• User Newbie

    Co.co.pro e costi per il committente (alias: vorrei tanto un co.co.pro)

    Ciao a tutti.

    Svolgo con frequenza variabile attività di docenza presso alcuni centri di formazione. Il direttore del centro col quale sto collaborando ora mi ha "invitato" ad aprire una partita iva per poter continuare a collaborare con loro.
    Ho valutato attentamente i pro e i contro di tale regime fiscale e ne sono rimasto deluso | sconvolto | seriamente preoccupato.
    Il regime ordinario è un salasso soprattutto perché per l'attività che svolgo le possibilità di detrarre spese (recuperando parte dei "percento" anticipati come tasse) è limitata. Qualche calcolo e la percentuale di stipendio che rimarrebbe nelle mie mani (al netto di tasse e contribuzione) risulta essere circa il 40% (dal quale sottrarre gli ulteriori costi legati alla consulenza di un commercialista).
    Il nuovo regime dei minimi ha requisiti troppo stringenti: praticamente non avrei mai dovuto insegnare prima d'ora, poiché l'attività di impresa intrapresa non deve essere mera continuazione di attività svolta in precedenza. Certo, si potrebbe "giocare" con i codici ATECO e cercare sfumature che permettano comunque un'attività di docenza; ma ciò vorrebbe dire giocare (e rischiare) con le interpretazioni.
    Vengo al dunque.
    Milioni (?) di lavoratori piangono giustamente la precarietà connessa al co.co.pro. Per quanto mi riguarda, sembra essere il male minore.
    Io desidero un co.co.pro.
    Irpef e gestione separata al 26,72% sono carezze al confronto di studi di settore, anticipi inps un anno per l'altro, irap, gestione dell'IVA e diavolerie simili.
    Eppure il committente di cui parlavo qualche riga più su ritiene "caotica" la gestione del contratto a progetto.
    Come posso convincerlo del contrario?
    Credo che i costi per il committente non siano così elevati. Ho provato a immedesimarmi nei suoi panni per intuire cosa lo possa frenare dal farmi un contratto a progetto.
    I contributi INPS? Beh potrebbe ridurmi i compensi pattuiti e ammortizzarne in questo modo il costo.
    La cadenza mensile dei pagamenti (opposta al saldo-alla-fine-del-lavoro tipica della partita iva)? Beh, chiedo a voi esperti, non si può formulare il contratto a progetto in modo tale che il pagamento avvenga in un'unica soluzione, al termine del lavoro, con conseguente emissione di un solo cedolino? Ogni corso-consulenza-progetto-di-lavoro potrebbe essere considerato - appunto - un progetto da portare a termine.
    So bene che quanto ho scritto fin qui è uno sfregio ai valori del lavoro e dell'equilibrio fra domanda e offerta. So bene che le mie sono parole desolanti e che rappresentano una eclatante rinuncia alla contrattazione.
    Ma io non voglio una pensione.
    Andrò a lavorare con la febbre.
    Il tfr lo accantono in una vita di lavoro risparmiando.
    Voglio solo fare il lavoro che amo (anche a 90 anni, se il cervello tiene).
    Voi cosa ne pensate (astenersi insultatori compulsivi).

    Grazie
    Analisisintesi


  • User

    Io ho lo stesso problema...ma non riesco a venirne a capo..c'è una tale confusione riguardo questo tema...oltretutto io la p.iva l'ho già aperta..ma non avendo mai fatturato ancora, sto seriamente pensando di chiuderla e di pretendere la conversione del contratto in co.co.pro...spero che gli esperti ci rispondano.


  • Super User

    Intuisco perfettamente il senso delle sue parole.
    Il regime ordinario, per fatturati modesti, può comunque non essere considerato un "salasso".
    Le detrazioni irpef di base spesso consentono di minimizzare, se non azzerare, il carico fiscale (con le ritenute d'acconto si va poi a credito con il quale potere almeno in parte compensare iva e contributi inps)
    Il problema, perchè di tale si tratta, possono essere gli studi di settore che per fatturati bassi possono presentare ostacoli nella congruità e coerenza.
    L'iva, però, non deve essere mai considerata un costo. Lei la addebiterà al suo cliente e, a sua volta, la pagherà ai suoi fornitori, girando poi all'erario la mera differenza.
    L'inquadramento con p.iva è decisamente più conveniente per il suo datore di lavoro, evita integralmente il costo delle sue imposte e contributi previdenziali che, considerando il lordo, possono essere abbastanza elevati.

    @analisisintesi said:

    Ciao a tutti.

    Svolgo con frequenza variabile attività di docenza presso alcuni centri di formazione. Il direttore del centro col quale sto collaborando ora mi ha "invitato" ad aprire una partita iva per poter continuare a collaborare con loro.
    Ho valutato attentamente i pro e i contro di tale regime fiscale e ne sono rimasto deluso | sconvolto | seriamente preoccupato.
    Il regime ordinario è un salasso soprattutto perché per l'attività che svolgo le possibilità di detrarre spese (recuperando parte dei "percento" anticipati come tasse) è limitata. Qualche calcolo e la percentuale di stipendio che rimarrebbe nelle mie mani (al netto di tasse e contribuzione) risulta essere circa il 40% (dal quale sottrarre gli ulteriori costi legati alla consulenza di un commercialista).
    Il nuovo regime dei minimi ha requisiti troppo stringenti: praticamente non avrei mai dovuto insegnare prima d'ora, poiché l'attività di impresa intrapresa non deve essere mera continuazione di attività svolta in precedenza. Certo, si potrebbe "giocare" con i codici ATECO e cercare sfumature che permettano comunque un'attività di docenza; ma ciò vorrebbe dire giocare (e rischiare) con le interpretazioni.
    Vengo al dunque.
    Milioni (?) di lavoratori piangono giustamente la precarietà connessa al co.co.pro. Per quanto mi riguarda, sembra essere il male minore.
    Io desidero un co.co.pro.
    Irpef e gestione separata al 26,72% sono carezze al confronto di studi di settore, anticipi inps un anno per l'altro, irap, gestione dell'IVA e diavolerie simili.
    Eppure il committente di cui parlavo qualche riga più su ritiene "caotica" la gestione del contratto a progetto.
    Come posso convincerlo del contrario?
    Credo che i costi per il committente non siano così elevati. Ho provato a immedesimarmi nei suoi panni per intuire cosa lo possa frenare dal farmi un contratto a progetto.
    I contributi INPS? Beh potrebbe ridurmi i compensi pattuiti e ammortizzarne in questo modo il costo.
    La cadenza mensile dei pagamenti (opposta al saldo-alla-fine-del-lavoro tipica della partita iva)? Beh, chiedo a voi esperti, non si può formulare il contratto a progetto in modo tale che il pagamento avvenga in un'unica soluzione, al termine del lavoro, con conseguente emissione di un solo cedolino? Ogni corso-consulenza-progetto-di-lavoro potrebbe essere considerato - appunto - un progetto da portare a termine.
    So bene che quanto ho scritto fin qui è uno sfregio ai valori del lavoro e dell'equilibrio fra domanda e offerta. So bene che le mie sono parole desolanti e che rappresentano una eclatante rinuncia alla contrattazione.
    Ma io non voglio una pensione.
    Andrò a lavorare con la febbre.
    Il tfr lo accantono in una vita di lavoro risparmiando.
    Voglio solo fare il lavoro che amo (anche a 90 anni, se il cervello tiene).
    Voi cosa ne pensate (astenersi insultatori compulsivi).

    Grazie
    Analisisintesi


  • User Newbie

    La ringrazio per la sua risposta chiara e completa.
    Le auguro una buona serata.
    Analisisintesi