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Gaber fino in fondo
C'è solo la strada...
"[parlato] Maria, ti amo.
Maria, ho bisogno di te.
Poi la stringo e la bacio, infagottato d'amore e di vestiti. E anche lei si muove, felice della sua apparenza e del nostro amore. E la cosa continua bellissima per giorni e giorni. Una nave, con una rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una casa con noi due soli. Una gran tenerezza e una porta che si chiude.Nelle case non c'è niente di buono
appena una porta si chiude dietro a un uomo
succede qualcosa di strano, non c'è niente da fare
è fatale, quell'uomo comincia ad ammuffire.
Basta una chiave che chiuda la porta d'ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.
La chiave tremenda, appena si gira la chiave
siamo dentro a una stanza:
si mangia, si dorme, si beve.Ne ho conosciute tante di famiglie, la famiglia è più economica e protegge di più. Ci si organizza bene, una minestra per tutti, tranquillanti, aspirine per tutti, gli assorbenti, il cotone, i confetti Falqui. Soltanto quattrocento lire per purgare tutta la famiglia. Un affare. Si caga, in famiglia. Si caga bene, lo si fa tutti insieme.
Nelle case non c'è niente di buono
appena una porta si chiude dietro a un uomo
quell'uomo è pesante e passa di moda sul posto
incomincia a marcire, a puzzare molto presto.
Nelle case non c'è niente di buono
c'è tutto che puzza di chiuso e di cesso:
si fa il bagno, ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso.
Amore ti lascio, ti lascio.C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada, nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c'è spazio per verifiche e confronti.[parlato] Laura, ti amo.
Laura, ho bisogno di te.
Con te io ritrovo la strada, le piazze, i giovani, gli studenti. Li avevo lasciati qualche anno fa con la cravatta. Sono molto cambiati, sono molto più belli. Le idee, sì, le idee sono cambiate, e i loro discorsi e il modo di vestire. Gli esseri meno. Gli esseri non sono molto cambiati. Vanno ancora nelle aule di scuola a brucare un po' di medicina, fettine di chimica, pezzetti di urbanistica con inserti di ecologia, a ore pressappoco regolari. Ed esiste ancora il bar, tra un intervallo e l'altro. E poi l'amore, per fabbricarsi una felicità. Come noi ora. Una coppia, e ancora tante coppie.
Unica diversità, un viaggio in India su una Due cavalli. Due, come noi.E poi ancora una porta, ancora una casa
ma siamo convinti che sia un'altra cosa
Perché abbiamo esperienze diverse
non può finir male
perché abbiamo una chiave moderna
abbiamo una Yale
perché è tutto un rapporto diverso
che è molto più avanti
ma c'è sempre una casa, con altre aspirine e calmanti
e di nuovo mi trovo a marcire
in un'altra famiglia, la nostra, la mia
abbracciarla guardando la porta
e la mia poesia.
Amore, ti lascio, vado via.C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia, il bisogno di uscire
di esporsi nella strada, nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta, dal dolore, dalle bombe.[parlato] Lidia, ti amo.
Lidia, ho bisogno di te... ma, per favore, in un hotel meublé.Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia, il bisogno di uscire
di esporsi nella strada, nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta, dal dolore, dalle bombe....Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta, dal dolore, dalle bombe."
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Ciao WWW.
Ci ho messo un po' a prendere le misure di questa canzone; forse perché ha dentro tante cose, forse perché il suo messaggio non è così facile da ingoiare senza sentirsi smarriti, forse perché l'interpretazione di Gaber sembra così sofferta da meritare silenzio, invece di altre parole.
Pezzi come questo ti fanno sentire nudo davanti a uno specchio che, impietoso, rileva ogni crepa del tuo essere e mette ordinatamente in discussione ogni certezza.
Dalla sua, poi, ha anche il fatto di essere molto orecchiabile: entra in testa facilmente e non se ne va più via; non è però una banale marcetta da protesta di piazza. Somiglia più a un inno doloroso e pensoso, un'elegia complessa, un respiro vitale non provo di affanni e pause di sconforto.
Non riesco a prendere una posizione sul messaggio del testo: credo che Gaber abbia ragione, tanto da un punto di vista sociologico quanto da un punto di vista biologico (prima che edificassimo le civiltà, eravamo animali che si incontravano nella stagione degli amori e poi, pur vivendo in comunità, si stava ognuno per conto proprio), per non parlare della questione politica.
Tuttavia mi domando: esiste davvero un'alternativa valida alla "casa" che lui tanto stigmatizza e in cui non riesce a vedere nulla di buono?
Possiamo pensare ad una versione socialmente accettabile e operativamente promettente della camera d'albergo ammobiliata che lui, semiserio, evoca alla fine?
Qualcosa insomma che riaffermi fortemente il nostro vivere sociale e comunitario senza farci perdere quella possibilità di un'isola dove rifugiarci, in compagnia di chi amiamo o addirittura da soli - dacché ciascuno si porta dietro una propria bolla di solitudine inavvicinabile dagli altri.
Sono molto confuso: gli spazi troppo vasti e le riunioni troppo affollate mi lasciano sempre lievemente perplesso, ma anche il modello "eremita" appare poco stimolante. E non sono nemmeno così sicuro che la soluzione definitiva sia la Rete, che ci avvicina soltanto fino a un certo punto, ma in altri contesti esaspera le nostre solitudini ottuse e compresse.
Ho infine dalla mia troppa poca esperienza (sociale, affettiva, di vita in generale) per poter dare risposte oltre a formulare domande un po' contorte. È un periodo di cambiamenti e una canzone del genere lascia il segno in chi si prepara ad affrontare piccole grandi rivoluzioni.
Perdona lo sproloquio: sono gli effetti dell'ascolto.
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Beh, Gaber mica era uno da quattro soldi.
Ma devo dire che mai avrei potuto sperare in una reazione tanto meditata e profonda - cosa che solo 'certa' musica può suscitare, in ogni caso.
Provo a risponderti... ma solo con la premessa che la mia è solo UNA risposta assolutamente personale e non-meditata.
E che - in assoluto - *nessuno *ha dalla sua abbastanza esperienza per dare risposte univoche a domande tanto dense quanto le tue.
Quindi prendimi con il solito 'beneficio d'inventario'.
Naturalmente hai colto nel segno una delle 'cifre' del testo: la 'casa' - con tutti i suoi retaggi - è solo il simbolo di un'inquietudine e di alcune contraddizioni che evidentemente andavano emergendo in Gaber e nei suoi coetanei all'epoca in cui questo motivetto apparse nella nostra bella Italia.
E ovviamente hai ragione: si tratta di un testo sofferto e non retorico - politicamente o sociologicamente parlando.
In questo senso quello che per lui era un simbolo di 'imborghesimento' - o di perdità della condizione giovanile come dato anagrafico ed esistenziale - la 'casa', appunto, per la nostra generazione rappresenta ed evoca spettri ben peggiori e del tutto meno 'ideali', ma pungenti e concreti come un'ago puntato nel tessuto sociale del paese, nell'economia-mondo che attualmente ci vede protagonisti viventi.
Siamo coetanei, Leonov, figurati se ho dalla mia maggiori certezze, o se non sono a mia volta frastornato dalle rivoluzioni esistenziali che necessariamente mi coinvolgono.
Per 'noi' la 'casa' è un miraggio, una conquista che paghiamo cara... un lusso, mi viene da dire.
E non sto parlando in termini di compromessi esistenziali o ideal-politici.... no, mi riferisco proprio alla nostra prospettica posizione nell'immenso mercato dei privilegi che questo bel paese ci offre.
Non dimentichiamoci che anche Gaber - come altri della sua generazione - avevano comunque aspettative formatasi all'interno di una società che veniva dal primo e pieno decollo industriale del paese: e Gaber come altri era figlio di una borghesia e/o di una classe media che viveva la sua 'età dell'oro' con l'accesso ad una massa di nuovi consumi che sembravano poter letteralmente rivoluzionare la vita materiale... come poi in parte è anche avvenuto.
Voglio dire che molti dei 'giovani' che cantavano 'le strade' quarant'anni orsono - biasimando e giustamente criticando i simboli di un progresso squilibrato quanto apparente - non ebbero poi difficoltà ad appropriarsi di quei simboli.
La classe media della seconda metà del ventesimo secolo, almeno in Italia, ha riprodotto se stessa in una nuova classe media - anche se con nuovi consumi e con nuovi mestieri, in un mondo che sembra cambiare sempre più rapidamente.
A me pare che oggi quanti di noi si pongano lo scrupolo di credere in una vita domestica fuori dalle mura familiari siano angosciati da tematiche molto meno teoriche di quelle dei Gaber di allora.
'Giovani' di 40 anni che ancora condividono un affitto esoso con studenti fuorisede e stagisti trapiantati, coppie che rimandano la felicità di una nascita sine die, in attesa di tempi migliori e di tetti ove vullare pargoli e congetture esistenziali.....
... insomma, non voglio farla lunga, ma direi che oggi semmai saremmo disposti a tagliarci un dito per avere accesso ai rassicuranti simulacri 'borghesi' del secolo passato. Almeno un po'.
E anzi, ho sbagliato il verbo.
Non 'saremmo disposti', ma 'siamo costretti'.
Siamo costretti a credere moltissimo e ad applicarci ancora di più, solo per poter pensare come reali quei simboli che sotto altri aspetti ci piacerebbbe chiamare 'diritti'.
Il lavoro, la salute, la dignità. Queste cose qua, che illusoriamente sembravano istanze ormai acquisite da un secolo che per'altro verrà ricordato come terribilmente letale - due guerre mondiali - e incredibilmente produttivo e 'rivoluzionario' (c'è chi parla già di terza rivoluzione industriale..).
Noi post-contemporanei (sì, esiste anche la post-contemporaneità...... non chiedermi cosa significhi, ma tant'è...) abbiamo forse il problema di rideclinare le convinzioni occidentali dall'Illuminismo in poi per confrontarci con quel 'resto del mondo' che nel frattempo sembra essere sempre meno 'lontano' di come lo sembrava anche solo 40 anni fa.
Un resto del mondo in cui, tra parentesi, quelle fatue forme verbali che si riallacciano di 'diritti dell'uomo' o alle carte costituzionali del secolo scorso sono SICURAMENTE molto lontane da venire.
Eppure, nel nostro piccolo, per essere in questa parte di mondo ricco e spensierato, siamo assai ben più miseri e sfruttati di quella classe media che cantava e scriveva quelle canzoni.
Quindi direi proprio che oggi la 'casa' sia piuttosto un diritto da rivendicare, per noi; non certo un simbolo da cui rifuggire.
...
Eppure.
Eppure conviene provare a ridiscutere tutto, come tu stesso fai con gusto e generosità.
Anche qualcosa conquistata con sacrificio e con fatica può trasformarsi in qualcosa di terribilmente lacero e asfittico, anche oggi.
E non mi riferisco tanto alle grandi piccole angustie della vita domestica con una dolce compagna di casa... anzi, tutt'altro.
Semmai è la perdità della dimensione comunitaria come possibilità che mi coinvolga, questa è la cosa che mi fa ancora evocare il fascino della 'strada'.
Senza crederci troppo, sia chiaro, ma solo come svago malinconico per non pensare a tutto il resto.
Anche perchè, fra l'altro e banalmente, per strada oggi non ci trovi mica nessuno.
Sono tutti in qualche appartamento.
Nemmeno la 'malavita' della strada ci trovi, là fuori, passata l'ora del tramonto.
Puttane, spacciatori e criminali non sono nemmeno più lì a fare chiasso e colore.... sono tutti concentrati intorno alle sirene del potere e affollano - intercambiabili - le sale di ricevimento e i 'posti' di maggiore importanza del paese.
Sembra che solo i peggiori individui possano rappresentare il popolo che ci ospita come individui.
Se dunque guardi al 'trono' c'è da esser ancora più pessimisti, se vuoi.
Ma il contr'altare dei 'troni' - televisivi, politici, finanziari - evoca necessariamente qualcosa di polveroso come la 'strada'.
Dunque perchè non farsi una bella passeggiata, ogni tanto.
E senza credere che sia LA soluzione, quella di gironzolare girovaghi.
Nemmeno la Rete risolve nulla di nulla, ci mancherebbe.
Magari, ma non è così per certo.
Ma anzi, in questo senso, non c'è nulla di più eremitico che la vita d'appartamento.
Passi la tua giornata al lavoro e in faccende che 'devi' sbrigare.
La sera DEVi drogarti con un po' di 'tubo' - catodico, digitale... è indifferente.
E fai appena in tempo a rilassarti che tutto ricomincia crudele il mattino successivo, mandando affanculo ogni spazio per il dubbio e la discussione sui massimi sistemi per colpa di una sveglia elettronica che ti chiama al tuo lavoro, permanente gavetta.
Ci manca qualcosa per 'ricomporci' come classe, avrebbero detto i tromboni del secolo passato.
O come generazione, direbbero gli stessi tromboni oggi.
Ci mancano sogni condivisi, dico modestamente io.
Salvo forse proprio il raggiungimento di qualcosa di meno effimero di quello che ci viene offerto, gavetta, palla lunga e pedalare, rispetto e tradizioni mischiate ad innovazione di plastica e cinquantenni approssimativi quanto potenti.
In buona sostanza, amico Leonov, sono del parere che possiamo e anzi dobbiamo formulare mediazioni migliori di quelle che sembrerebbero essere destinate alla nostra esistenza terrena in questo secolo.
DOBBIAMO, anzichenò.
Viceversa può tornare utile l'idea di un'esistenza non necessariamente infelice di un individuo con se stesso, laddove questa sia la dimensione necessaria per un ancor migliore scambio con tutti gli altri.
E dobbiamo fare assolutamente attenzione a rifuggire gli 'eremiti' che parlano del loro essere inimitabile dalle lucide copertine televisive, o dai loro scranni rappresentativi.
Ci vuole anche un minimo di coerenza, non farebbe male al paese.
Per concludere lo sproloquio aggiungo che si può vivere un nido domestico senza considerarlo un rifugio nel momento in cui quello che c'è fuori non è poi così male, ed è in via di miglioramento.
Ora, io sinceramente nelle 'grandiose sorti e progressive' ci credo molto poco, purtroppo.
Quindi ascolto Gaber.
Non di meno cerco di fare i miei sforzi, e non considero comunqua casa mia come un 'rifugio'.
E' un 'covo' dove alloggiano i folletti, un campo dove si coltiva dissenso, una strada mai asfaltata.
Quindi, Gaber a parte, condividuo le tue inquietudine e il tuo utopistico quanto necessario ottimismo.
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Ok, quella era la risposta 'seria'.
Se invece ti premeva sapere la mia sulla convivenza con una donna... ... e anche... ... ma soprattutto :x.
Nel senso che la canzone di Gaber giocava anche sull'umorismo e sull'irriducibile scontentezza domestica dell'uomo (ma anche della donna, direi io, che faccio parte di una generazione molto più sensibile alle differenze di genere).
Maria, Laura, Lidia.... quando le donne sono tutte uguali (come anche gli uomini, beninteso).
Sono tutte tr.emendamente incantevoli e preziose.
E' adorabile come ci dilettano discettando su arredamento, suocere e bollette.
E' oltremodo irresistibile il loro fascino mentre ci rinfacciano le nostre abominevoli lacune... insomma, i piaceri domestici sono tanti e tali che non mi sentirei di consigliare il celibato o l'eremitaggio ad anima viva.
Anzi..... incito tutti i miei amici ancora single a rompere ogni indugio... ((((perchè mal condiviso è mezzo gaudio))).
Scherzo.
As usual. Anzi mi dissocio da qualsiasi cosa io abbia scritto qui sopra. Si faceva per celia.
[]
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Innanzitutto una risposta alla seconda replica.
La mia curiosità era di carattere generale - mi rivolgevo soprattutto all'attento osservatore di fenomeni sociali - ma in casi del genere le domande finiscono sempre col lambire aspetti privati e privatissimi, che pure non era mia intenzione investigare oltre il consentito. Spero di non essere apparso indiscreto.
Che poi si viva insieme a qualcuno, da soli, in famiglia o in una comune, la cosa veramente importante forse è riuscire a trovare un po' di equilibrio tra le incombenze quotidiane certamente meccaniche e noiose ("arredamento, suocere & bollette", per intenderci) e le piacevoli emozioni o gli stimoli intellettivi che la presenza degli altri intorno a noi riesce a donare.
In tal senso, una casa dotata all'interno di risate e di affetto (più acqua corrente e riscaldamento funzionante) è un buon posto per cominciare, ma di certo non l'unico dove passare tutto il tempo, altrimenti si va verso l'involuzione, non l'evoluzione.
E così torniamo all'altra risposta, quella "seria".
Sulla quale mi trovo pienamente d'accordo, punto per punto: il furto dei sogni da parte di mediocri imbonitori, i ribelli che sono diventati rapidamente squali, il paradossale capovolgimento storico che ci vede oggi mendicare ciò che per i nostri genitori e nonni era tutto sommato accessibile; la scomparsa dell'onore perfino tra i ladri e gli assassini, ormai pallide comparse rispetto a intere classi dirigenti (le "persone perbene" sanno essere spesso peggiori dei criminali).
In questo periodo mi capita di assistere a numerose manifestazioni più o meno autoconvocate: si è persa la connotazione squisitamente partitica delle riunioni di piazza, ma credo che la politica non sia del tutto scomparsa.
Anzi, al contrario: ci sono momenti in cui si manifesta tutti insieme per valori che sono assolutamente preliminari rispetto alle tensioni politiche (la legalità, la libertà, il diritto al lavoro); se le persone riescono a vincere la loro inerzia e si riversano per le strade in un'epoca così pigra e abulica, allora dev'esserci davvero un bel problema e una gran voglia di risolverlo senza più affidarsi a vertici incompetenti.
In queste piazze eterogenee, piene di facce spaesate e di combinazioni bizzarre (il medico e l'operaio, il giudice e il piccolo imprenditore, il moderato di destra e il disilluso di sinistra) a volte mi sembra di percepire una scintilla preziosa.
Non so se ciò che oggi chiamano "società civile" possa costituirsi come gruppo omogeneo e guadagnare visibilità e rappresentanza - troppe differenze, troppi interessi contrastanti, troppo vistoso il divario generazionale - ma credo allo stesso tempo che non ci siano reali alternative e che all'interno di questo panorama variegato ci sia ancora del buono. Molto buono.
Quanto alle nostre case, penso proprio che dovremo iniziare a costruire tanti rifugi per i folletti, prima che l'olocausto dei sogni che stanno portando avanti falci anche loro. Non se lo meritano i folletti e non ce lo meritiamo noi.
Grazie.
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