• User

    Lontani i tempi di Roma città aperta, eh?


  • Super User

    Forse si, ... ma casomai possiamo parlarne in Area Società Civile 😉

    Questa è l'Area Poesia e, che si condivida o meno ciò che il bravissimo Malatesta scrive, ha tutti i nostri complimenti per come lo scrive 🙂


  • User

    Pardon.

    Tra l'altro scrivere in dialetto è anche cosa che ritengo degna di grande stima.


  • User

    Grazie mille per i Vostri complimenti. Scrivere in versi dialettali è,a mio avviso il più grande amore che una persona possa dimostrare per il posto in cui vive come,ad esempio se si vuol fare una poesia sulla nostra amata nazione bisognerebbe scriverla in StilNovo poiché è il principio della nostra lingua,oppure in latino che è la madre dell'italiano. Il dialettale è difficile poichè si deve conoscere bene la forma di scrittura dell'idioma della città in cui si è nati. A Roma,ad esempio ora come ora si parla il romano,o il romanaccio invece il VERO dialetto di Roma (riportato nelle mie poesie) è chiamato Romanesco. E' una lingua volgare ma tramandata nei secoli e che ora,ahimè si è persa.
    Dobbiamo preservare i puri dialetti delle nostre meravigliose città e paesi.

    Grazie di tutto


  • User

    Mi stai dando del Voi? O_o
    Bon, mi adeguo, ma più del Lei non mi capita di dare se non al Magnifico Rettore. La prego di non offendersi.
    Non capisco perchè lei dica che si debba scrivere in Stilnovo (che poi scrivere in Stilnovo non vuol dire nulla. Lo stilnovo è un genere, una corrente letteraria non una lingua. Al massimo si puo dire scrivere in fiorentino tardo medievale) o addirittura in latino per dimostrare amore per l'Italia, Italia che quando c'erano il latino e il fiorentino medievale non esisteva neanche. La lingua dell'Italia è l'italiano che sta nelle nostre bocche e sui giornali, nei libri, nelle conferenze, al bar, a teatro, nelle università, al cinema e sui cartoni del latte: è tra l'altro uno splendida lingua (come lo sono tutte, in fondo), funzionale e ricca.

    Questo non toglie che si possa anche scrivere in latino o in fiorentino medievale, come anche in spagnolo, aramaico, sanscrito, greco moderno o antico o protogermanico. Che però i nostri pensieri siano in italiano e che la lingua in cui esprimiamo con più naturalezza sia proprio questa non credo ci siano dubbi. E non vedo neanche perchè l'Italia dovrebbe sentirsi poco amata.


  • Super User

    Forse Malatesta usava la seconda persona plurale perchè rispondeva sia a me che a te 🙂

    Probabilmente poi, Malatesta ritiene opportuno l'uso del Dolce Stil Novo per trattare delle nostre amate terre in quanto esso Stil Novo, sviluppato fin dal tredicesimo secolo, influenza aree della poesia italiana fino al Petrarca divenendo un riferimento dell'espressione raffinata e nobile dei pensieri, distaccandosi in questo dalla lingua volgare, e portando la letteratura italiana verso un ideale aulico e ricercato.

    Tutto questo forse meglio si adatta secondo Malatesta a descrivere l'amore per la propria terra.

    Ma ora sentiamo come la vede lui 😉


  • User

    @Andrez said:

    Forse Malatesta usava la seconda persona plurale perchè rispondeva sia a me che a te 🙂

    Probabilmente poi, Malatesta ritiene opportuno l'uso del Dolce Stil Novo per trattare delle nostre amate terre in quanto esso Stil Novo, sviluppato fin dal tredicesimo secolo, influenza aree della poesia italiana fino al Petrarca divenendo un riferimento dell'espressione raffinata e nobile dei pensieri, distaccandosi in questo dalla lingua volgare, e portando la letteratura italiana verso un ideale aulico e ricercato.

    Tutto questo forse meglio si adatta secondo Malatesta a descrivere l'amore per la propria terra.

    Ma ora sentiamo come la vede lui 😉

    Era questo che intendevo,Andrez mi ha capito. capita a tutti di non essere capita,tranquilli 🙂


  • User

    @Andrez said:

    Forse Malatesta usava la seconda persona plurale perchè rispondeva sia a me che a te 🙂

    Probabilmente poi, Malatesta ritiene opportuno l'uso del Dolce Stil Novo per trattare delle nostre amate terre in quanto esso Stil Novo, sviluppato fin dal tredicesimo secolo, influenza aree della poesia italiana fino al Petrarca divenendo un riferimento dell'espressione raffinata e nobile dei pensieri, distaccandosi in questo dalla lingua volgare, e portando la letteratura italiana verso un ideale aulico e ricercato.

    Tutto questo forse meglio si adatta secondo Malatesta a descrivere l'amore per la propria terra.

    Ma ora sentiamo come la vede lui 😉

    Grazie per il copia-incolla da Wikipedia 😉
    Ma meglio rispetto a cosa?
    Perdonate la mia lentezza.

    Ma poi non capisco parlate di Stil novo in quanto genere o in quanto lingua? Dobbiamo scrivere dell'amor cortese o dobbiamo scrivere in fiorentino tardo medievale?
    Perchè lo stil novo dovrebbe essere adatto a "descrivere l'amore per la propria terra"? Al massimo direi che potrebbe descrivere l'amore per l'area romanza.
    E perchè proprio l'aulicità dello stil novo e non, che so l'aulicità di Foscolo?
    E anche, perchè la lingua e la poesia che chiami "volgare" (intendi dire del popolo? perchè per quanto riguarda il periodo medievale volgare è un termine un po' problematico. Può avere più accezioni) non potrebbero onorare la nostra terra?

    Non ho niente contro l'aulicità e la ricercatezza, ANZI, ma l'italiano di oggi la consente, senza bisogno di ripescare parole un po' stridenti tipo, che so, "cotal".

    Poi sarà anche che ho dato troppi esami di linguistica, ma la bellezza di una lingua mi sembra data dalla sua evoluzione e dalla sua stratificazione anche a livello sincronico: quindi ben venga anche ciò che non è aulico e anche ciò che è nuovo.

    Scrivere in latino, oggi come oggi, come anche scrivere cotal, mi sembra solo freddo (e anche un po' fine a se stesso) esercizio di stile...

    Perdonate se sembro polemica, non vorrei.

    Ps e soprattutto scusate per il fraintendimento sui pronomi di cortesia :giggle:


  • Moderatore

    Invero una polemica di tal guisa getta radici nella notte dei tempi.

    Nelle forme in cui nasce sembra ricalcare i modelli ricorrenti di decine di diatribe letterarie, che spesso durano secoli prima di dare luogo a rimescolamenti di lingue e inversioni di mode poetiche.

    Il sottoscritto ha appena qualche rimembranza, e di certo è poco indicato nel discettare di Stil Novo. Benchè romano non ho, in aggiunta, pratiche dialettali tanto raffinate come quelle finora godute, per la penna di Malatesta.

    Ma direi che la discussione è di ben vecchia data.

    Si son toccati i concetti di "alto" e di "basso", applicati alla forma poetica e in connessione con l'uso pubblico che della stessa si immagina.

    "Quale poetica è meglio": in entrambe le forme di significato che vogliamo dare al termine "poetica".

    Sappiamo che in ogni "poetica" la "forma" sia del tutto consustanziale alla materia: quindi una poetica è "meglio" di un'altra anche in virtù dei significati che questa vuole veicolare.

    Su forme e contenuti delle poesie, e del poetare, si è dibattuto sempre e a lungo, e ci mancherebbe che non fosse stato così; da questi dibattiti ha spesso avuto luce una "nuova" poetica.
    Una nuova lingua? Un nuovo modo di usare i linguaggi precedenti, innovandoli?

    Sicuramente nuove mode poetiche (e modi di scrivere poesia, quindi) e nuovi "temi" oggetto dell'interesse artistico.

    Come sempre avviene il tempo dell'uomo sulla terra ama essere raccontato per cicli, e tanto vale per i gusti poetici.
    E in questa logica non fa male ricordarsi che laddove qualcuno imposta un canone - che diviene naturalmente "classico" :giggle: - ecco che il nuovo artista verrà ad infrangerlo per dare una nuova linfa, e ancora nuove parole e declinazioni. E la "nuova poesia" verrà a porsi problemi diversi dalla precedente, problemi e temi che la precedente non aveva interesse o ambizione a trattare.

    Ma non di rado dopo breve, a rivoluzione avvenuta, arriva tal'altro a ricordar le "vecchie cose".
    E in una certa percentuale si rispolvera qualche precedente canone - anche qui spesso innovandolo - e possono tornare temi già usuali.

    Pongo due casi - lontani nel tempo ma esattamente connessi - per grandi linee e con la molta approssimazione che sicuramente vorrete concedermi.

    Tralascio discorsi sul latino, vorrei uscirne vivo a breve.
    Siamo certamene concordi sul fatto che tra il latino dei Catullo e il latino delle abbazie medievali c'è un abbisso. Anche negli "argomenti" di questi due "latini" c'è una diversità profonda, ovviamente.
    Ma, per brevità, fermiamoci al latino che precede l'italiano.

    L'italiano era considerato volgare, e ad uso delle classi basse, per l'appunto.
    Le cose serie - messe, processi o guerre - si scrivevano e si "parlavano" in latino.

    Quando nasce l'italiano?

    Filologicamente forse si possono fare studi approfonditi (ma per vostra fortuna non lo farò io :D).

    Ma dal punto di vista delle memoria collettiva che OGGI abbiamo del problema, non possiamo far altro che appellarci ad un "momento simbolico" in cui abbiamo depositato, nel nostro immaginario storico, il passaggio di fase, il turning point.

    La maggior parte quindi penserebbe a Dante, suppongo, a quella strepitosa "Comedia".

    Quindi in quel momento si usò il volgare per scrivere cosa suprema.
    Ma fu suprema, e tale la riteniamo ancora oggi, ANCHE perchè affrontava i temi sacri in un modo semplicemente inconcepibile.
    Da laico e in italiano scrisse Dante appunto. Tenendosi senza dubbio a mille miglia di distanza dai precetti papalini e dalle glosse scholastiche riconosciute più sacre dell'originale vangelo. Il regno di Dio dantesco era poco più o poco meno da rogo, detto tra di noi, e certo non venne accolto di buon occhio dagli interpreti ufficiali - che erano per'altro anche i detentori dei libri e dei principali canali di trasmissione della cultura stessa -.

    Quindi già la nascita dell'italiano parte da una "rottura" su un sostrato poetico precedente dove ai temi seguivano forme diverse. E un'intera nuova lingua, in quel caso.

    Dante faceva l'occhiolino all'incalzante Rinascimento?
    L'uomo stava per sottrarre il posto a Dio. Nell'arte e nella società.

    Naturalmente anche qui per date "a spanne", 'che nessuno fissa il giorno.
    Però tra il 14esimo e il 16esimo secolo gli equilibri medievali vanno a rompersi in tutta la cultura occidentale.
    In politica, in arte, nel campo scientifico ed economico.
    Si usa parlare di Età moderna. Bene.

    Naturalmente "Dio" (-il sistema medievale fondato sulla Chiesa e sull'Impero-) ebbe alcune resistenze. I campi, in fondo, erano sempre arati da buoi.
    Ci furono scismi e guerre di religione.
    Galileo ebbe scarsa fortuna, meglio andò il secolo dopo ai francesi.

    Ma qualcosa era irrimediabilmente cambiato.
    Il trono aveva avuto la meglio sull'altare, intanto, entro certi limiti ma con buona approssimazione.

    Ma per la poesia?

    Che fanno i nostri "moderni", sul limitare ancora del Settecento?
    Hanno un gusto poetico che pesca nella precedente età dell'oro per tradurre le forme classiche.

    Giustamente, diremo noi tutti, che il medievo è chiamato così mica per nulla.
    Perchè non riprendere i greci e i latini, ora che si può farlo senza preoccuparsi delle collimanze con i sacri testi?

    Quest'escursus deve alla facezia quanto alla vostra pazienza e comprensione, ovviamente.

    Ma il punto è ancora questo.
    Quale fu la poetica rivoluzionaria dopo l'89? La rivoluzione delle rivoluzioni aveva appena spazzato l'Europa e già l'800 veniva a reclamare suoi cantori ribelli.

    E segnatamente qui da noi questi cantavano la patria, l'arme e gli eroi potremo dire.

    Ma spazzando di nuovo Muse e metriche, rimettendo in discussione anche l'ovvio.

    Passando per romantici, alla fine l'ebbero vinta.
    Fecero la patria.

    Ripresero il romanzo, certo.
    Ma si ebbe anche un'arte che "ritorna al popolo", abbandonando le corti per teatri ed editori borghesi.

    La ripresa del dialetto dopo l'epoca moderna è fenomeno romantico.
    Intanto perchè il dialetto ben si incontrava con i gusti borghesi; aveva ottimi riscontri anche nel popolo meno fornito, d'altra parte.

    Soprattutto perchè quel famoso italiano NON era ancora una lingua vera e propria, in un paese dove quasi il 90 per cento della popolazione era analfabeta.

    Potevi parlare un tuo italiano.
    Potevi passarci le frontiere interne, prima del 1860, e al limite sbarcarci in Sicilia con Nino Bixio. Ma di certo la realtà comune era ben altra.

    Quindi con l'unità d'Italia nasce la famosa storia del "fare gli italiani".

    Ecco credo che la discussione abbia anche giust'apposto questi due versanti.

    Ovviamente ognuno ha i suoi gusti, su cui poco si discute. 🙂

    Ma se vogliamo "tenere tutto" occorre anche chiarire.

    In questi due diversi e lontani frangenti mi sembra che a sostegno della causa italiana sia sempre venuto un nuovo canone linguistico e nuove forme di poetica, laddove i precedenti (il latino per Dante e il neoclassicismo per i romantici) erano a sostegno di un ordine di valori e di poteri nel quale l'idea stessa di Italia era del tutto estranea.

    Se dovessi puntare su un nuovo lustro per l'italico panorama poetico sceglierei probabilmente strade innovative, quindi. Ma questo è parere del tutto soggettivo.

    Dall'altra parte la ripresa dell'aulico, oltre che delle figure retoriche più consolidate, è operazione che - giocando con la lingua - qualsiasi poeta compie, necessariamente e prima o poi.

    Allora personalmente preferisco mettere in secondo piano le forme, che il '900 ci ha insegnato anche che l'arte è profondamente irrazionale.

    E passerei quindi ai contenuti.

    Se dovessi quindi scegliere qualcosa di "migliore", un fattore unico in grado di qualificare il mio paese, un nesso poetico etc etc etc.... beh credo che la miglior poesia sarebbe certamente quella "intelligente".

    Lo diceva Pascarella che gli italiani erano privilegiati, intellligenti, svegli.

    E anche per rimanere in topic.

    Dalla fine de La scoperta dell'America

    "[...]
    Ma la storia de tutto er monno sano...
    Eh, la storia, percristo, è sempre storia.
    Cristofero Colombo era italiano

    E l'italiano è stato sempre quello!
    E si viè'n forestiere da lontano,
    sibbè' c'ha visto tutto er monno sano,
    si arriva qui s'ha da cavà er cappello.

    Qui Tasso, Metastasio, Raffaello,
    Fontan de Trevi, er Pincio, er Laterano,
    la Rotonna, San Pietro in Vaticano,
    Michelangelo, er Dante, Machiavello...

    Ma poi nun serve mo che t'incomincio
    a dilli tutti: tu, se te l'aggusti
    tutti st'omini qui, vattene ar Pincio.

    E lì, mica hai da fa' tanti misteri:
    chè quelli busti, prima d'esse busti,
    so' stati tutti quanti òmini veri.

    E che òmini! Sopra ar naturale,
    che er monno ce l'invidia e ce l'ammira.
    E l'italiano ci ha quer naturale
    che er talentaccio suo se lo rigira.

    Pe''n'ipotise; vede uno che tira
    su 'na lampena! Fa mente locale
    e te dice; sapè, la terra gira.
    Ce ripensa e te scopre er cannocchiale.

    E quell'antro? Te vede 'na ranocchia
    ch'era morta: la tocca co' 'n zeppetto
    e s'accorge che move le ginocchia.

    Che fa? Te ce congegna un meccanismo;
    a un antri nu' j'avrebbe fatto effetto,
    l'italiano t'inventa er letricismo.

    Cusì Colombo. Lui cor suo volere,
    seppe convince' l'ignoranza artrui.
    E come ce 'rivò? Cor suo pensiere.
    Ecchela si com'è. Dunque, percui

    risèmo sempre lì. Famme er piacere:
    lui perchè la scoprì? Perchè era lui.
    Si invece fosse stato un forestiere,
    che ce scopriva? Li mortacci sui!

    Quello invece t'enventa l'incredibile:
    che si poi quello avesse avuto appoggi,
    ma quello avrebbe fatto l'impossibile.

    Si ci aveva l'ordegni de marina
    che se trovene adesso ar giorno d'oggi,
    ma quello ne scopriva 'na ventina!! "


    Cesare Pascarella mi trova sulle sue posizioni.
    Gli italiani sono "intelligenti". Altri direbbero forse "furbi", che è cosa diversa però.

    Non sempre, è ovvio; non tutti gli italiani sono intelligenti.

    Non lo furono con Colombo. Furono infatti le spingarde spagnole a decimare gli indios, e verso Siviglia ha viaggiato l'oro per quasi due secoli.

    Ecco perchè ammiro l'intelligenza come discrimine, più che non la forma.

    Una poesia intelligente vale come l'oro.
    Una poesia che non lo è rischia di gettare nel fango la Musa a cui si ispira.

    Lo stesso penso per le persone.
    Un cervello acuto mi riempie il cuore, se sento che usa la mia stessa lingua.

    Se invece odo brutture e sono italiani a dirle, bhè allora,
    mi sento male nell'orgoglio.

    E' più forte di me, non posso farci niente.
    Quando mi capita,
    mi sento come uno straniero in patria.


  • Super User

    Grazie per il copia-incolla da Wikipedia 😉

    Perdonate se sembro polemica, non vorrei.

    Ciao .Diana.
    Hai un messaggio privato 😉


  • User Attivo

    ciao Diana,
    wikipedia è un ottimo mezzo, si trovano utili definizioni..sarebbe un peccato non usarla.
    La poesia è bella perchè è tutto lecito, naturalmente sempre nei limiti...
    Non trovo stridente la parola "cotal" almeno nello scritto, se la si usasse nel parlato penserei di parlare con Dante. Nella storia della poesia c'è perfino chi ha usato onomatopee e ha avuto parecchio successo ( per esempio Aldo Palazzeschi nella sua "lasciatemi divertire",Tri, tri,tri e fru, fru, fru.. ecc ecc)
    La lingua dell'Italia è l'italiano e i vari dialetti, se usassimo ciò che sta nei giornali o nei cartoni di latte o se facessimo uso dell'italiano accademico sarebbe riduttivo. La poesia è arte e l'arte è la capacità di sorprendere, se sei stata sorpresa dell'uso di "cotal" allora Malatesta ha colpito nel segno.
    Ultimamente ho seguito corsi di Dialettologia come pure di filologia romanza e a mio enorme stupore ho appreso che i dialetti alla pari dell'italiano hanno medesima espressività, infondo l'italiano alle origini era un dialetto che ha fatto fortuna ed è diventato lingua.
    Le tre corone lo hanno scelto, Dante crticò molto il fiorentino ( quello usato dal volgo) preferì di gran lunga il dialetto usato dai poeti siciliani.