• User Attivo

    Profilo Facebook violato, processo: ASSOLTO!

    L'indirizzo ip del computer, una sorta di «carta di identità» dell'apparecchio, ha portato gli inquirenti dritti a lui. E così un 50enne trentino si è ritrovato a processo con una triplice accusa: sostituzione di persona, accesso abusivo ad un sistema informatico e detenzione abusiva di codici. In pratica si sarebbe introdotto nel profilo Facebook di un'ignara signora e si sarebbe sostituito a lei.
    Ma il processo si è concluso con un'assoluzione «per non avere commesso il fatto». La difesa, sostenuta dagli avvocati Nicola Benvenuto e Marco Vernillo, è riuscita a fare cadere le accuse.
    La vicenda definita ieri mattina in tribunale è senza dubbio di stretta attualità. Non è infatti la prima volta che qualcuno denuncia di avere subito un furto di identità sul social network o di avere scoperto un profilo Facebook a propria insaputa. In questo caso, però, la vittima si è accorta che qualcosa non andava quando ha cercato di accedere al popolare social network, ma risultava già connessa. A quel punto, seguendo il procedimento previsto, ha cambiato la password ed è poi riuscita ad entrare nel suo profilo, scoprendo però che erano stati postati messaggi a suo nome che lei non aveva mai scritto. A quel punto è parso chiaro che qualcuno era entrato con la sua password e il suo indirizzo di posta elettronica. E qui va detto che, forse, non si trattava di codici così difficili da trovare. In ogni caso la vittima ha sporto denuncia. La polizia postale, seguendo le tracce telematiche, è risalita all'ip, ovvero all'indirizzo identificativo del computer. E così il 50enne si è ritrovato a processo.
    Ma il solo fatto di essere titolare dell'utenza, ha replicato subito la difesa, non era sufficiente a dimostrare che fosse stato lui a commettere «l'effrazione» telematica. Insomma, non vi era prova della colpevolezza dell'imputato, visto che l'uomo è sposato e padre di due figli: chiunque avrebbe potuto utilizzare quel computer.
    Ma dirimente è stata poi la testimonianza di un socio di lavoro: nell'ora in cui era avvenuta la connessione l'uomo era in ufficio e non a casa. E così è arrivata l'assoluzione, di fronte all'impossibilità di potere dimostrare con certezza chi fosse stato l'autore di quell'intrusione su Facebook.


  • User Attivo

    Che ne pensate?


  • Super User

    Ciao Passione.
    Ne penso quel che ho scritto più volte: la mera connessione non prova la colpevolezza (chi era al pc in quel preciso momento tenendo quella condotta).

    Pervero, si registra qualche sentenza contraria...ma trattasi di sentenze anomale, come a vote accade...(ricordo, per tutte, quella sui jeans dove si affermava che è impossibile lo stupro nei confronti di una donna che indossa quell'indumento).


  • User Attivo

    Riesci ad indicarmi od a trovarmi qualche sentenza avversa?


  • Super User

    Passione, non posso certo postare qui sentenze di procedimenti di cui io sono stata patrocinante o di cui sono venuta a conoscenza patrocinate da colleghi...
    In realtà la Cassazione, solo in una sentenza del 2011, ha stabilito che il mero indirizzo ip è condizione sufficiente. Una sentenza che ha il valore di quella sui jeans...
    In ogni altra sentenza cui puoi accedere mediante il web con ricerca comune, vedrai che la Corte, oltre a menzionare l'indirizzo IP utilizzava latri elementi ai fini della prova della colpevolezza; un esempio per tutti:
    Cassazione 8824/2011 dove :"L'identificazione nel M. dell'autore del messaggio offensivo è stata confermata dall'accertato movente costituito dal dissidio esistente tra questi e la famiglia B. - D.B. oltre che con lo stesso V..B."

    Del resto, ai fini dell'esclusione del "ragionevole dubbio", il mero indirizzo IP non può essere ritenuto sufficiente...diversamente opinando si dovrebbe affermare che nessuno è più al riparo dalla sanzione penale e vi sarebbe la responsabilità oggettiva PENALE dei malcapitati che si trovassero a vedersi violata la propria connessione da terzi che pongono in essere questi comportamenti ai fini di commettere azioni criminose.
    E che dire di coloro che non hanno la protezione sulla connessione (un tale fu assolto per questa circostanza)? Vi è un obbligo giuridico di proteggere la propria connessione ora? Non direi proprio...


  • User Attivo

    giurista, ti rispondo qui.
    Ho scritto l'altro thread, "11 mesi dalla querela", che pure tu hai commentato.

    Ora, leggendo quest'altro topic, mi sorgono dubbi.
    Il mio legale dice di affrontare l'eventuale processo per sostituzione di persona su FB, sebbene io gli abbia fatto notare che molti procedimenti vengano archiviati perchè appunto sia difficile trovare il reale reo, per il discorso dei model wi-fi, dei virus, dei war-driving ecc...
    Lui, che di Internet capisce poco o nulla, invece dice di ammettere le mie colpe e di affrontare il processo, ove venisse istituito.
    Non so, ma a me pare una risposta un pochino venale, cioè legata alla possibilità di guadagno da parte del penalista.
    Tu che dici in merito?


  • Super User

    Ciao boldrino.
    Io dico che provare la colpevolezza spetta SEMPRE all'accusa. Perchè mai l'indagato deve fare questo favore?


  • User Attivo

    Ho letto, approfondendo la notizia, che la querelante era amica di famiglia, della moglie del denunciato, intestatario della linea telefonica.

    Scusa giurista, ma allora perchè rinviare a giudizio senza prove gravi e concordanti?


  • Super User

    Boldrino gli indizi gravi precisi e concordanti sono richiesti per la custodia cautelare. Per il rinvio a giudizio è sufficiente un asse probatorio che possa sostenere l'accusa in giudizio secondo il pm.


  • User Attivo

    E quindi, nel mio caso di cui ho scritto, mia nonna intestataria del telefono, verrebbe rinviata a giudizio, pur non sapendo accendere un PC?


  • Super User

    Ma no!... Le chiederebbero chi usa la linea etc... figurati se rinviano una ottatenne...


  • User Attivo

    Ok.
    Quindi che le dovrei fare dire e cosa dovrei dire io, ove nominato da mia nonna nel SIT?