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- L'assedio delle parole straniere - Strategie di difesa dell'Italiano
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Cara Pretty, proviamo a ragionare sul tuo problema lessicale.
Innanzitutto, vediamo che cosa vuol dire "totem"; dal Dizionario della Lingua Italiana di A. Gabrielli leggo:
totem [tò-tem] (s.m. invar.) 1. In ambito etnologico, presso alcuni popoli primitivi, denota un animale, una pianta o un fenomeno naturale dal quale la tribù, il clan o il gruppo sociale si considera discendente, e con il quale determina un rapporto di parentela e di tutela. 2. In senso figurato, oggetto di superstizione al quale si attribuisce un culto reverenziale. Dal francese totem, a sua volta dall'algonchino (o)toten(am), 'segno della stirpe', 'segno del clan'.
Ora, sarebbe da capire meglio a cosa si riferisca l'espressione "totem multimediale", perché essa potrebbe essere tradotta con sinonimi letterali quali feticcio, simulacro, icona, simbolo, archetipo, oppure con sinonimi più traslati quali autorità, idolo, segno etc.
Puoi darci qualche indizio in più?
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Non si tratta propriamente di un totem, col suo sognificato intrinseco, ma probabilmente gli è stato dato questo nome per la forma che ha. E' un oggetto simile a questo
e serve per dare alle persone delle informazioni. A volte è dotato di tecnologia touch screen (scusa l'inglese e non saprei come dirlo:D) o di "coso" per la lettura dei codici a barre...E' più chiaro Leo'?
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Sì, Pretty, grazie.
Allora: credo che la locuzione "totem multimediale" sia esattamente la definizione tecnica dell'oggetto, ma l'Italiano è grande e le espressioni per designarlo non mancano.
Nella mia Università, ad esempio, abbiamo questo tipo di colonne e le chiamiamo genericamente "chiosco informatico" o "colonna informatica" o "terminale informatico".
La prima espressione credo sia la migliore (la terza può apparire troppo generica, la seconda poco precisa).
Che ne dici? Nel frattempo, ci penso sù un altro po'.
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Grazie mille Leo'! Chiosco informatico però ricorda un'altra cosa...ho paura che la prof non capisca...:bho: Proverò a inserirla...se ti viene in mente altro fai un fischio
Grazie ancora!
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Prego, Pretty, è un piacere.
Per precauzione ho fatto un giro sui motori di ricerca: le aziende produttrici di totem multimediali usano indifferentemente l'espressione "chiosco", con riferimento alle medesime funzioni e al tipo di oggetto commercializzato.
In ogni caso, basta aggiungere un aggettivo in più o qualche circonlocuzione: ad esempio, il "totem multimediale" può agevolmente diventare un "chiosco automatizzato per erogazione di servizi informatici".
Una buona idea, onde evitare fraintendimenti, potrebbe essere quella di aggiungere una nota a margine la prima volta che si introduce il termine "chiosco"; qualcosa come "indicheremo nel seguito con l'espressione 'chiosco informatico' una colonna fissa con scocca metallica o plastica dotata di schermo tattile o tastiera, facente funzione di totem automatizzato per l'erogazione di servizi e informazioni".
Abbiamo davvero un grande idioma...
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Un abbraccio vero ti meriteresti Leo', altro che! Per ora te ne offro uno virtuale (non c'è l'emoticon dell'abbraccio).
Grazie ancora mi sei stato proprio di grandissimo aiuto!
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Bellissima questa discussione:)
E quanto concordo con te Leonov per questa invasione di parole straniere nel nostro lessico.Una che mi ha fatto infuriare non poco la si utilizzava quasi giornalmente nell'ambito del mio lavoro; sino a qualche tempo fa lavoravo nel settore del recupero crediti telefonico e quando ci si doveva riunire per aggiornamenti e varie amenità la responsabile del gruppo, quasi si gongolasse nel dirla esordiva con "ragazzi tutti nella sala per il briefing".
Ma una volta non si diceva "riunione"? Oppure "assemblea" ma fa tanto condominiale:?
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@Kyra_00 said:
...Quando ci si doveva riunire per aggiornamenti e varie amenità la responsabile del gruppo, quasi si gongolasse nel dirla esordiva con "ragazzi tutti nella sala per il briefing".
Ma una volta non si diceva "riunione"? Oppure "assemblea"?
Sì, Kyra_00, si diceva così e si diceva bene, anzi molto meglio dell'Inglese; il fatto merita una piccola spiegazione.
Nella lingua che ha coniato il termine, "briefing" è un sostantivo che significa informativa o che denota l'impartire istruzioni. A stretto rigore, dunque, un "briefing" è un momento in cui il capo chiama a raccolta attorno a sé alcuni collaboratori per assegnare compiti, dare spiegazioni o informare.
La comunicazione è unidirezionale, nel senso che i sottoposti non hanno facoltà di rispondere, opporsi o discutere (quello lo si fa in un meeting, al massimo); essi devono solo recepire gli ordini ed eseguirli.
La parola ha dunque una sfumatura tipicamente militare - credo sia nata proprio in questo settore come voce gergale, quando gli ufficiali riunivano la truppa (o i generali chiamavano gli ufficiali) per brevi comunicazioni concernenti ordini e dispacci arrivati dai piani alti poco prima di un'operazione sul campo.
Diverso è il caso della riunione (o assemblea, dibattito, incontro, convegno etc.), quando cioè le persone discutono e, fermo restando il rispetto dei ruoli e l'osservanza della catena gerarchica, possono interagire opponendosi ai dirigenti, controbattendo e protestando o anche semplicemente manifestando apertamente la propria opinione senza paura di essere puniti.
Non conosco le tue precedenti condizioni di lavoro: mi auguro per te che tu fossi chiamato a dei meeting, non a dei briefing in stile "Full Metal Jacket"...
Alla prossima.
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Anche Vittorio Zucconi è dalla nostra parte...difendiamo l'italiano!!! Ecco il collegamento . Visto che la nostra è una lingua ricchissima sappiamo bene che esistono molti termini per esprimere i concetti stranieri...ma se, nonostante ciò, vogliamo proprio scrivere qualcosa di non italiano, almeno facciamolo correttamente!
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Proprio ora sto masticando un bel chewing-gum (gomma da masticare) mentre rifletto se bermi una coke (dalle mia parti per indicare una coca-cola si usa il corrispondente americano).
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La discussione su come tradurre "single" è interessante..
nessuno sviluppo?
Ho anche un altro termine difficile da tradurre.. "self service"
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Ciao MarcoMarco.
Lieti di averti interessato con la nostra piccola divagazione lessicale sui singoli, i fidanzati e i "sentimentalmente dis-impegnati".
A quel che posso ricordare, non abbiamo fatto molti progressi dal tempo dei "single" (e la parola resta un assillo per noi che proviamo a tradurre un po' tutto in Italiano, senza arrenderci acriticamente all'invasione delle parole straniere quando esse cercano di dire cose per le quali abbiamo già i termini adatti).
Ci penserò sopra di nuovo, ad ogni modo.
Il caso di "self service" è pure molto interessante; vediamo come trattarlo.
Una soluzione semplice, ai limiti dello sbrigativo, potrebbe essere quella di tradurre letteralmente la locuzione: ne risulterebbe un traslato tanto preciso quanto inconsueto per le nostre orecchie: autoservizio.
[Superfluo dirlo, ma meglio precisarlo subito: in questo caso "auto" non ha il valore esteso di "veicolo a motore" (in quel significato è solo l'abbreviazione di "automobile" o "autovettura" o "autoveicolo"), ma richiama il greco antico "autòs" con appunto valore riflessivo; dunque si otterrebbe qualcosa che significa "servizio erogato dalla medesima persona che ne fa richiesta".]
Sulle insegne delle colonnine preposte alla distribuzione dei carburanti, quindi, potremmo trovare cartelli con la scritta "autoservizio", in luogo dell'anglofilo "self service".
Una scelta del genere, però, non esaurirebbe appieno il ventaglio di sfumature semantiche di "self service".
In tale espressione infatti rientrano non solo operazioni che un utente svolge senza più bisogno della mediazione di una qualche autorità originariamente preposta (benzinaio che fa il pieno al serbatoio, ufficiale del Comune che rilascia certificato, vivandiere che serve al bancone le bevande, tanto per fare qualche esempio), ma anche più banalmente cose che il medesimo utente potrebbe fin dall'inizio fare da sé e che solo per comodità affida ad altri.
Ad esempio, in un grande mobilificio normalmente il cliente sceglie i pezzi di arredamento e compila un ordine, ritirando la merce alla fine del percorso dopo aver pagato e dietro presentazione della bolletta.
Se però il cliente può ritirare la merce da solo, allora a volte si parla di "acquisto self service", senza la presenza di un magazziniere che a dirla tutta è intrinsecamente superfluo, dal momento che chi compra può benissimo ritirare i pezzi scelti dagli scaffali e presentarsi alla cassa per saldare il conto con il carrello già pieno.
In un caso come quello citato, "autoservizio" non è la scelta migliore; sarebbe invece preferibile un'altra locuzione, ben nota agli Italiani che ne hanno fatto uso larghissimo per decenni: fai-da-te (all'infinito, far-da-sé).
I "mobili fai-da-te" sono allora tutti e soli quelli che il cliente ritira da solo e monta da solo a casa, senza bisogno di un'assistenza non necessaria da parte del rivenditore.
Il "ristoro fai-da-te" è quello in cui ciascuno sceglie cosa mangiare dagli espositori, mette su un vassoio e paga a fine percorso.
Il "prestito librario fai-da-te" in una biblioteca è quello in cui ciascun utente sceglie il titolo cercato da scaffali a vista, compila la scheda di prestito e ritira il volume dopo averne sbloccato il sistema di sicurezza, senza bisogno di ricorrere all'intermediazione di un bibliotecario specializzato - una cosa del genere accade già, di norma quasi sempre in piccole realtà bibliotecarie in cui le collezioni modeste non abbisognano di controllo costante e l'utenza è responsabilizzata attraverso gli inviti a scegliere e riporre da sé i tomi.
Spero di esserti stato utile.
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