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"Mensa" di Gabriella Strada
"Mensa" di Gabriella Strada
Prologo
Il cibo. Mangiare, alimentarsi. Semplice bisogno primario per molti, rito quotidiano ed essenziale all?equilibrio psichico-fisico per altri.
Nei tempi in cui il lavoro era fatica e sudore il cibo era poco e mal assortito, molto spesso addirittura fonte di danno perché incompleto e scarso di sostanza. Malattie da denutrizione o da mancanza di proteine erano segni inconfondibili di una categoria di fauna umana numerosissima in quantità di esemplari e distribuita in ugual misura in tutto il globo terrestre. Segni tipici, inequivocabili, che marchiavano a fuoco l?intera esistenza, nel corpo e nell?anima, dalla nascita alla sicuramente precoce morte.
Oggi i tempi sono cambiati. Non che la fame e la denutrizione non esista più, no, certo, ma è distribuita in modo diverso, molto meno democraticamente concentrata in alcuni luoghi, sparsi sulla superficie di questa sfera azzurro-verde così bella vista dallo spazio ma così irreparabilmente corrotta e sporca se vista da qui.
I.
Il grande locale-mensa dell?azienda dove lavoro è proprio bello. C?è la TV, il lettore DVD, il forno a microonde, e si vede un bellissimo paesaggio dalle grandi vetrate rivolte ad ovest, verso le verdi colline che danno inizio alle Prealpi. Tutto è lindo e pulito, i sedili girevoli dei tavoli sono di un bel colore blu e il clima che si crea durante il pasto è molto casalingo, accogliente, caldo. Il cibo è buono, per alcuni ottimo, per altri semplicemente ?cibo?.
Io sono un?impiegata e quindi dovrei usufruire del secondo turno, quello che va dalle 12:30 alle 13:00, ma avendo strettamente a che fare con la produzione ho chiesto di mangiare con il primo turno, con gli operai. Mi sento molto più a mio agio in mezzo a loro, fra battute sul calcio, problemi di figli, mogli, mariti, fidanzati, mutui?problemi semplici (si fa per dire), quotidiani, comuni a tutti.
Io ho il mio posticino, giusto sull?angolo, vicino alla finestra, il migliore. Me l?hanno riservato gli altri, perché, dicono, sono sempre disponibile ad aiutarli se fanno qualche casino con la marcatura dei tempi di produzione e in qualche modo metto sempre a posto tutto. Per questo merito ?il posto migliore a tavola?.
II.
Accanto a me si siede sempre Malik, un trentenne senegalese con un fisico da sballo, di quelli che ti fanno pensare che la ?razza eletta da Dio? è sicuramente la loro. E? molto simpatico. Ha una moglie e tre figli, uno appena nato qui in Italia, gli altri due in Senegal affidati alla famiglia di lei. Con la moglie e il figlioletto vivono in un appartamento, assieme ad altre tre famiglie senegalesi. E? di religione mussulmana e quindi rispetta sempre il Ramadan osservando scrupolosamente lo sawn, il digiuno. Nulla di strano, quindi, che tutto il pasto, che regolarmente ordina, venga da lui accuratamente riposto dentro a delle piccole scatole di plastica con il coperchio. Niente di strano, no, se non il fatto che il suo Ramadan non dura solo i trenta giorni del nono mese del calendario mussulmano, ma ? tutto l?anno.
Io non gli ho mai chiesto spiegazioni, come nulla gli hanno mai chiesto i colleghi di lavoro, ma qualche giorno fa la spiegazione, semplice e pura come acqua di rubinetto, me l?ha data proprio lui.
III.
Lunedì della scorsa settimana stavamo parlando del più e del meno, in mensa, seduti al calduccio, con la neve che fioccava copiosa fuori dalle finestre. Io non avevo fame e la mia fettina di dolce mi guardava triste e sconsolata, come fosse già convinta di essere da lì a breve gettata nel grosso bidone verde con la scritta ?Rifiuto umido?. Gli occhi di Malik la fissavano insistenti. Naturale chiedergli: <<La vuoi?>>. Il suo sorriso, bello e luminoso, è stata la risposta affermativa. Con calma ha preso il piattino e ne ha rovesciato il contenuto in una scatola di plastica, stando bene attento che il ricciolo di panna e la ciliegina non si rovinino. Sempre sorridendomi mi ha detto: <<Grazie, dolce signora. Alla bambina del mio amico Mohammed piacciono molto i dolci e questa sera farà festa>>. E così dicendo incomincia ad inserire tutte quelle scatoline di plastica dentro ad una borsa termica. Io lo guardo eseguire questa operazione con così garbata e meticolosa maniera. E allora Malik, con altrettanto garbo, mi dice <<Vedi, dolce signora: il cibo è una cosa sacra, e va mangiato assieme alle persone a cui si vuole bene. Io lo porto a casa tutto per mangiarlo con la mia famiglia, con i miei amici, perché il cibo è una cosa da dividere, un boccone uguale per ognuno, ridendo in allegria, parlando della nostra terra lontana. In Senegal si pensa così? ma domani, dolce signora, mangerò un po? anche con te, perché chi dona il proprio cibo è come la famiglia>>.
Da quel lunedì io e Malik, ogni giorno, mangiamo una sola fetta di dolce in due, dallo stesso piatto e l?altra viene portata a casa, per la bambina dell?amico di Malik, assieme ad un sacco di altre cose.
Sì, perché il cibo è sacro e va mangiato con rispetto, assieme alle persone a cui si vuole bene, in bocconi uguali, uno per ciascuno.
da ?Azienda ? leggende fra ufficio, produzione e magazzino? di Gabriella Strada
Strada Gabriella
E? sempre sorprendente constatare come l?uomo sappia adattarsi alle molteplici situazioni che la vita presenta e lavorare in una grande azienda aiuta a capire i meccanismi che regolano la convivenza: tutti insieme, in branco, appassionatamente.
L?autrice attualmente lavora (da una trentina d?anni!!) per una holding quotata in borsa, e, partendo dal basso, ha potuto ricoprire numerosi ruoli, collezionando spunti e materiali per una raccolta di racconti virtualmente ? infinita.