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    LA VALIGETTA (traduzione in italiano di un testo napoletano)

    LA VALIGETTA
    traduzione del poema napoletano
    ?A valigetta

    Se torni tu che grazia, e che gran festa,
    che bei voti ai santi ho promesso.
    Se io ti vedo ora da questa finestra
    mi tolgo dall?inferno e vado in Paradiso

    La ninna nanna mio caro bambino,
    quest?anno il capitone è un morso amaro.
    Chi spara i tracchi, chi beve il vino,
    io piango, insieme alla penna e al calamaio.

    Mentre ti scrivo tremano queste mani.
    Se tu stai in croce ed io in un letto
    con questa febbre che dura una giornata intera,
    meglio morire che non trovare pace.

    Leggiti la storia della tua partenza,
    è un poco del mio Purgatorio.
    In questa confessione ci trovi tutto,
    imparala come l?Ave Maria.

    Giornata piena di sole, e tu tremavi,
    sembravamo la Madonna e l?Ecce Homo.
    Agosto, sissignore, si chiamava
    questo bel mese poco galantuomo.

    Con la sua astuzia tutto si prese,
    son quattro mesi, e ancora va fuggendo.
    È diventato il cane che ti tien lontano abbaiando,
    quando sarà il momento gli taglio la coda.

    Che vogliono dire questi occhi sempre bagnati,
    pensa al ritorno e non pensar l?addio.
    Con te sta la valigetta chiusa
    che contiene il cuore tuo e il cuore mio.

    Prima di partire, se vuoi esser sicura,
    metti tutto avvolto: la valigetta e
    i cuori delle creature
    dentro una fascia di seta ricamata.

    Prendi la chiave e mettila nel petto,
    non ti preoccupare ché non fai brutta figura:
    A questi cuori avvolti stretti stretti,
    tu gli davi latte nel miglior fiore della giovinezza.

    Chi lascerebbe casa lasciando un marito?
    Chi prenderebbe tre figli per portarli fuori Napoli?
    ?Lontano da te sarò certamente
    malinconica, io parto e me ne muoio?.

    Vedi questa guerra quanto è infame?
    Vedi questo nero più nero del nero?
    Sembra che capisci ma non cedi ,
    sto nell?inferno, non lo credi ?

    Pazienza e paura sopra paura,
    per giorni e notti intere.
    Quest?azzurro cielo è diventato scuro,
    anche il sole adesso si è vestito a lutto.

    Non si ragiona più con il cervello,
    che sia la Chiesa, il Salvatore o un santo,
    non si rispetta niente in questo flagello,
    nemmeno i morti del camposanto.

    Malati, vecchi, donne e bambini,
    gente nobile e gente povera,
    ognuno scappa, ognuno taglia la corda.
    E noi? Tra l?incudine e il martello.

    Se camminiamo sul filo di seta?
    ecco, tienimi, ché adesso si sfascia!
    Se attraversiamo il pozzo fatto di creta?
    ecco, la sirena! Ora andiamo giù!

    Sembra che il tempo stringe, e io non mi sbrigo?
    Ti raccomando, toglimi il pensiero.
    Lontano da te, lo so, io mi trovo a disagio
    ma ti scriverò come un romanziere.

    Il tuo onomastico prima di tutto:
    all?antivigilia, cosa ti arrivò?
    Una lettera piena di confetti da sposa
    che tu leggendo assaporasti assai.

    Non piangere, anche se hai ragione,
    sono sempre lo stesso del mercato antico.
    Mi resta una forte passione
    di quella piccola loggia in capo al vico.

    Ridevi sempre, sempre tu ridevi,
    questi tuoi occhi, due ciliegie corvine bagnate.
    In mezzo a questa festa tu non lo vedevi,
    (c?era) un signorotto tra le fronde di rosa.

    Chi era? Un garofano schiavone,
    rosso di colore, come il fuoco dell?amore,
    in una testa fuori ad un balcone
    sospirava dalla bocca quasi ad ogni ora.

    Che piacere ne ebbero le rose
    che tu quel garofano tagliasti.
    Le più gelose e quelle invidiose,
    furono tutte contente quando me lo gettasti.

    Nei tuoi occhi vedevo il sole,
    che desiderio di baci mi veniva.
    Quando dormivi sotto queste viole
    ti svegliavi se tuo padre saliva su.

    Dal Paradiso sono scesi
    tre angioletti con le faccine d?argento.
    Son tre per nove, ventisette mesi:
    sembra sia stata una fatica da poco?

    Una madre per questi figli che può fare?
    Si taglia le vene e annaffia una pianta
    col suo sangue, e non la fa seccare.
    Perciò li affido a te povera santa.

    Appena arrivi nel paese
    piano piano apri la valigetta.
    Sciogli la fascia dei tre cuori racchiusi,
    e, ad una alla volta, ascolta la ricetta.

    Assuntina, l?errore non si ammette,
    sistema i cuori come ti dico io.
    È cosa semplice, non è un gran progetto,
    segui nell?ordine e capirai.

    Metti il primo, quello che porta avanti
    il nome e l?onore della casata.
    Sudore e stenti di fatiche ardenti
    che ha fatto un uomo e che si chiama ?il padre?.

    Affianco al primo mettici il secondo,
    è una bambola, questa madonnina mia.
    È una faccina di cera questa Gioconda,
    solo per lei muoio di gelosia.

    Guardala fissa nelle due stelle,
    sono dipinte da una vernice rara.
    Se chiama il padre, dalle le caramelle,
    e dille una bugia cara cara.

    Cerca di non farle avere paura,
    con gli occhi dolci lei tutto ti dice.
    Se tu ci leggi che mi chiama ancora,
    dopo la bugia mettici la cornice.

    Se non ti crede dille la verità:
    il cuore di tuo padre sta insieme al tuo,
    sta ben chiuso, e non ci può scappare.
    E la chiave? Sta sempre con noi.

    Poi viene il terzo, il cuore di Marisa,
    è un bocciuolo piccolo e bagnato,
    che quando si schiude diventa una rosa.
    Questa sfacciatella t?incarta.

    Adagiala nella bambagia,
    come facevi con il Bambino Gesù,
    come un Re Magio nella grotta.
    Il cuore suo è tutta la mia vita.

    Coprila col manto delle preghiere,
    che ti mandò la nonna da fuori.
    Non c?è bisogno che te la guardi il corazziere,
    si scampa tutto con questo calore.

    Se poi dovesse succeder qualcosa,
    la valigetta aprila solo tu.
    Questo cuore che a chiave tu hai chiuso
    non lo chiamare ché non risponde più.

    La guerra i migliori frutti sta cogliendo,
    anche la Madonna piange e ne muore.
    Oh mamma! Mi sta tremando la mano e la penna,
    Dio, povero me, povero cuore.

    Posillipo (Napoli)
    Vigilia di Natale 1943
    

    Ernesto Staffelli