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LE AZIENDE GIOVANI E DINAMICHE. I luoghi comuni che non comunicano
Ciao,
quello che segue è un articolo che ho scritto oggi sul mio blog.
A voi la parola.
AndreaUn'azienda giovane e dinamica. Una di troppo.
I luoghi comuni che non comunicano.IL PROBLEMA.
Chi non le conosce?
Sono le aziende giovani e dinamiche,
quelle che coniugano innovazione e tradizione,
quelle che sono leader di mercato,
quelle che hanno i prodotti con il miglior rapporto qualità prezzo,
quelle che utilizzano tecniche avanzate,
quelle che?Ora, se volete, divertitevi pure ad aggiungere altre banalità a questo breve elenco di luoghi comuni.
Fatelo voi perché la noia mi ha già fatto sbadigliare tre volte.
Forse capita solo a me perché, vista l?ampia diffusione di queste espressioni nei testi delle brochure, dei siti web o di una qualsivoglia presentazione aziendale, sembra che il pericolo di slogarsi la mascella non spaventi nessuno.Fuor di polemica, se i redattori di questi testi non brillano per fantasia e capacità comunicative, almeno i loro committenti dovrebbero sapere che il leader di mercato può essere uno solo e che magari le aziende ?giovani e dinamiche? possono essere tante ma i testi delle brochure (o dei siti) di aziende diverse vengono letti dalle stesse persone.
Il fenomeno testimonia le carenze dei suoi attori in materia di comunicazione: da un lato ci sono dei comunicatori incapaci di scoprire e veicolare la reale identità di un?azienda, dall?altro imprese che non sanno o non comprendono la necessità di differenziare, o almeno curare, la propria immagine.
Alla fine dei conti, una strategia di imitazione paga?
La risposta è ovvia, le motivazioni di questo atteggiamento miope un po? meno.LE CAUSE.
La mia sensazione è che molte aziende diano vita a documenti promo-pubblicitari non per sentite esigenze di comunicazione, ma solo perché lo fanno i concorrenti.
Mancando la consapevolezza che ogni impresa sia singolare nei propri valori, nelle esperienze e negli obiettivi e che questa singolarità debba essere comunicata al proprio pubblico, persino il supporto comunicativo più semplice è costruito senza una motivazione consistente e con un budget quanto più basso possibile.
Ne consegue che la stesura dei testi (e nei casi più gravi anche la grafica) venga affidata all?ultimo impiegato, alla segretaria o al sedicente copy figlio-del cugino-della donna delle pulizie che per 20 euro a cartella scrive una brosciùr con i fiocchi.
È ancora più normale che, complice la parvità di competenza in materia e per colpa di un compenso terzomondista, questi personaggi usino il collaudato metodo del copia-incolla con i risultati che conosciamo bene.Altra causa di questa piattezza testuale è la presunzione di alcuni imprenditori, direttori mktg, responsabili commerciali che, probabilmente bravissimi nella loro area di competenza, si peritano di essere anche dei comunicatori eccezionali.
Per loro, affidare la comunicazione aziendale a dei professionisti esterni significa buttar via tempo e denaro.
È in questi casi che assistiamo al trionfo di tutte le baggianate verbali del linguaggio aziendale comune.
Comune come tutti i luoghi comuni che non comunicano.LE SOLUZIONI.
L?alternativa c?è, così evidente e ovvia che menzionarla fa ridere persino i polli affetti da depressione cronica.
Tuttavia i pennuti tristi mi sono simpatici, per cui lo dico: rivolgetevi a dei professionisti.
Il mondo è pieno di copywriter. Chiamatene uno o più di uno, guardate il suo portfolio, esponetegli le vostre esigenze, discutete, rompetegli le scatole con mille domande, fatelo venire in azienda, conoscetelo di persona e, solo se vi convince, chiedetegli un preventivo.
L?informazione sul compenso deve essere necessariamente l?ultima e nessun professionista serio ve la darà prima di conoscere bene il suo interlocutore e l?oggetto del suo lavoro.
Se così non fosse, vi trovereste di fronte a qualcuno che lavora in serie limitandosi a modificare per voi un lavoro precostituito.
Qualcuno che vi farebbe buttare via i vostri soldi.Al di là di questo consiglio, apparentemente banale ma di rado messo in pratica, mi preme condividere qualche piccolo suggerimento. Non ho alcuna pretesa di stabilire delle regole ma spero di offrire qualche buono spunto.
Se è vero che il professionista non esegue lavori in serie e considera ogni progetto nella sua singolarità, è altrettanto vero
che un **metodo di lavoro **collaudato permette di affrontare tutti i progetti senza ansie da foglio bianco.
Credo così tanto nella necessità di un metodo che al mio ho dato un nome, anzi una sigla: S.O.S.S come scoprire.
In qualunque progetto di comunicazione, Il primo passo è la raccolta delle informazioni: un vero e proprio lavoro di indagine che parte dalle interviste con il committente e dall?esame dei documenti forniti.
I questionari possono essere d?aiuto come guida, ma è solo il colloquio diretto che fa conoscere gli aspetti distintivi di un?azienda rispetto alle altre.
Scoprire l?identità aziendale è una questione di sensibilità verso i dettagli.
A volte le aziende hanno particolarità che nemmeno i loro leader riescono a evidenziare, spesso perché le danno per scontate o perché non riescono a trasmetterle all?esterno.
Sapere che l?azienda X è nata nel 1960 può dire al suo pubblico che ha circa mezzo secolo di vita, ma non racconta nulla di interessante sulla sua storia.
Ci sono stati dei cambiamenti di rotta? Come sono state affrontate le crisi economiche? Qualcuno in azienda ha avuto delle intuizioni geniali
che si sono trasformate in prodotti di successo? L?azienda è nata in una certa zona perché lì si trovava la manodopera esperta per un certo tipo di lavorazione?
Come si comporta l?azienda con i concorrenti? Come si comportano i concorrenti con l?azienda??
Le curiosità su una certa impresa possono essere infinite ma non tutte possono essere soddisfatte per ovvie ragioni di tempo e di disponibilità del committente.
Perciò, già nella raccolta delle informazioni è necessaria una prima selezione mirata a enucleare quelle notizie che contraddistinguono l?identità aziendale .
In seguito, occorre operare una seconda selezione che evidenzi ciò che può interessare e piacere ai diversi pubblici aziendali.O come Osare.
Gli schemi sono delle ottime guide per la redazione ma a lungo andare stancano e rischiano di essere ripetitivi.
Per questo motivo, una volta stabilito quali siano i tratti distintivi di un?azienda, quelli che ne evidenziano il ?carattere?,
raccontarli seguendo il solito schema ?Storia-azienda-prodotti-persone? significa ricadere nel vortice imitativo del ?giovane e dinamico?.
Per uscire dalla piattezza testuale, quindi, bisogna osare: parlare dell?azienda usando pochi e mirati argomenti.
Non serve parlare di storia aziendale se questa non è significativa, così come non servono le autocelebrazioni né le magnificazioni di prodotti uguali a quelli della concorrenza.
Paga, piuttosto, rendere chiaro al lettore/target cosa l?azienda possa fare per lui e con quali vantaggi.
Una brochure, un sito web o una presentazione aziendale, più che la carta d?identità dell?impresa sono l?abito, i modi e gli argomenti con i quali questa si mostra al primo appuntamento con il proprio pubblico.
Per questo motivo l?abilità del comunicatore deve essere tale da far conoscere il carattere dell?azienda, ma senza strafare.
Perché quasi sempre il pubblico/target non regala una seconda opportunità e, soprattutto, vuole essere affascinato ma anche scoprire realmente chi ha di fronte.
Osare, quindi, per far sì che l?azienda non venga percepita come ?una delle tante? ma senza raccontar balle che ne minino la credibilità:
le bugie hanno le gambe corte e fanno finire le aziende bugiarde con le gambe mozzate.
Questa impostazione ribalta completamente il modus operandi del comunicatore: da uno schema prefissato (storia-azienda-prodotti-persone)
in cui inserire gli argomenti si passa all?enunciazione di argomenti per i quali bisogna creare una suddivisione schematica efficace.
L?impegno richiesto al comunicatore è maggiore, così come la collaborazione del management aziendale, ma in mani creative adeguate il risultato va ben oltre le aspettative.S come sorprendere.
Pensiamo spesso alle aziende come a entità ?fredde?, capaci di esprimere la propria essenza solo attraverso dati contabili e prodotti e/o servizi.
Questa visione restrittiva dimentica che ogni azienda è fatta di persone, di scelte manageriali, di capacità di affrontare le istanze dei mercati, di modus operandi e persino di filosofie di vita.
Per sorprendere il lettore/target basta parlare delle aziende nella loro completezza o di aspetti caratteriali che il lettore non si aspetta di conoscere, basta ?raccontarle**?**.
Va da sé che l?artificio stilistico, l?uso delle figure retoriche o la creatività narrativa debbano essere finalizzate alla comunicazione sia del carattere dell?azienda che delle informazioni fondamentali su di essa.
Quando il testo, per quanto affascinante, non è ispirato dal pragmatismo che deve comunque accompagnare il ?racconto? di un?azienda, fallisce la sua ragion d?essere.
La capacità di generare sorpresa risiede, appunto, nella continua altalena fra concretezza e stile creativo, facendo in modo che queste due direttrici si avvalorino a vicenda.
A volte basta poco, per esempio è sufficiente accompagnare ogni affermazione perentoria con la sua reason why oppure usare titoli originali e invitanti ma pertinenti al contenuto.
Per fare un esempio, tutte le aziende sono capaci di dire che utilizzano tecniche avanzate, ma quanti sanno citare un esempio di tali tecniche?
La reason why è quella che avvalora l?enunciato principale, meglio ancora se sostenuta da una supporting evidence, la prova (o testimonianza) di supporto.
Si tratta, in sostanza, di un?articolazione simile a quella del messaggio pubblicitario.
Articolazione che non va considerata negativamente, perché, in senso esteso, è quella di qualunque enunciato concepito per convincere l?interlocutore.
Nel caso della presentazione aziendale tout court, non esiste una *call to **action *(un invito a un?azione particolare) ma una più generale ricerca di empatia e consenso nel proprio pubblico/traget.
Empatia e consenso che non possono prescindere dall?evidenza dell?identità aziendale.Sorprendere non significa necessariamente stupire:
un discorso chiaro e coerente sull?azienda può risultare sorprendente a chi è abituato a leggere un?accozzaglia di affermazioni inutili quanto vuote di significato.
In quest? ottica, il** titolo a effetto **può essere concepito come il claim di un annuncio pubblicitario.
Se particolarmente creativo o fantasioso, deve essere immediatamente comprensibile e introduttivo dei rapporti causa-effetto presenti nel testo.
La sorpresa può derivare anche da una disposizione inusuale degli argomenti.
Per esempio, parlando di un?azienda si possono enunciare i benefit ricevuti dagli utilizzatori dei suoi prodotti per poi passare alle caratteristiche dell?azienda che portano a quei vantaggi.
Normalmente si fa l?esatto contrario.Sorprendere, quindi, con la semplicità disarmante di fatti evidenti, dimostrabili e resi affascinanti da una narrazione mirata.
È lecito chiedersi se S.O.S. funzioni. Posso dire che per me funziona ma, non essendo un metodo rigido, la sua efficacia dipende dalla sensibilità di chi lo applica e dalla disponibilità del cliente a comprenderne i pregi.
Giusto per fare un esempio, pochi mesi fa ho scritto i testi del sito web di una piccola società di consulenza aziendale.
Individuare i punti di forza e di debolezza non era stato facile, così come tradurli in un percorso narrativo chiaro, conciso e molto differenziante.
Avevo applicato il mio metodo S.O.S. e avevo ottenuto un risultato piuttosto soddisfacente.
Purtroppo il cliente ha rimaneggiato i testi col risultato che alcuni concept innovativi
si sono persi nelle solite, usuali e stanche espressioni del gergo di mktg.
Così, sul web c?è, mio malgrado, un?** altra azienda giovane e dinamica con la mission della soddisfazione del cliente**.
Un?azienda giovane e dinamica di troppo, una come tante.
Con buona pace di S.O.S. e della comunicazione efficace.
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Articolo interessante, grazie per il tuo contributo.
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Cerco di non limitarmi a un generico lamento
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@wordtouch said:
Cerco di non limitarmi a un generico lamento
Il che sarebbe come aggiungere banalità alla banalità, mentre invece hai scritto un ottimo articolo. Bravo.