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Il Futuro
Pubblicazione Originale sul "Blog di Andrez"
*Piccola introduzione: Non pensate male di me dopo avere letto. Non sono davvero il tipo che si comporterebbe come il protagonista. Non vogliatemene male per non avere riflesso argomenti di politica contemporanea, non potrei leggere il confronto con gli esperti che frequentano il blog. Con questo articolo non voglio puntare dita, non voglio accusare nessuno e non voglio cercare di dare spiegazioni. Le parole sono affiorate da sole, ispirate da vari eventi, letture e riflessioni degli scorsi mesi. E’ un racconto, in parte, quindi non vuole essere una rappresentazione fedele della realtà. Alcuni mi diranno che sono esagerato, io però non credo. Buona lettura, e fatemi sapere cosa ne pensate.
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Non importa il mio nome, e quanto alla mia età vi basti sapere che ho fra i 12 e i 19 anni. Insomma, sono un “teenager“, appartengo a quel periodo vita nel quale si è abbastanza grandi da uscire di casa senza mamma e papà, e troppo piccoli per dover pagare le tasse, farsi da mangiare da soli o doversi preoccupare di un lavoro. Abito in una delle città più grandi d’Italia: Milano, però potrei anche abitare a Roma, Torino, Napoli o qualsiasi altra città del paese.
Se mi vedeste per strada di giorno non notereste in me nulla di particolare, ed in pochi istanti avreste rimosso dalla vostra memoria la mia immagine, ed io la vostra. Come per il mio nome, anche il mio aspetto fisico non ha molta importanza. Qui, nella città, essere uno mille significa che ci sono altre centinaia di persone come te. In questa moltitudine, perché dovreste considerarmi diverso dagli altri? Perché dovrei meritarmi qualche attimo in più di attenzione rispetto agli altri?
Quando salgo sul tram la mattina, appartengo alla seconda categoria: Quelli che danno fastidio. Da fastidio il mio zaino, rigido di libri che urta gomiti e polsi. Da fastidio il ronzio delle mie cuffie, quel sottile filo di suono che filtra attraverso la schermatura degli auricolari e si mischia ai rumori del mattino. Da anche molto fastidio la fretta con cui scendo dall’autbus quando sale un controllore, perché molto spesso il biglietto non l’ho neppure timbrato. La prima categoria sono invece quelli a cui io do fastidio. Indossano giacche costose: Nere, blu scure, beige, più raramente bianche… Hanno i colletti ed i polsini inamidati, le scarpe di cuoio e sobrie cravatte al collo. Loro non portano zaini ma piccolo 24 ore, dentro alle quali tablet, netbook o contratti. Non ascoltano musica, hanno all’orecchio un solo auricolare, con il quale parlano a persone che vedranno in appena due minuti, o che forse non vedranno mai. Molto spesso, spesso che conoscono solo per titolo, più raramente per cognome, quasi mai per nome ed in nessun caso come amici. E’ per questo che io, e tutti quelli come me, ascoltiamo i nostri auricolari, per non sentire i loro discorsi, che prosciugano l’anima, le speranze e, già di prima mattina, ti fanno chiedere: “Ma anche io finirò così?”
Quando arrivo a scuola è lo stesso copione che si ripete, dall’inizio dell’anno a questa parte. So già cosa succederà. So già che Claudio sarà sdraiato sul muretto, Lucio starà fumando una sigaretta, Alberta arriverà 15 minuti in ritardo e Simona starà controllando se la sua piega è ancora li, al suo posto. So che suono farà la campanella alle 8.05, so che ci sarà coda dalle macchinette, so il rumore della fotocopiatrice in aula professori, so il rumore del sole che si infrange sui vetri dei corridoi, e della neve che si scioglia sul fumo del camino. Entrato in classe so già cosa mi chiederanno e, più importante, cosa vorranno sentirsi rispondere. So che se non ripeterò parola per parola quello che c’è sul libro mi daranno a stento un 6, e che se prenderò un voto sotto il 6 Sabato sera sarò a casa.
Ma ecco che è subito Sabato sera. Ecco che il 6 l’ho preso, ma che dico, era un 7! E si che quei tre punti in più li devo al bigliettino che ho appicicato alla cattedra, sulla parte davante, quella rivolta alla classe e che il professore, stando seduto dietro alla stessa, non può vedere. Gliel’ho fatta! Non mi ricordo neanche più su cosa mi ha interrogato, però il 7 rimane, è scritto indelebile sul registro. Non faccio cena a casa, esco.
Esco.
ESCO!
I miei gridano qualcosa dal salotto, dove stanno guardano la televisione. Qualcosa mi dice che sono le ultime battute del copione che noi tutti abbiamo recitato dalla scorsa Domenica mattina, ma a me non interessa, perché ora è Sabato sera, il copione per questa notte è stato stampato bianco, un difetto di produzione, forse, ma lo spettacolo deve continuare, e noi improvvisiamo. E stasera siamo noi a decidere l’ambietazione, il setting e, sopratutto, il rating della puntata. Anche il budget lo decidiamo noi, quanto siamo disposti a spendere, sacrificare, per divertirci.
Si inizia con l’aperitivo. E’ lo stesso bar dove mi fermo tutte le mattine prima di scuola per un caffè con gli amici, ma stasera è tutto diverso. Prima è l’aperitivo, poi la birra, poi la seconda birra. Forse quello li è uno dei professori della nostra scuola? Ma cosa fa? Non lo sa che lui stasera non deve recitare? Ci sta dicendo qualcosa? Sta rovinando tutto, meglio andarcene.
Fuori piove. La città è deserta, ma piccoli focolari di luce splendono ancora, e splenderanno fino all’alba, come stelle nate fra di noi. Da un locale all’altro, da una luce all’altra, da una compagni all’altra, le ore passano, il coprifuoco anche, ma il cellulare l’ho lasciato a casa, stasera sono libero.
Il motorino sfreccia veloce verso un altro locale. Il mondo ondeggia, devo essere ubriaco, o forse lo è l’autista, che importanza ha? Cadiamo. Per fortuna non ci facciamo niente, ma il motorino è graffiato ed uno specchietto si è rotto. L’amica si massaggia la testa, lei che non indossava il casco. Ma dice che sta bene, che ci dobbiamo muovere altrimenti arriviamo tardi. Chissà dov’è il resto della compagnia.
Più tardi. Una discoteca. La musica è fortissima, si fa fatica a sentire se stessi. Però lei mi chiama. Non capisco bene di che colore abbia i capelli, tutto gira così velocemente. Ancora un ballo, non può essere poi così tardi. Le offro un altro drink, lei non mi leva gli occhi di dosso. Io, invece, faccio fatica a restare in piedi. Faccio per sedermi, ma lei mi fa di no, che vive li vicino. Vicino non so cosa voglia dire, ma poco dopo entriamo in casa sua. Che poi, scopro, non è casa sua, ma della zia, prozia, a dire il vero, che però ora è in vacanza, quindi la casa è libera.
Tutto gira così velocemente, anche le lancette dell’orologio, non possono già essere le 5.30. Le chiedo dove li tiene. Lei mi dice che non ne ha. Faccio per alzarmi, non si fa niente, lei ride e mi spinge sul letto. Dovrei oppormi, non so niente di lei, però non ne ho voglia, mi sembra tutto così divertente, uno scherzo. In fondo, le brutte cose succedono agli altri, a noi mai. Poi lei spegne la luce, e il resto si fa da se, complice forse l’alcol, forse la stanchezza, forse il senso di ribellione, forse una pasticca nel drink, ma quello me lo sto inventando, perché sicuramente nessuno mi metterebbe una pasticca nel drink.
Ed è di nuovo Lunedì mattina. Sabato prossimo non esco più, mi aspettavano a casa alle 2, e io sono tornato si alle due, ma di pomeriggio. Quanto a lei, neppure mi ricordo chi fosse, nè dove abitava, forse è stato tutto un sogno. La prima categoria è di nuovo sul tram, come sempre. Li guardo, sensazioni miste affiorano. Compassioni, condanna, tristezza e molte altre. Loro cosa hanno fatto Sabato sera? Forse erano ancora su questo tram, a parlare nei loro auricolari. Chissà se hanno una famiglia? Mi immagino, con un lieve sorriso, la loro famiglia che gli “rende visita” sul tram, il pranzo di nozze, con il tram che corre su una spiaggia al tramonto e le ferie, con il tram che si arrampica su per la Tour Eiffel.
Scendo, oggi a scuola è giornata di orientamento. Ci parleranno del nostro futuro. Quale futuro? Il futuro è il copione, ma il mio futuro è Sabato sera, quando in silenzio uscirò di casa per cercare di ritrovarla. E se invece ne ritroverò un’altra, mi ricorderò che quella sera bisogno improvvisare, e cercherò di farlo nel migliore dei modi.
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Carissimo Max,
rispondere ad argomenti così grandi come il futuro è veramente difficile, e sicuramente, anche se può apparire massificato (uguale per molti), esso è unico per ognuno di noi.Propongo una lettura ancora attuale in proposito:
Titolo: L' epoca delle passioni tristi
Autori: Benasayag Miguel, Schmit Gérard
Traduttore: Missana E.
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale economica. Saggi
Data di Pubblicazione: 2005ciao
marlomb