• User Attivo

    Ezra Pound e Thomas Eliot
    fanno a pugni nella torre di comando :quote: Bellissimo testo, geniale direi.
    Ma a proposito delle follie dei "Via della povertà", mi permetto di proporre anche le follie venute fuori "Parlando del naufragio della London Valour"...

    I marinai foglie di coca digeriscono in coperta
    il capitano ha un'amore al collo venuto apposta dall'Inghilterra
    il pasticcere di via Roma sta scendendo le scale
    ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare
    ha una frusta giocattolo sotto l'abito da tè.

    E la radio di bordo è una sfera di cristallo
    dice che il vento si farà lupo il mare si farà sciacallo
    il paralitico tiene in tasca un uccellino blu cobalto
    ride con gli occhi al circo Togni quando l'acrobata sbaglia il salto.

    E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli
    i marinai uova di gabbiano piovono sugli scogli
    il poeta metodista ha spine di rosa nelle zampe
    per far pace con gli applausi per sentirsi più distante
    la sua stella sì e oscurata da quando ha vinto la gara del sollevamento pesi.

    E con uno schiocco di lingua parte il cavo dalla riva
    ruba l'amore del capitano attorcigliandole la vita
    il macellaio mani di seta si è dato un nome da battaglia
    tiene fasciate dentro il frigo nove mascelle antiguerriglia
    ha un grembiule antiproiettile tra il giornale e il gilè.

                    E il pasticciere e il poeta e il paralitico e la sua coperta 
    

    si ritrovarono sul molo con sorrisi da cruciverba
    a sorseggiarsi il capitano che si sparava negli occhi
    e il pomeriggio a dimenticarlo con le sue pipe e i suoi scacchi
    e si fiutarono compatti nei sottintesi e nelle azioni
    contro ogni sorta di naufragi o di altre rivoluzioni
    e il macellaio mani di seta distribuì le munizioni.

    :gthi:


  • Moderatore

    Ahh, ma allora sei un intenditore!

    🙂


  • User Attivo

    Grazie! Detto da te è davvero un gran complimento, visto il topic che hai aperto e i gioielli di Faber che hai tirato fuori :vai:
    Allora direi di festeggiare la domenica e questo topic con un bel ballo in maschera...
    Pezzo tratto da uno dei miei dischi preferiti in assoluto, in realtà per apprezzarlo appieno (il pezzo) andrebbe contestualizzato nel resto del disco; infatti l'album in questione (Storia di un impiegato) è un album con una storia ben definita che si sviluppa dal primo all'ultimo brano.
    Negli anni 70 si usava fare dischi del genere; oggi purtroppo anche la musica deve essere per lo più d'impatto e fast, mentre quel genere di dischi era ed è da gustarsi in modo molto slow... quindi, mio consiglio spassionato ai lettori del topic (escluso WWW che sono sicuro lo abbia già :D), se vi piace il singolo, compratevi l'intero album, non ve ne pentirete.

    **AL BALLO MASCHERATO **

    Cristo drogato da troppe sconfitte
    cede alla complicità
    di Nobel che gli espone la praticità
    di un'eventuale premio della bontà.
    Maria ignorata da un Edipo ormai scaltro
    mima una sua nostalgia di natività,
    io con la mia bomba porto la novità,
    la bomba che debutta in società,
    al ballo mascherato della celebrità.

                    Dante alla porta di Paolo e Francesca
    

    spia chi fa meglio di lui:
    lì dietro si racconta un amore normale
    ma lui saprà poi renderlo tanto geniale.
    E il viaggio all'inferno ora fallo da solo
    con l'ultima invidia lasciata là sotto un lenzuolo,
    sorpresa sulla porta d'una felicità
    la bomba ha risparmiato la normalità,
    al ballo mascherato della celebrità.

    La bomba non ha una natura gentile
    ma spinta da imparzialità
    sconvolge l'improbabile intimità
    di un'apparente statua della Pietà.
    Grimilde di Manhattan, statua della libertà,
    adesso non ha più rivali la tua vanità
    e il gioco dello specchio non si ripeterà
    "Sono più bella io o la statua della Pietà"
    dopo il ballo mascherato del celebrità.

    Nelson strappato al suo carnevale
    rincorre la sua identità
    e cerca la sua maschera, l'orgoglio, lo stile,
    impegnati sempre a vincere e mai a morire.
    Poi dalla feluca ormai a brandelli
    tenta di estrarre il coniglio della sua Trafalgar
    e nella sua agonia, sparsa di qua, di là,
    implora una Sant'Elena anche in comproprietà,
    al ballo mascherato della celebrità.

    Mio padre pretende aspirina ed affetto
    e inciampa nella sua autorità,
    affida a una vestaglia il suo ultimo ruolo
    ma lui esplode dopo, prima il suo decoro.
    Mia madre si approva in frantumi di specchio,
    dovrebbe accettare la bomba con serenità,
    il martirio è il suo mestiere, la sua vanità,
    ma ora accetta di morire soltanto a metà
    la sua parte ancora viva le fa tanta pietà,
    al ballo mascherato della celebrità.

    Qualcuno ha lasciato la luna nel bagno
    accesa soltanto a metà
    quel poco che mi basta per contare i caduti,
    stupirmi della loro fragilità,
    e adesso puoi togliermi i piedi dal collo
    amico che m'hai insegnato il "come si fa"
    se no ti porto indietro di qualche minuto
    ti metto a conversare, ti ci metto seduto
    tra Nelson e la statua della Pietà,
    al ballo mascherato della celebrità.

    :ciauz:


  • Moderatore

    Certo che ho quell'album, come potrebbe essere altrimenti?

    Trascrivo di seguito la nota scritta in merito da Roberto Danè (autore del testo di Sogno Numero Due), pubblicata nel cd (nel vinile, all'epoca).

    Descrive sinteticamente il percorso dell'impiegato, che viene allegoricamente proposto seguendo il filo delle varie canzoni.

    "Un impiegato ascolta, 5 anni dopo, una delle canzoni del maggio francese 1968. E' una canzone di lotta: ricorda gli avvenimenti accaduti durante la rivolta nata dagli studenti e, rivolgendosi a quelli che alla lotta non hanno partecipato, li accusa e ricorda loro che chiunque, anche chi, in quelle giornate, si è chiuso in casa per paura, è ugualmente coinvolto negli avvenimenti. La canzone contiene l'affermazione che la rivolta non è finita ma ci sarà nuovamente, in futuro, più forte.
    L'impiegato paragona la sua vita fatta di buonsenso, individualismo e paure, a quella dei ragazzi che hanno avuto il coraggio di ribellarsi al sistema che li opprimeva.
    Si rende conto, o così presume di sé. di non poter unirsi a loro, di non poterli seguire né affiancarsi in nessun modo. La realtà nella quale vive lo ha condizionato, lo ha segnato irrimediabilmente.
    C'è solo posto per la vendetta e la presunzione di potercela fare da solo di risolvere con un gesto solitario tutti i problemi che lo incatenano al posto di lavoro. Decide così di gettare una bomba ad un ballo mascherato al quale partecipano tutti i miti, i valori della cultura e del potere borghese. E comincia a sognare.
    -Sogna di autoinvitarsi al ballo mascherato e di portare con sé la bomba, gettarla ed assistere agli effetti dello scoppio su coloro che per anni ha rispettato, gli hanno fatto paura, gli hanno imposto un comportamento. La sua liberazione è totale, alla fine; dopo aver assistito all'agonia di tutti, e dei padre e della madre, si libera anche dell'amico che gli ha insegnato il modo di ribellarsi rendendo così all'individualismo di cui è vittima, il tributo definitivo.
    Il sogno prosegue: la voce di un giudice lo informa che il potere borghese era al corrente dei suoi atti, addirittura lo stava seguendo dalla nascita così come segue tutti i suoi sudditi.
    L'accusa di omicidio, di strage, si trasforma in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso, che ormai ha trovato altri modi per governare. li giudice lo informa che ha usato correttamente gli strumenti della legge e che il suo gesto non è altro che la ricerca di potere personale. Così lo accoglie tra coloro che contano, tra coloro che decidono, tra coloro che governano e dispongono della altrui e della propria libertà.
    Un nuovo sogno, o una nuova puntata dei sogni precedenti, e l'impiegato prende il posto del padre da lui stesso sacrificato alla ricerca di spazio personale. Rivive una vita lancinante, fatta di illusioni e relative delusioni, di difese disperate della propria integrità, del proprio denaro, delle proprietà. Non è più un sogno, ma un incubo'e l'impiegato si sveglia.
    Ha capito che in qualunque modo è un uomo finito, senza nessuna possibilità di ricupero, che i suoi gesti saranno sempre individualisti, tesi al proprio bisogno personale e che salendo la scala del potere non si sfugge comunque alla propria condizione di isolamento, d'angoscia. La bomba che nel sogno era stata gettata con forza, con rabbia, per vendetta, ora, nella realtà, diventa un momento di ebbrezza e, ovviamente, di lucidità.
    L'impiegato sa cosa fare, sa dove andare, sa chi deve colpire e perché. Va dritto al parlamento a gettare una bomba vera per ammazzare gente vera, ma la sua abilità era soltanto un sogno: la bomba rotola giù verso un'edicola di giornali e l'unica cosa che lo colpisce è, come una previsione, la faccia della sua fidanzata che sta su tutte le prime pagine dei giornali.
    E alla fidanzata dei mostro, l'impiegato scrive una lettera di addio dal carcere nel quale è rinchiuso. Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell'essere uguali, l'impiegato non più impiegato scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la realtà della parola "Collettivo" e della parola "potere".
    Per la prima volta in bocca al personaggio e per la seconda nel disco, l'io passa al noi mentre si prepara una nuova rivolta o sta continuando la stessa della canzone del maggio.
    La nota più interessante che se ne ricava è la contrapposizione fra due diverse realtà: quella nella quale si muove l'impiegato preso a simbolo della classe borghese media che, in cambio del rispetto delle regole imposte da chi ha in mano le leve del comando, gode dei suoi stessi privilegi e la realtà del carcere, diventata qui, saltandone a pie' pari le implicazioni di degradazione di cui tutti siamo a conoscenza, il simbolo della oppressione e anche della uguaglianza".
    La scelta del carcere (da parte di De André e Bentivoglio) è ovviamente formale, ai fini del racconto, e viene usata come pretesto per indicare una situazione di collettività.
    Queste due situazioni hanno un punto in comune: sono due condizioni esistenziali di costrizione ma la prima necessita, per la liberazione, della legge della jungla, l'individualismo, la lotta personale, la necessità di imparare delle regole non scritte, dei codici di comportamento che sono appannaggio di coloro che si dividono la torta del potere.
    Ed il risultato, questa liberazione, può essere soltanto una posizione personale più prestigiosa, un salto di piano, una crescita obbligata all'interno di quelle regole: perciò da oppresso a oppressore.
    Poiché è contenuta nella stessa logica del potere la possibilità che qualcuno ne possa avere altrettanto o di più, non c'è vero conflitto, sempre che le regole siano rispettate.
    Per grandi gruppi economici non importa il nome di chi governa se il nome è il prestanome di un sistema di governare.
    Così non importa se l'impiegato prende il posto di uno che ha in mano qualche piccola leva di comando, basta che rispetti le regole del gioco. (Nel disco è il posto del padre, usato da De Andrè e Bentivoglio come esempio della conservazione di classe.)
    Anzi, ben venga un rinnovamento, sangue giovane e vitale, per consolidare quella realtà che servirà ad istruire, condizionare, preparare altra gente e altro sangue a sostituirsi ai vecchi migliorando ma non cambiando il decalogo della classe dominante.
    In carcere la realtà concede invece due alternative. Ovvero, in condizioni di sfruttamento sopra una intera collettività ci sono due modi di liberarsi: uno individuale, ma bisogna abbandonare la classe alla quale si appartiene per entrare nell'altra, quella già descritta, l'altra possibilità è quella di farIo collettivamente.
    Ed è proprio in una realtà collettiva che si impara un altro modo di agire, di pensare, di gestire la propria persona tenendo conto della presenza degli altri, facendosi un tutto con gli altri fino a cambiare l'io col noi, ripetendo la stessa posizione di lotta ma questa volta con la coscienza di appartenere alla stessa classe di sfruttati."

    Una prosa e una storia dell'altro secolo, potremmo dire.

    I realtà l'album è tutt'altro che allegro; direi amar-ostico piuttosto.

    E non poeva essere che così. C'è l'idea di un possibile riscatto futuro, certo, ma tutto sommato la sensazione più forte non è quella dell'idea di una possibile vittoria.

    E' il gusto inimitabile della sconfitta quello che viene celebrato.

    Saper perdere è un'arte: intere generazioni di 'sconfitti' dovrebbero farci assaporare il retrogusto sottile di 'parteggiare per i perdenti', laddove invece i vincitori e i vincenti sono sempre stati soli e isolati nel proprio privilegio/primato.

    🙂

    In questo senso le 'rivolte sconfitte', che non si trasformano in 'rivoluzioni', hanno un fascino e una capacità retorica di gran lunga più coinvolgente.

    Non vorrei però che si pensasse ad un 3d politicamente orientato, covo di anacronistici anarcoidi che cullano il passato di un'utopia sgualcita.

    Anche perchè l'artefizio del 'ribelle che soccombe ai potenti' è veramente di vecchia data.

    Roba cristiana, per'altro.

    "Venuto da molto lontano
    a convertire bestie e gente
    non si può dire non sia servito a niente
    perché prese la terra per mano
    vestito di sabbia e di bianco
    alcuni lo dissero santo
    per altri ebbe meno virtù
    si faceva chiamare Gesù.

    Non intendo cantare la gloria
    né invocare la grazia e il perdono
    di chi penso non fu altri che un uomo
    come Dio passato alla storia
    ma inumano è pur sempre l'amore
    di chi rantola senza rancore
    perdonando con l'ultima voce
    chi lo uccide fra le braccia di una croce.

    E per quelli che l'ebbero odiato
    nel getzemani pianse l'addio
    come per chi l'adorò come Dio
    che gli disse sia sempre lodato,
    per chi gli portò in dono alla fine
    una lacrima o una treccia di spine,
    accettando ad estremo saluto
    la preghiera l'insulto e lo sputo.

    E morì come tutti si muore
    come tutti cambiando colore
    non si può dire non sia servito a molto
    perché il male dalla terra non fu tolto

    Ebbe forse un pò troppe virtù,
    ebbe un nome ed un volto: Gesù.
    Di Maria dicono fosse il figlio
    sulla croce sbiancò come un giglio. "

    E proprio perchè è domenica - da buon moderatore super-partes - invito tutti a ripassare i 10 comandamenti e a recitare un Ave Maria.

    "Non avrai altro Dio all'infuori di me,
    spesso mi ha fatto pensare:
    genti diverse venute dall'est
    dicevan che in fondo era uguale.

    Credevano a un altro diverso da te
    e non mi hanno fatto del male.
    Credevano a un altro diverso da te
    e non mi hanno fatto del male.

    Non nominare il nome di Dio,
    non nominarlo invano.
    Con un coltello piantato nel fianco
    gridai la mia pena e il suo nome:

    ma forse era stanco, forse troppo occupato,
    e non ascoltò il mio dolore.
    Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
    davvero lo nominai invano.

    Onora il padre, onora la madre
    e onora anche il loro bastone,
    bacia la mano che ruppe il tuo naso
    perché le chiedevi un boccone:

    quando a mio padre si fermò il cuore
    non ho provato dolore.
    Quanto a mio padre si fermò il cuore
    non ho provato dolore.

    Ricorda di santificare le feste.
    Facile per noi ladroni
    entrare nei templi che rigurgitan salmi
    di schiavi e dei loro padroni

    senza finire legati agli altari
    sgozzati come animali.
    Senza finire legati agli altari
    sgozzati come animali.

    Il quinto dice non devi rubare
    e forse io l'ho rispettato
    vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
    di quelli che avevan rubato:

    ma io, senza legge, rubai in nome mio,
    quegli altri nel nome di Dio.
    Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
    quegli altri nel nome di Dio.

    Non commettere atti che non siano puri
    cioè non disperdere il seme.
    Feconda una donna ogni volta che l'ami
    così sarai uomo di fede:

    Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
    e tanti ne uccide la fame.
    Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore:
    ma non ho creato dolore.

    Il settimo dice non ammazzare
    se del cielo vuoi essere degno.
    Guardatela oggi, questa legge di Dio,
    tre volte inchiodata nel legno:

    guardate la fine di quel nazzareno
    e un ladro non muore di meno.
    Guardate la fine di quel nazzareno
    e un ladro non muore di meno.

    Non dire falsa testimonianza
    e aiutali a uccidere un uomo.
    Lo sanno a memoria il diritto divino,
    e scordano sempre il perdono:

    ho spergiurato su Dio e sul mio onore
    e no, non ne provo dolore.
    Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
    e no, non ne provo dolore.

    Non desiderare la roba degli altri
    non desiderarne la sposa.
    Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
    che hanno una donna e qualcosa:

    nei letti degli altri già caldi d'amore
    non ho provato dolore.
    L'invidia di ieri non è già finita:
    stasera vi invidio la vita.

    Ma adesso che viene la sera ed il buio
    mi toglie il dolore dagli occhi
    e scivola il sole al di là delle dune
    a violentare altre notti:

    io nel vedere quest'uomo che muore,
    madre, io provo dolore.
    Nella pietà che non cede al rancore,
    madre, ho imparato l'amore"

    "E te ne vai, Maria, fra l'altra gente
    che si raccoglie intorno al tuo passare,
    siepe di sguardi che non fanno male
    nella stagione di essere madre.

    Sai che fra un'ora forse piangerai
    poi la tua mano nasconderà un sorriso:
    gioia e dolore hanno il confine incerto
    nella stagione che illumina il viso.

    Ave Maria, adesso che sei donna,
    ave alle donne come te, Maria,
    femmine un giorno per un nuovo amore
    povero o ricco, umile o Messia.

    Femmine un giorno e poi madri per sempre
    nella stagione che stagioni non sente. "

    Espletate tutte le funzioni del caso (:D), accolgo appieno l'invito festaiolo lanciato da Guter.

    Per esempio con un pezzo meno noto, scritto e interpretato da De Andrè con e per Teresa De Sio.

    *Un libero cercare *celebra dolcemente la libertà del pensiero, e persino, a ben guardare, la nobiltà dell'errore.

    "E' un libero cercare
    che ancora ci muove
    ha il ritmo costante del mare
    e ricorda un fandango.

    E' un libero cercare
    che la notte ci commuove
    e che nei mattini d'aprile
    c'insegna ancora a respirare.

    E' un libero cercare
    un amore leggero
    che non sia solo la mèta del viaggio
    ma che sia il viaggio intero.

    E' un libero remare
    in uno specchio d'acqua ferma
    tra i piccoli relitti d'ogni giorno
    senza lasciarsi affondare.

    E' un lento scivolare
    giù da colline e pendìi
    nel grande magazzino degli anni
    stando attenti a capire.

    E' un libero cercare
    una parola leggera
    che dica tutto col peso di niente
    e che ci sembri vera.

    E benvenuto sia
    ogni abbaglio del cuore,
    e benvenuto sia
    anche l'errore"


  • User Attivo

    Bellissimo post WWW 😉
    E quel pezzo con Teresa de Sio... grande!
    Comunque, hai fatto benissimo a specificare che

    Non vorrei però che si pensasse ad un 3d politicamente orientato, covo di anacronistici anarcoidi che cullano il passato di un'utopia sgualcita.Non sai quante volte dichiarando la mia passione per la musica di Faber mi sia sentito dire "Ah, alllora sei un comunista!" :arrabbiato:
    Ma per la miseria, sto parlando di musica, di poesia, quelle che sono definite arti maggiori... ARTE! Come puoi tirarmi in mezzo la politica??
    Mah, facciamo così, dedico a tutti quelli che traggono giudizi affrettati sul prossimo una bella canzoncina, in particolare l'ultima strofa:

    **LA CITTA' VECCHIA

    **

                 Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi 
    

    ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi,
    una bimba canta la canzone antica della donnaccia
    quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia.
    E se alla sua età le difetterà la competenza
    presto affinerà le capacità con l'esperienza
    dove sono andati i tempi di una volta per Giunone
    quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione.
    Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
    quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
    li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
    a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.
    Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
    per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
    ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
    porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte.
    Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
    forse quella che sola ti può dare una lezione
    quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie.
    Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.
    Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte
    ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
    quando incasserai delapiderai mezza pensione
    diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione".
    Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
    In quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori
    lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
    quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
    Se tu penserai, se giudicherai
    da buon borghese
    li condannerai a cinquemila anni più le spese
    ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
    se non sono gigli son pur sempre figli
    vittime di questo mondo.

    :ciauz:


  • User Attivo

    Oggi passeggiando per la città partenopea che mi sta ospitando da ormai diverso tempo, non ho potuto fare a meno di notare di quanto sia bello il clima primaverile-estivo, e di quanto siano belle le passanti (turiste e non) che con i loro profumi e i loro vestitini rendono più piacevole il nostro cammino.
    E De Andrè, chiaramente, ha dedicato un canzone anche a loro, adorabili creature:

    **Le Passanti
    **

    Io dedico questa canzone
    ad ogni donna pensata come amore
    in un attimo di libertà
    a quella conosciuta appena
    non c'era tempo e valeva la pena
    di perderci un secolo in più.

    A quella quasi da immaginare
    tanto di fretta l'hai vista passare
    dal balcone a un segreto più in là
    e ti piace ricordarne il sorriso
    che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
    in un vuoto di felicità.

    Alla compagna di viaggio
    i suoi occhi il più bel paesaggio
    fan sembrare più corto il cammino
    e magari sei l'unico a capirla
    e la fai scendere senza seguirla
    senza averle sfiorato la mano.

    A quelle che sono già prese
    e che vivendo delle ore deluse
    con un uomo ormai troppo cambiato
    ti hanno lasciato, inutile pazzia,
    vedere il fondo della malinconia
    di un avvenire disperato.

                     Immagini care per qualche istante 
    

    sarete presto una folla distante
    scavalcate da un ricordo più vicino
    per poco che la felicità ritorni
    è molto raro che ci si ricordi
    degli episodi del cammino.

    Ma se la vita smette di aiutarti
    è più difficile dimenticarti
    di quelle felicità intraviste
    dei baci che non si è osato dare
    delle occasioni lasciate ad aspettare
    degli occhi mai più rivisti.

    Allora nei momenti di solitudine
    quando il rimpianto diventa abitudine,
    una maniera di viversi insieme,
    si piangono le labbra assenti
    di tutte le belle passanti
    che non siamo riusciti a trattenere.
    :gthi:


  • Moderatore

    Adorabili, hai ragione.


  • User Attivo

    Bellissima la prima parte del video che hai inserito nel mio post; rende davvero l'idea.


  • User Attivo

    Rileggendo il 3D ho notato che WWW ha postato alcuni pezzi tratto dall'album "La Buona Novella". Questo è un album a mio avviso meraviglioso, ma per il quale De Andrè ricevette non poche critiche; infatti quando fu pubblicato (1970) la maggior parte dei suoi giovani ascoltatori universitari erano in altre faccende affaccendati, sugli strascichi della rivoluzione giovanile sessantottina. Gli dissero: "Ma come, non facciamo rivoluzione e tu te ne esci con un album su Gesù?"
    Non riporto in virgolette le parole dette da lui in risposta, ma dico solo che se quegli universitari avessero ascoltato meglio quel disco avrebbero capito da subito che De Andrè aveva solo raccontato la storia di quello che lui considerava uno dei più grandi rivoluzionari della storia, e al cui esempio dovrebbero forse ispirarsi più "aspiranti rivoluzionari" di ieri e di oggi.
    Su questo album ci sarebbe molto altro da dire, ma visto che si parlerebbe di vangeli apocrifi e altri argomenti profondamente religiosi, è meglio tralasciare in questo forum pubblico argomenti che potrebbero toccare "le corde" di molti.
    Quindi taccio e lascio le parole a quello che secondo me è uno dei più bei brani mai scritti da Faber.

    **IL SOGNO DI MARIA **

    "Nel Grembo umido, scuro del tempio,
    l'ombra era fredda, gonfia d'incenso;
    l'angelo scese, come ogni sera,
    ad insegnarmi una nuova preghiera:
    poi, d'improvviso, mi sciolse le mani
    e le mie braccia divennero ali,
    quando mi chiese - Conosci l'estate -
    io, per un giorno, per un momento,
    corsi a vedere il colore del vento.

    Volammo davvero sopra le case,
    oltre i cancelli, gli orti, le strade,
    poi scivolammo tra valli fiorite
    dove all'ulivo si abbraccia la vite.

    Scendemmo là, dove il giorno si perde
    a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
    e lui parlò come quando si prega,
    ed alla fine d'ogni preghiera
    contava una vertebra della mia schiena.

    (... e l' angelo disse: "Non
    temere, Maria, infatti hai
    trovato grazia presso il
    Signore e per opera Sua
    concepirai un figlio...)

                    Le ombre lunghe dei sacerdoti 
    

    costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
    Con le ali di prima pensai di scappare
    ma il braccio era nudo e non seppe volare:
    poi vidi l'angelo mutarsi in cometa
    e i volti severi divennero pietra,
    le loro braccia profili di rami,
    nei gesti immobili d'un altra vita,
    foglie le mani, spine le dita.

    Voci di strada, rumori di gente,
    mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
    Sbiadì l'immagine, stinse il colore,
    ma l'eco lontana di brevi parole
    ripeteva d'un angelo la strana preghiera
    dove forse era sogno ma sonno non era

    • Lo chiameranno figlio di Dio -
      Parole confuse nella mia mente,
      svanite in un sogno, ma impresse nel ventre."

    E la parola ormai sfinita
    si sciolse in pianto,
    ma la paura dalle labbra
    si raccolse negli occhi
    semichiusi nel gesto
    d'una quiete apparente
    che si consuma nell'attesa
    d'uno sguardo indulgente.

    E tu, piano, posati le dita
    all'orlo della sua fronte:
    i vecchi quando accarezzano
    hanno il timore di far troppo forte.


  • Moderatore

    :ciauz:

    Ad un anno dall'ultima replica recupero questa discussione fuori posto, questa parentesi anarchica che ha portato la musica tra la poesia, o probabilmente il contrario.

    Rileggerlo oggi è stato molto piacevole; colgo quindi l'occasione per salutare i partecipanti, che bacio uno ad uno per la collaborazione e per la passione che hanno dedicato al nostro caro Faber.

    Nel rileggere e riascoltare le canzoni proposte allora mi sono accorto di quanto fosse stata parziale e arbitraria la selezione; quasi dettata dalle urgenze emotive delle mie serate di un anno fa, e non sollo dalle mie chiaramente.

    🙂

    Il punto è che stavo cercando una canzone d'amore da postare.

    Ne cercavo una bella e struggente; ma ne cercavo una in inglese, però.

    Perchè spesso preferiamo abbandonarci a delle note cantate in una lingua che non è la nostra, per farci travolgere da quella dolce illusione dell'intelletto che solo la musica può realmente tradurre in moto dell'anima.

    L'amore, appunto.

    Per dare espressione sonora all'amore non sono necessarie parole, il canto e la melodia possono supplire ai contenuti.

    C'è molto più del testo, insomma; nelle parole di una bella canzone d'amore c'è anche la disposizione d'animo dell'ascoltatore, e in sintesi anche noi italiani utilizziamo - da generazioni - la cultura musicale americana come veicolo dei nostri ardori musicali.

    Poco male, anch'io son vittima di questo meccanismo.

    Capita che mentre cercavo - spaziando tra il moderno e il vecchissimo, senza star troppo a sottilizzare - mi imbatto in un pezzo che mi ha riportato improvvisamente qui.

    Si tratta della versione in inglese di una canzone di De Andrè, Geordie, già postata nella originale versione italiana, poche righe sopra.

    Cantata da Joan Baez, che era un assoluto MITO musicale ai tempi in cui Andrez non era ancora "anziano, malato e praticamente in un letto".

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  • Consiglio Direttivo

    Un giorno, tanti mesi fa, questa canzone fu la risposta alla domanda: "Qual'è la tua canzone preferita?". Deve esserlo ancora, mi sa.

    🙂

    Questo soffio melodico e vibrato è la giusta quiete di un poeta anarchico, che stavolta fa tacere la sua voce perché non occorre dire.