singole persone che hanno venduto la loro fronte su eBay, blog personali dove si viene pagati per recensire prodotti, podcast e siti che organizzano contest invitando gli utenti a produrre video che saranno premiati con il voto di altri partecipanti o di singoli navigatori, generando così un notevole passaparola e rendendo il volto dell’azienda più amichevole.
Tutto questo è chiamato User Generated Advertising e sta creando notevole scompiglio nella Rete. Finalmente si ha la possibilità di guadagnare divertendosi o apportando come valore aggiunto la propria esperienza, la propria passione e tutte le conoscenze che si hanno. Nascono così nuove categorie lavorative, si generano nuove discussioni sul futuro del lavoro tradizionale, sul ruolo che vestiranno sindacati e aziende in questa nuova prospettiva.
Ci si chiede quali saranno i paletti da fissare per non rendere tutto brandizzato o brandizzabile e quali problemi verranno alla luce per quanto riguarda la questione dei diritti d’autore in un mondo dove tutto è soggetto alle continue modifiche del taglia-copia-incolla. Un mondo, quello di Internet, dove il consumatore, una volta tanto, non è schiacciato e imbottito dalle menzogne ma sta continuamente ridipingendo le dinamiche del commercio e della società tradizionalmente intese.Da qui a dieci anni, proseguendo su questa strada, vedremo notevoli cambiamenti dove le aziende forse smetteranno di consultare psicografie ed indagini di mercato e chiederanno consulenza direttamente ai consumatori diventando con loro una cosa sola. Si può sperare che questa esperienza accresca da un lato la criticità per quanto riguarda l’acquisto dei prodotti da parte dei consumatori e, dall’altro, eticizzi le aziende sganciandole dal ruolo di corporation monolitiche e inattaccabili che occupano oggi.
Rendendole parte integrante e integrata di un mondo che può essere migliore grazie al coinvolgimento e alla partecipazione, così come la lezione di Internet ci ha insegnato.
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Condivido in pieno quello che scrive Stefano. Il buon senso prima di tutto. Il web 2.0 non è la soluzione a tutto e non può essere usata per tutto. Il nostro compito di noi addetti ai lavori è fare laboratorio. Provare, Condividere informazioni e sbagliare rapidamente.
Grazie Stefano
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Io quoto Stefano...
Ho iniziato a navigare nel '94 e se web 2.0 è interazione e traccia allora esisteva già nel '94, solo che aveva una portata per così dire "pioneristica"
Secondo me il fenomeno a cui stiano assistendo coi vari facebook, blog, etc è il cosiddetto fenomeno del "pecorone", cioè, se non ci sei non esisti e allora ci devono essere tutti, senza però valutare cosa ci stanno a fare lì tutti...
Ovviamente dal lato commerciale può essere molto vantaggioso sotto certi aspetti, perchè per chi vende è importante il numero delle persone che si possono raggiungere coi messaggi, soprattutto quelli giusti, ma dal lato della rete come strumento penso che ci fosse maggiore qualità ai tempi di undernet su IRC.
Basta aprire qualche piattaforma blog e scorrere una decina di blog a caso per accorgersi che il funzionamento è più o meno:
- Io ho un mio blog
- Vado e commento a casaccio gli altri blog
- La gente dai miei commenti arriva sul mio blog
Conosco personalmente almeno tre persone che commentano in giro gli altri blog al solo e unico scopo di ottenere dei ritorni... e ci riescono anche bene...
Se per web 2.0 invece vogliamo pensare strumenti tecnologicamente più avanzati per migliorare l'esperienza di navigazione di un utente su un sito, allora sono d'accordo (vedi ajax, accesso al dom al volo, uso di database)
Io non sono contrario all'idea di web 2.0 come massiccio uso del web, ma non si può negare che la televisione è passata da contenuti a spazzatura in 20 anni e il web corre un rischio similare... l'unica differenza è che la tv è diventata spazzatura per volontà di una decina di persone, mentre il web se lo dovesse diventare sarebbe per volonta di milioni di persone...
Cmq a farci i soldi sfruttando certi fenomeni sono sempre in pochi, quindi il meccanismo del mercato web non si discosta moltissimo dalla concezione di old economy...
keiske
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@keylocker said:
Ciao a tutti,
sto conducendo uno studio sul web 2.0 attraverso un blog di wordpress.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa la comunità di questo forum; aspetto i vostri commenti con opinioni, esperienze, critiche etc.Ciao KeyLocker! Forse arrivo un po' tardi, ma ho dato un'occhiata al blog che hai linkato e devo dire che è davvero accattivante, complimenti!