• Moderatore

    Dante recitato - La Divina Commedia

    Di 3d sulla Divina Commedia se ne potrebbero aprire uno al giorno per l'eternità.....

    Qui posto - oltre al testo corrispondente - i video di alcuni grandi attori che si sono cimentati con la creatura di Dante Alighieri - in ordine sparso e con l'invito, rivolto a tutti, ad allargare la selezione liberamente e con la massima disinvoltura e spregiudicatezza...

    Per iniziare egregiamente avevo pensato a Carmelo Bene...

    "Considerate la vostra semenza:
    fatti non foste a viver come bruti,
    ma per seguir virtute e canoscenza".

    Li miei compagni fec' io sì aguti,
    con questa orazion picciola, al cammino,
    che a pena poscia li avrei ritenuti;

    e volta nostra poppa nel mattino,
    de' remi facemmo ali al folle volo,
    sempre acquistando dal lato mancino.

    Tutte le stelle già de l'altro polo
    vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
    che non surgëa fuor del marin suolo.

    Cinque volte racceso e tante casso
    lo lume era di sotto da la luna,
    poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

    quando n'apparve una montagna, bruna
    per la distanza, e parvemi alta tanto
    quanto veduta non avëa alcuna.

    Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
    ché de la nova terra un turbo nacque
    e percosse del legno il primo canto.

    Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
    a la quarta levar la poppa in suso
    e la prora ire in giù, com' altrui piacque,

    infin che 'l mar fu sovra noi richiuso."

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  • Moderatore

    Il primo canto dell'Inferno...

    "Nel mezzo del cammin di nostra vita
    mi ritrovai per una selva oscura,
    ché la diritta via era smarrita.

    Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
    esta selva selvaggia e aspra e forte
    che nel pensier rinova la paura!

    Tant'è amara che poco è più morte;
    ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
    dirò de l'altre cose ch'i' v' ho scorte.

    Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
    tant'era pien di sonno a quel punto
    che la verace via abbandonai.

    Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
    là dove terminava quella valle
    che m'avea di paura il cor compunto,

    guardai in alto e vidi le sue spalle
    vestite già de' raggi del pianeta
    che mena dritto altrui per ogne calle.

    Allor fu la paura un poco queta,
    che nel lago del cor m'era durata
    la notte ch'i' passai con tanta pieta.

    E come quei che con lena affannata,
    uscito fuor del pelago a la riva,
    si volge a l'acqua perigliosa e guata,

    così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
    si volse a retro a rimirar lo passo
    che non lasciò già mai persona viva.

    Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
    ripresi via per la piaggia diserta,
    sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.

    Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
    una lonza leggera e presta molto,
    che di pel macolato era coverta;

    e non mi si partia dinanzi al volto,
    anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
    ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.

    Temp'era dal principio del mattino,
    e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
    ch'eran con lui quando l'amor divino

    mosse di prima quelle cose belle;
    sì ch'a bene sperar m'era cagione
    di quella fiera a la gaetta pelle

    l'ora del tempo e la dolce stagione;
    ma non sì che paura non mi desse
    la vista che m'apparve d'un leone.

    Questi parea che contra me venisse
    con la test'alta e con rabbiosa fame,
    sì che parea che l'aere ne tremesse.

    Ed una lupa, che di tutte brame
    sembiava carca ne la sua magrezza,
    e molte genti fé già viver grame,

    questa mi porse tanto di gravezza
    con la paura ch'uscia di sua vista,
    ch'io perdei la speranza de l'altezza.

    E qual è quei che volontieri acquista,
    e giugne 'l tempo che perder lo face,
    che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

    tal mi fece la bestia sanza pace,
    che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
    mi ripigneva là dove 'l sol tace.

    Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
    dinanzi a li occhi mi si fu offerto
    chi per lungo silenzio parea fioco.

    Quando vidi costui nel gran diserto,
    "Miserere di me", gridai a lui,
    "qual che tu sii, od ombra od omo certo!".

    Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
    e li parenti miei furon lombardi,
    mantoani per patrïa ambedui.

    Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
    e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
    nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

    Poeta fui, e cantai di quel giusto
    figliuol d'Anchise che venne di Troia,
    poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.

    Ma tu perché ritorni a tanta noia?
    perché non sali il dilettoso monte
    ch'è principio e cagion di tutta gioia?".

    "Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
    che spandi di parlar sì largo fiume?",
    rispuos'io lui con vergognosa fronte.

    "O de li altri poeti onore e lume,
    vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
    che m' ha fatto cercar lo tuo volume.

    Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
    tu se' solo colui da cu' io tolsi
    lo bello stilo che m' ha fatto onore.

    Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
    aiutami da lei, famoso saggio,
    ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi".

    "A te convien tenere altro vïaggio",
    rispuose, poi che lagrimar mi vide,
    "se vuo' campar d'esto loco selvaggio;

    ché questa bestia, per la qual tu gride,
    non lascia altrui passar per la sua via,
    ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;

    e ha natura sì malvagia e ria,
    che mai non empie la bramosa voglia,
    e dopo 'l pasto ha più fame che pria.

    Molti son li animali a cui s'ammoglia,
    e più saranno ancora, infin che 'l veltro
    verrà, che la farà morir con doglia.

    Questi non ciberà terra né peltro,
    ma sapïenza, amore e virtute,
    e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

    Di quella umile Italia fia salute
    per cui morì la vergine Cammilla,
    Eurialo e Turno e Niso di ferute.

    Questi la caccerà per ogne villa,
    fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
    là onde 'nvidia prima dipartilla.

    Ond'io per lo tuo me' penso e discerno
    che tu mi segui, e io sarò tua guida,
    e trarrotti di qui per loco etterno;

    ove udirai le disperate strida,
    vedrai li antichi spiriti dolenti,
    ch'a la seconda morte ciascun grida;

    e vederai color che son contenti
    nel foco, perché speran di venire
    quando che sia a le beate genti.

    A le quai poi se tu vorrai salire,
    anima fia a ciò più di me degna:
    con lei ti lascerò nel mio partire;

    ché quello imperador che là sù regna,
    perch'i' fu' ribellante a la sua legge,
    non vuol che 'n sua città per me si vegna.

    In tutte parti impera e quivi regge;
    quivi è la sua città e l'alto seggio:
    oh felice colui cu' ivi elegge!".

    E io a lui: "Poeta, io ti richeggio
    per quello Dio che tu non conoscesti,
    acciò ch'io fugga questo male e peggio,

    che tu mi meni là dov'or dicesti,
    sì ch'io veggia la porta di san Pietro
    e color cui tu fai cotanto mesti".

    Allor si mosse, e io li tenni dietro."


  • User Attivo

    "Considerate la vostra semenza:
    fatti non foste a viver come bruti,
    ma per seguir virtute e canoscenza".Io su questi versi ho basato il mio modo di vedere la vita:)
    A quando il V canto dell'Inferno?:)


  • Moderatore

    🙂

    Vittorio Gassman va bene?

    Ho anche Benigni volendo, ma solo perchè è il quinto canto... non vi ci abituate a quest'abbondanza...

    "Così discesi del cerchio primaio
    giù nel secondo, che men loco cinghia
    e tanto più dolor, che punge a guaio.

    Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
    essamina le colpe ne l'intrata;
    giudica e manda secondo ch'avvinghia.

    Dico che quando l'anima mal nata
    li vien dinanzi, tutta si confessa;
    e quel conoscitor de le peccata

    vede qual loco d'inferno è da essa;
    cignesi con la coda tante volte
    quantunque gradi vuol che giù sia messa.

    Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
    vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
    dicono e odono e poi son giù volte.

    "O tu che vieni al doloroso ospizio",
    disse Minòs a me quando mi vide,
    lasciando l'atto di cotanto offizio,

    "guarda com'entri e di cui tu ti fide;
    non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!".
    E 'l duca mio a lui: "Perché pur gride?

    Non impedir lo suo fatale andare:
    vuolsi così colà dove si puote
    ciò che si vuole, e più non dimandare".

    Or incomincian le dolenti note
    a farmisi sentire; or son venuto
    là dove molto pianto mi percuote.

    Io venni in loco d'ogne luce muto,
    che mugghia come fa mar per tempesta,
    se da contrari venti è combattuto.

    La bufera infernal, che mai non resta,
    mena li spirti con la sua rapina;
    voltando e percotendo li molesta.

    Quando giungon davanti a la ruina,
    quivi le strida, il compianto, il lamento;
    bestemmian quivi la virtù divina.

    Intesi ch'a così fatto tormento
    enno dannati i peccator carnali,
    che la ragion sommettono al talento.

    E come li stornei ne portan l'ali
    nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
    così quel fiato li spiriti mali

    di qua, di là, di giù, di sù li mena;
    nulla speranza li conforta mai,
    non che di posa, ma di minor pena.

    E come i gru van cantando lor lai,
    faccendo in aere di sé lunga riga,
    così vid'io venir, traendo guai,

    ombre portate da la detta briga;
    per ch'i' dissi: "Maestro, chi son quelle
    genti che l'aura nera sì gastiga?".

    "La prima di color di cui novelle
    tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
    "fu imperadrice di molte favelle.

    A vizio di lussuria fu sì rotta,
    che libito fé licito in sua legge,
    per tòrre il biasmo in che era condotta.

    Ell'è Semiramìs, di cui si legge
    che succedette a Nino e fu sua sposa:
    tenne la terra che 'l Soldan corregge.

    L'altra è colei che s'ancise amorosa,
    e ruppe fede al cener di Sicheo;
    poi è Cleopatràs lussurïosa.

    Elena vedi, per cui tanto reo
    tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
    che con amore al fine combatteo.

    Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
    ombre mostrommi e nominommi a dito,
    ch'amor di nostra vita dipartille.

    Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
    nomar le donne antiche e ' cavalieri,
    pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

    I' cominciai: "Poeta, volontieri
    parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
    e paion sì al vento esser leggeri".

    Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
    più presso a noi; e tu allor li priega
    per quello amor che i mena, ed ei verranno".

    Sì tosto come il vento a noi li piega,
    mossi la voce: "O anime affannate,
    venite a noi parlar, s'altri nol niega!".

    Quali colombe dal disio chiamate
    con l'ali alzate e ferme al dolce nido
    vegnon per l'aere, dal voler portate;

    cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
    a noi venendo per l'aere maligno,
    sì forte fu l'affettüoso grido.

    "O animal grazïoso e benigno
    che visitando vai per l'aere perso
    noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

    se fosse amico il re de l'universo,
    noi pregheremmo lui de la tua pace,
    poi c' hai pietà del nostro mal perverso.

    Di quel che udire e che parlar vi piace,
    noi udiremo e parleremo a voi,
    mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

    Siede la terra dove nata fui
    su la marina dove 'l Po discende
    per aver pace co' seguaci sui.

    Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
    prese costui de la bella persona
    che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

    Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
    mi prese del costui piacer sì forte,
    che, come vedi, ancor non m'abbandona.

    Amor condusse noi ad una morte.
    Caina attende chi a vita ci spense".
    Queste parole da lor ci fuor porte.

    Quand'io intesi quell'anime offense,
    china' il viso, e tanto il tenni basso,
    fin che 'l poeta mi disse: "Che pense?".

    Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
    quanti dolci pensier, quanto disio
    menò costoro al doloroso passo!".

    Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
    e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
    a lagrimar mi fanno tristo e pio.

    Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
    a che e come concedette amore
    che conosceste i dubbiosi disiri?".

    E quella a me: "Nessun maggior dolore
    che ricordarsi del tempo felice
    ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

    Ma s'a conoscer la prima radice
    del nostro amor tu hai cotanto affetto,
    dirò come colui che piange e dice.

    Noi leggiavamo un giorno per diletto
    di Lancialotto come amor lo strinse;
    soli eravamo e sanza alcun sospetto.

    Per più fïate li occhi ci sospinse
    quella lettura, e scolorocci il viso;
    ma solo un punto fu quel che ci vinse.

    Quando leggemmo il disïato riso
    esser basciato da cotanto amante,
    questi, che mai da me non fia diviso,

    la bocca mi basciò tutto tremante.
    Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
    quel giorno più non vi leggemmo avante".

    Mentre che l'uno spirto questo disse,
    l'altro piangëa; sì che di pietade
    io venni men così com'io morisse.

    E caddi come corpo morto cade."


  • Moderatore

    [LEFT]Certo che il tuo invocare il canto V.....[/LEFT]

    :giggle:

    .... per esse così bella,
    la lussuria,
    doveva per forza essere un peccato.

    Ora. Non avrei mai voluto fare la parafrasi, che sono un villico e un lettore [e un moderatore] blasfemo.

    Però, però... c'è qui quel pezzo su Paolo e Francesca e quella frase tanto nota e ignota insieme...

    "Amor, ch'a nullo amato amar perdona".....

    Che significa?

    Sono andato a rileggermi il canto con gli occhi del lettore di fumetti, tentando di tradurla in un itagliese capace di esser chiaro e comprensibile perfino per me.

    Per arrivare a capire quella frase.

    Quivi tento la parafrasi rapida della parte finale del canto, preceduta dal riassunto doveroso della parte iniziale.

    [CENTER]Warning:
    [:lol:]
    Nessun professore di letteratura è stato ucciso o maltrattato per scrivere questo post... [/CENTER]
    [LEFT]--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[/LEFT]

    [LEFT]Allora.
    Che succede in questo V canto?
    Virgilio e Dante scendono nel secondo cerchio dell'inferno, quello dei lussuriosi appunto, e trovano Minosse che fa la guardia.
    Questo si oppone al loro passaggio, ma Virgilio lo zittisce in una frase.
    "Zitto, lo vuole Iddio".[/LEFT]

    [LEFT]Non impedir lo suo fatale andare:
    vuolsi così colà dove si puote
    ciò che si vuole, e più non dimandare. [/LEFT]

    [LEFT]Una volta entrati scorgono una serie di figure di dannati.[/LEFT]

    [LEFT]Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena di Troia.... ma anche Paride, Tristano e Achille.[/LEFT]

    [LEFT]OK. Dante vede in lontananza Paolo e Francesca. Chiede permesso a Virgilio e quindi lì chiama, per parlarci.[/LEFT]

    [LEFT]I due dannati si presentano a Dante.[/LEFT]

    [LEFT]O animal grazïoso e benigno
    che visitando vai per l'aere perso
    noi che tignemmo il mondo di sanguigno, [/LEFT]

    [LEFT]se fosse amico il re de l'universo,
    noi pregheremmo lui de la tua pace,
    poi c' hai pietà del nostro mal perverso. [/LEFT]

    [LEFT]Francesca riepiloga rapidamente il motivo della loro dannazione. Tenete conto che lei era una donna sposata. Non con Paolo, però. ;)[/LEFT]

    [LEFT]E che dice?[/LEFT]

    [LEFT]Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
    prese costui de la bella persona
    che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. [/LEFT]

    [LEFT]Dice che Paolo s'era assolutamente innamorato di lei, e del corpo mortale che aveva. Passione, dunque. E anche "pratica", visto che il "modo" ancor l'offende. :sbav:[/LEFT]

    [LEFT]E da parte sua...[/LEFT]

    [LEFT]Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
    mi prese del costui piacer sì forte,
    che, come vedi, ancor non m'abbandona. [/LEFT]

    [LEFT]La famosa frase. Ci sono varie interpretazioni, qui.[/LEFT]

    [LEFT]La vulgata dice in sostanza che lei ricambiò l'amore di Paolo perchè "è impossibile per l'amato non ricambiare", soprattutto nel caso di "un piacer sì forte".
    :D[/LEFT]

    [LEFT]Quindi viene letta senza troppi doppi sensi, ch'a nullo amato amar perdona, nessuna persona che viene amata può resistere alla tentazione di riamare.[/LEFT]

    [LEFT]Un'interpretazione più sofisticata invece ci legge un'allusione di Francesca al fatto di essere sposata. E vede riflessa nel passaggio dantesco l'interminabile battaglia tra morale e passione, con tutte le sue tinte tragiche (e infatti i due furono scoperti e uccisi, e ora sono all'inferno, mica a Gardaland).[/LEFT]

    [LEFT]"L'amore, che non mi era concesso amare in quanto già sposata, mi prese per costui, e con piacere, e ancora mi dura."[/LEFT]

    [LEFT]Quelli che propendono per questa interpretazione lo fanno anche per giustificare la reazione di Dante (lui che con Beatrice aveva anche i suoi problemini in materia...).
    Che fa? Beh, si ammutolisce, prova pena per i due.
    Si immedesima, probabilmente.
    E dopo un po' infatti chiede a Francesca come effettivamente sia iniziato il loro amore clandestino.[/LEFT]

    [LEFT]Leggevano candidamente la fiaba dell'amore tra Lancillotto e Ginevra.[/LEFT]

    🙂

    [LEFT]Noi leggiavamo un giorno per diletto
    di Lancialotto come amor lo strinse;
    soli eravamo e sanza alcun sospetto. [/LEFT]

    [LEFT]Per più fïate li occhi ci sospinse
    quella lettura, e scolorocci il viso;
    ma solo un punto fu quel che ci vinse. [/LEFT]

    Beh, insomma... leggevano tranquilli, ma appassionati.
    Fino a che lettura non ispirò i lettori.

    Quando leggemmo il disïato riso
    esser basciato da cotanto amante,
    questi, che mai da me non fia diviso,

    la bocca mi basciò tutto tremante.
    Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
    quel giorno più non vi leggemmo avante".

    Tutto bene fino a che - per il gusto di imitar le gesta della fiaba cavalleresca su Lancillotto e Ginevra - Paolo non prova a baciar Francesca.

    Tenerissima immagine.
    Un bacio sublime e "tremante".

    Ma c'è da essere terrestri, che questi due stanno pur sempre tra i lussuriosi.
    Dopo il primo bacio il libro non l'hanno mica più riaperto, Paolo e Francesca.
    😉
    Dante non lo dice, anzi il canto si chiude subito, con la solita uscita di scena spettacolare e mistica.
    Colto dalla pietà Dante sviene; "caddi come corpo morto cade".


    Badate bene che in tutto il canto questa che finisce sul galeotto libro chiuso è la frase che più "allude" ad una qualche manovra sessuale.
    :mmm:

    Considerando che siamo tra i lussuriosi, e che Dante non si risparmia certo vocaboli più espliciti altrove.

    E allora come giustificare questo candore con cui Dante avvolge la storia di Paolo e Francesca? Come si spiega questa scelta di parlarci di un libro galeotto ( che non a caso parla di un amore clandestino, che pure Ginevra aveva il suo Artù..) eppur tacere particolari e dettagli che pure ci saremo attesi da un tal girone infernale?

    Perchè accennare la scena di un bacio e tacere volutamente il seguito?

    Perchè non c'è afrodisiaco più potente della fantasia, secondo me.

    🙂

    La fantasia di Paolo e Francesca, che si immedesimano in Lancillotto e Ginevra e danno vita ad una "storia d'amore" ancora più famosa e maledetta (e soave e grandiosa).

    La nostra di lettori, che immaginiamo, leggendo il V canto, 'sti Paolo e Francesca che fanno cose "tanto" XXX da meritarsi l'inferno.

    🙂

    Quello che era eccitante per Dante all'epoca, magari non lo sarebbe stato per noi adesso.
    Invece se l'artefizio letterario (e i sonetti del "nostro" sono opera d'arte non a caso) scatena le molle della fantasia..... ecco che hai espresso tutta la lussuria della storia, tutta quella che è possibile pensare.

    E senza dire "fica" nemmeno una volta, :).


  • User Attivo

    [LEFT]E che dice?[/LEFT]

    [LEFT]Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
    prese costui de la bella persona
    che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. [/LEFT]

    [LEFT]Dice che Paolo s'era assolutamente innamorato di lei, e del corpo mortale che aveva. Passione, dunque. E anche "pratica", visto che il "modo" ancor l'offende. :sbav:[/LEFT]

    Io ho sempre pensato che la frase " e 'l modo ancor m'offende." sia dovuto all'inganno subito da Francesca quando Paolo ando' per conto del fratello a chiedere la mano della fanciulla facendogli credere che lo sposo era paolo e non il fratello.

    Ma c'è da essere terrestri, che questi due stanno pur sempre tra i lussuriosi.
    Dopo il primo bacio il libro non l'hanno mica più riaperto, Paolo e Francesca.
    😉
    :bigsmile: qui non ci piove...
    Badate bene che in tutto il canto questa che finisce sul galeotto libro chiuso è la frase che più "allude" ad una qualche manovra sessuale.
    :mmm:

    Considerando che siamo tra i lussuriosi, e che Dante non si risparmia certo vocaboli più espliciti altrove.
    e si basta leggere qualche riga prima e le allusioni sono molto piu' marcate:
    A vizio di lussuria fu sì rotta,
    che libito fé licito in sua legge,
    per tòrre il biasmo in che era condotta.

    E allora come giustificare questo candore con cui Dante avvolge la storia di Paolo e Francesca? Come si spiega questa scelta di parlarci di un libro galeotto ( che non a caso parla di un amore clandestino, che pure Ginevra aveva il suo Artù..) eppur tacere particolari e dettagli che pure ci saremo attesi da un tal girone infernale?

    Perchè accennare la scena di un bacio e tacere volutamente il seguito?

    Dante tantissime volte nella sua Commedia lascia il lettore in sospeso lasciandogli compito di immaginare il proseguo, vuole che la parola fine la metta il lettore basandosi sulla propria immaginazione, ha funzionato benissimo 800 anni e ancora a discutere di cosa ha scritto e di cosa non ha scritto:)


  • Moderatore

    @Angelbit88 said:

    Io ho sempre pensato che la frase " e 'l modo ancor m'offende." sia dovuto all'inganno subito da Francesca quando Paolo ando' per conto del fratello a chiedere la mano della fanciulla facendogli credere che lo sposo era paolo e non il fratello.

    😄

    E c'hai ragione tu.

    Ma infatti io sono un moderatore abusivo [e spesso molesto, da quel che mi si dice...].

    Ma sono stati spesso fin troppo pettegoli, i vari esegeti di Dante.

    A braccio e in facilità [e ignoranza] avevo omesso l'allusione, inventandone una al volo.

    In barba agli 800 anni di studio e ricerca che nel frattempo si è fatto su quel testo.

    😄

    Poi non andare a dire in giro che non ne vengono fuori di nuove su GT....

    [:eheh:]


  • User Attivo

    😄

    E c'hai ragione tu.

    Ma infatti io sono un moderatore abusivo [e spesso molesto, da quel che mi si dice...].

    Ma sono stati spesso fin troppo pettegoli, i vari esegeti di Dante.

    A braccio e in facilità [e ignoranza] avevo omesso l'allusione, inventandone una al volo.

    In barba agli 800 anni di studio e ricerca che nel frattempo si è fatto su quel testo.

    😄

    Poi non andare a dire in giro che non ne vengono fuori di nuove su GT....
    :fumato:
    PS:anche se molte volte nei versi di Dante si puo' scovare un significato multiplo (o almeno dicono cosi' gli studiosi che non hanno saputo in questi 800 anni spiegare in modo coinciso tutti i versi del Sommo Poeta:D).