A riguardo ho trovato questo...
sentenza n. 9691/98
[h=1]L'obbligo di fedeltà, gravante sul lavoratore, può essere violato anche in considerazione di comportamenti tenuti dal coniuge?Una sentenza della Cassazione di fine anni novanta ha fissato alcuni principi in materia.
La vicenda ha preso lo spunto dal licenziamento intimato da un'azienda a due suoi dipendenti per violazione del dovere di fedeltà sancito dall'art. 2105 c.c., che dispone che il lavoratore non deve trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con il proprio datore di lavoro.
Secondo la tesi della società, i due lavoratori avevano violato tale obbligo, in quanto le rispettive consorti avevano costituito una società esercente un’attività concorrente con quella del datore di lavoro dei loro mariti. Tuttavia, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo dal Pretore del lavoro, con sentenza confermata dal Tribunale e, ora, dalla Suprema Corte (sentenza n. 9691/98).
La decisione adottata dai giudici che hanno esaminato il caso sono sicuramente condivisibili: non si può pensare che sia in violazione del dovere il fedeltà il fatto che la moglie di un lavoratore intraprenda un’attività economica in concorrenza con il datore di lavoro del marito, in quanto una simile estensione dell’obbligo di fedeltà comporterebbe una inammissibile limitazione al diritto di iniziativa economica, sancito dall’art. 41 della Costituzione.
A parte questa preliminare considerazione, va ancora osservato che il dovere di fedeltà del lavoratore ha un ambito di operatività che non può andare oltre il contesto lavorativo: i comportamenti della vita privata del lavoratore restano liberi, almeno fino a quando non incidano oggettivamente sull’esatto adempimento delle prestazioni di lavoro.
Nelle sentenze pronunciate nel procedimento di cui si parla vi sono anche altre osservazioni, più attinenti al caso concreto, che vale comunque la pena di ricordare.
In primo luogo, è stato osservato che la violazione dell’obbligo di fedeltà avrebbe presupposto la prova, da fornirsi ad opera del datore di lavoro, che i lavoratori licenziati avessero collaborato nell’esercizio dell’attività aziendale avviata dalle mogli, ovvero che gli stessi si avvalessero dei coniugi come prestanome. Non essendo stata fornita una prova del genere era inevitabile la dichiarazione di illegittimità dei licenziamenti.
E’ stata, inoltre, ritenuta irrilevante la circostanza che i lavoratori fossero, con le rispettive mogli, in regime di comunione dei beni. Secondo la società, questa circostanza sarebbe stata significativa perché, come conseguenza della comunione dei beni, gli effetti dell’attività economica di un coniuge si riverberano nella sfera patrimoniale dell’altro.
Tuttavia, la sentenza sopra citata della Corte di cassazione ha escluso la rilevanza della questione: la violazione dell’obbligo di fedeltà deve consistere in una condotta direttamente riconducibile alla persona del lavoratore, che non può essere penalizzato per l’attività lavorativa, sia essa autonoma o subordinata, svolta dal coniuge.
wikilabour.it/Print.aspx?Page=Licenziamento per giusta causa
Quindi via libera credo...
Concordate?