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    Il padre della lingua italiana; perchè Dante e non Boccaccio?

    Dante Alighieri è universalmente ritenuto il padre della lingua italiana.

    Oltre alla nota Divina Commedia, con le sue opere Dante fa accadere qualcosa di estremamente importante per la cultura italiana; nel nome dell'amore per Beatrice Dante diede la sua impronta al Dolce stil novo, conducendo poeti e scrittori a scoprire i temi dell'amore, in un modo assolutamente nuovo e mai così enfatizzato prima.

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    Tuttavia un altro importante scrittore toscano, Giovanni Boccaccio, ricopre un importante ruolo nella narrativa italiana e viene ritenuto il maggiore narratore a livello europeo, tale da aver avuto un ruolo egemone nel panorama europeo del XIV secolo.

    L'apporto del Boccaccio alla formazione della lingua italiana è considerato secondario rispetto a Dante; secondo voi questo è dovuto al fatto che Dante gli è precedente, ad un differente livello intellettuale del suo apporto o, specialmente considerata l'epoca, dagli argomenti che il Boccaccio tratta nel realizzare le sue maggiori opere?


  • Consiglio Direttivo

    @Andrez said:

    ...secondo voi questo è dovuto al fatto che Dante gli è precedente, ad un differente livello intellettuale del suo apporto o, specialmente considerata l'epoca, dagli argomenti che il Boccaccio tratta nel realizzare le sue maggiori opere?

    Penso che in questa frase gli argomenti ci siano tutti e siano quelli giusti.

    La sequenza temporale è piuttosto imprescindibile: non che siano mancati scrittori in lingua volgare anteriori a Dante, ma nella lotta tra giganti che vede scendere in campo la triade Dante - Petrarca - Boccaccio, il primo ha l'indubbio vantaggio di esser nato prima.

    Per lo stesso motivo, nel caso della tragedia greca si dice che Eschilo sia il padre fondatore, Sofocle la vetta ed Euripide il rivoluzionario: senza il primo e la sua istituzione dello standard, il secondo non avrebbe trovato l'alveo in cui produrre i suoi capolavori ed il terzo non avrebbe saputo quali canoni rivoluzionare.

    Il caso dei temi è anche rilevante: per quanto ben confezionate, le novelle di Boccaccio gravitano nell'area della favolistica e della vita quotidiana (con in più il tocco "intimista" della società chiusa per sfuggire al Male, cioè la pestilenza), mentre Dante regala un'epica di stampo classico ai suoi contemporanei e parla di tutto, si "sporca le mani" scendendo all'Inferno e solo dopo ascende all'Empireo del Paradiso.

    Per lo stesso motivo Omero è considerato il padre del greco antico, non Esiodo (suo successore non troppo lontano): il primo parla di guerra, belle donne, grandi viaggi, eroi e storie dal respiro infinitamente potente; il secondo esordisce con un poema sull'agricoltura e con un erudito catalogo degli dei. A chi si appassionavano i ragazzi, secondo voi?

    Sul livello intellettuale non saprei pronunciarmi: di Dante è nota la cultura quasi enciclopedica e la cpacità di mescolare registri, saltare dal sacro al profano, costruire insomma una letteratura totale.

    Boccaccio, dal poco che ho letto di suo, mi sembra eccellente nel suo campo, ma poco incline ad addentrarsi in sentieri inesplorati.

    Poi è, ovviamente, questione di gusti personali.

    Devo tuttavia ammettere che in Dante c'è davvero tutto tutto tutto: se qualcuno ha avuto la fortuna di leggere i Nove saggi danteschi di Borges si sarà reso conto che il nostro poeta nazionale è in grado di arrivare ad altezze che, forse, quasi nessun altro autore è riuscito a toccare.

    Tendo a fidarmi di Borges (il mio autore preferito ed uno dei lettori più voraci che la Storia ricordi, con una prodigiosa memoria ed un gusto per qualsiasi genere letterario), che aveva divorato epiche di ogni tempo e luogo, ma solo di Dante si era innamorato alla follia.