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Deposito doganale sito in Italia
Una società tedesca, dopo avere introdotto alcuni beni "allo stato estero" in un deposito doganale sito in Italia, li vende ad una società italiana; i beni sono ceduti all'interno del deposito doganale, senza che gli stessi vengano estratti ad opera dell'acquirente.
Quali sono gli obblighi di fatturazione relativi alla predetta cessione? In particolare, è obbligatoria l'identificazione IVA in Italia della società tedesca?
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@La Cubana said:
Una società tedesca, dopo avere introdotto alcuni beni "allo stato estero" in un deposito doganale sito in Italia, li vende ad una società italiana; i beni sono ceduti all'interno del deposito doganale, senza che gli stessi vengano estratti ad opera dell'acquirente.
Quali sono gli obblighi di fatturazione relativi alla predetta cessione? In particolare, è obbligatoria l'identificazione IVA in Italia della società tedesca?La società tedesca sarà tenuta ad identificarsi in Italia ed emetterà fatture non imponibili IVA in quanto trattasi di operazioni intracomunitarie.
Se l'identificazione avviene attraverso la nomina un rappresentante fiscale questi dovrà limitarsi solo all'emissione della fattura e alla presentazione dell'Intrastat.
Se l'identificazione avviene direttamente ex art. 35-ter DPR 633/72 oltre agli obblighi di cui sopra la società sarà tenuta ad assolvere anche agli obblighi di registrazione e dichiarazione annuale IVA.
Saluti.
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L?art. 21 co. 6 del DPR 633/72, anche a seguito della riformulazione operata dal DLgs. 52/2004, stabilisce che la fattura deve essere emessa, tra l?altro, per le cessioni di beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, esclusi da IVA ai sensi dell?art. 7 co. 2 del DPR 633/72.
La disposizione in esame rappresenta una deroga rispetto al sistema applicativo dell?IVA, posto che le operazioni escluse dall?imposta, perché carenti di uno o più presupposti impositivi, non determinano l?insorgenza nemmeno degli obblighi "formali", quali la fatturazione.
Se, in via generale, le cessioni di beni "allo stato estero" sono escluse da IVA per carenza del presupposto territoriale, occorre osservare:- da un lato, che le cessioni dei beni temporaneamente importati in Italia soddisfano il presupposto territoriale ai sensi dell?art. 7 co. 2 del DPR 633/72 e, quindi, vanno fatturate in regime di imponibilità (se i beni non sono destinati al mercato estero);
- dal?altro, che le cessioni dei beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, pur non integrando il presupposto territoriale, vanno comunque fatturate (con l?indicazione che si tratta di operazione "non soggetta" ai sensi dell?art. 7 co. 2 del DPR 633/72).
In entrambi i casi, la fatturazione presuppone, come regola generale, la previa identificazione IVA, in Italia, del cedente non residente, nella forma "diretta" (di cui all?art. 35-ter del DPR 633/72) o "indiretta" (ossia tramite la nomina del rappresentante fiscale, ai sensi dell?art. 17 co. 2 del DPR 633/72). Una volta accesa la partita IVA italiana, la fattura può essere emessa, in via alternativa: - dal soggetto non residente per il tramite della posizione IVA aperta in Italia;
- direttamente dalla posizione IVA aperta in Italia.
Nel primo caso, è necessario riportare anche il codice IVA del soggetto non residente; nel secondo caso, invece, è sufficiente riportare la partita IVA italiana (Centore P. "IVA comunitaria", Milano, IPSOA, 2001, p. 604 e 605).
Laddove, però, il cessionario italiano sia un soggetto passivo, quest?ultimo può autofatturarsi, evitando al cedente estero di doversi obbligatoriamente identificare in Italia (cfr. art. 17 co. 3 del DPR 633/72).
Nel caso di specie, se il soggetto non residente non procede ad identificarsi, l?autofattura emessa dal cessionario italiano recherà le stesse indicazioni previste nell?ipotesi in cui sia emessa la fattura, ossia che si tratta di operazione "non soggetta" ai sensi dell?art. 7 co. 2 del DPR 633/72; il soggetto non residente, quindi, potrà limitarsi ad emettere un documento rilevante ai soli fini commerciali (es. ricevuta).