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Andare via della propria terra: un'immagine che racchiude una verità importante
S M 3 Risposte -
@giorgiotave
Fammela dire una cosa a riguardo, che abito a Berlino da 6 anni:
Andare via da casa, dagli amici, dalla famiglia e dal proprio territorio non è fortuna, come alcuni sembrano pensare.
È fatica, disagio di non riuscire a capire e farsi capire, la scomodità di un posto che non conosci, la paura di fare le cose sbagliate.La cosa brutta, quella che fa rabbia, è che ci sono delle situazioni in cui è meglio affrontare le cose brutte del trasferimento lontano da casa, piuttosto che rimanere e sentirsi traditi e braccati in casa propria.
Sia chiaro, ci sono anche vantaggi nel vivere all'estero, altrimenti che ci vai a fare. Ma quando le persone mi dicono "Ah, vivi a Berlino, che fortuna", mi viene solo da rispondere: "non è che mi sono svegliato qui, ho deciso di andare via, ho traslocato, ho imparato un'altra lingua, ho faticato a trovare lavoro, un appartamento e un futuro in un posto che non sapeva nemmeno come pronunciare il mio nome. Non è proprio fortuna, è forza di volontà e speranza".
Questa immagine rende abbastanza.
Così, per dire.
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Condivido quanto dici.
Io ho vissuto anche per periodi prolungati, in Thailandia. Ho fatto quasi 4 anni di tempo trascorso e di fila ho fatto 6 mesi. Ma ci vivevo, non in vacanza.
Ma di fatto sono andato via dalla Calabria a 22 anni.
L'immagine per me ha un significato importante, diverso sicuro da quello che l'autore forse voleva comunicare, ma nel mio mondo vedo quelle braccia come delle radici.
Non so cosa farò in futuro e dove andrò, ma so da dove vengo. Ed è sempre una possibilità quella di tornare.
1 Risposta -
Credo che per chiunque sia emigrato, per studio o lavorio, quell'immagine rappresenta una parte di vita strappata con violenza. A me fa venire in mente il mio primo treno di notte che da Foggia mi portò a parma. E poi a Roma. Quando parlo di casa con amici e colleghi mi riferisco al sud. E quando ci torno è sempre una grande gioia. Le radici sono importanti, guai a dimenticarsi da dove veniamo
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A venti anni di distanza, indosso ancora quel velo nero di lutto, di solitudine, forse anche di rassegnazione. Il luogo dove sono nato e sono cresciuto è anche il luogo che mi ha reso nel bene o nel male quello che oggi sono, quegli anni sono stati quelli decisivi, quelli che mi hanno temprato, tutte il resto è solo contorno o scontorno di quello che è stato o di quello che sarà.
Anche se in fin dei conti sono sempre stato cittadino del mondo e non ho mai amato etichette e marchi di fabbrica, ammetto la presenza di un certo vuoto e quella strana nostalgia che a volte mette il viva voce.
Tuttavia al solo pensiero della prossima rimpatriata mi si rallegra il cuore e mi entusiasma già ora il risentire di quegli odori e sapori, rivedere e rivivere quei colori e luoghi a me sacri.
l'attimo del distacco è ormai lontano ma ne sento sempre il peso.
Da adolescente maledivo quella terra per avermi offerto così poco, solo molti anni dopo ne ho capito il senso e l'importanza di appartenenza.*In sottofondo "Terra mia" del grande Pino Daniele
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una volta mi sarei messo a ridere. anche ora, ora che sono dovuto tornare, probabilmente per sempre, sorrido.
è vero, verissimo, che non è affatto una fortuna essere costretti a scappare (almeno nel mio caso. e a gambe levate) appena si può per avere un barlume di speranza per il proprio futuro. tutt'altro.
è verissimo che si fa comunque molta fatica. ricordo una volta che tornai a casa, andai a visitare un amico: lui studiava nella sua bella cameretta, dove aveva tutto quello che era suo da quando era nato. la madre gli aveva lasciato la frittata per cena, me lo ricordo ancora. io vivevo accampato in una camera con quello che mi serviva per passare l'anno, e in casa avevamo un tizio che non tirava lo scarico. mai. riuscimmo a convincerlo dell'opportunità della cosa dopo molte insistenze ed avergli fatto presente che non si pagava l'eccedenza dell'acqua. true story.
è vero che l'italia mi è mancata, che mi è mancato qualche amico. ma è vero anche che mentre mi mancava, mi rendevo contro che non mi mancava l'italia vera, ma l'immagine che mi ero fatto negli anni passati fuori, una sorta di immagine edulcorata di un paese che non c'era più e che forse non era mai esistito.
e però sorrido lo stesso, guardando quest'immagine. mi fa venire in mente la sindrome di stoccolma. sono il nostro paese, la nostra città, il nostro quartiere che ci hanno costretto a scappare (uso ancora lo stesso verbo) per vivere, per fare qualcosa che evidentemente non potevamo fare a casa nostra, mangiando la frittata della mamma. sono ancora gli stessi difetti che ogni giorno mi fanno immaginare come sarei stato fortunato se non avessi mai dovuto tornare, se potessi scappare di nuovo e stavolta non tornare mai più, se non per farmi una vacanza di una settimana all'anno, se pure.
con tutto che non rimpiango di essere tornato per i motivi che mi hanno costretto a tornare. con tutto che, alla fine, non è andata nemmeno male quanto avrebbe potuto.
ma questo paese, se cambia nella direzione giusta, lo fa con eccessiva calma, per me e finisco sempre per rimpiangere di esservi nato. per me, quindi, non c'è un'ombra che si aggrappa a casa. se mai, ce n'è una che si aggrappa a quello che succede fuori.
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@giorgiotave io sarò bastian contrario, ma vedo l'emigrare anche se per esigenza come qualcosa di fantastico. alla fine siamo cittadini del mondo non solo del paese dove nasciamo e cresciamo, viaggiare e vivere fuori dai nostri confini non può far altro che farci crescere e migliorare.
S 1 Risposta -
@mredodos è certamente fantastico poterlo fare senza eccessivissimi problemi. un cittadino italiano, anche con le valigie di cartone, ha le porte aperte praticamente ovunque. non così per altri, aimè.