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Consiglio: recesso o giudizio?
salve, sono socia al 50% in una s.n.c. impresa artigiana (sono anche legale rappresentante e responsabile dell'amministrazione ordinaria, mentre per la straordinaria occorrono entrambe le firme).
L'altro socio è un parente che, nonostante come me dovrebbe occuparsi dell'attività manuale non lo ha mai fatto, ma si occupava soltanto di portare le fatture dal ragioniere. Questa situazione è stata sopportata da me per tanti anni, perché comunque il lavoro c'era e non volevo causare problemi in famiglia. Quando il mio compagno, 7 anni fa, è venuto a convivere mi ha aperto gli occhi e fatto capire che le cose così non potevano andare avanti, ma quando me ne sono resa conto è subentrata anche la crisi e enormi difficoltà. Il parente in questione ha più volte dichiarato di avere interesse a lasciare la società, ma non lo ha mai fatto e in quest'ultimo anno sono subentrati contrasti fortissimi, oltre ad una situazione per me impossibile perché il dipendente che avevo usufruisce della 104 ed io non posso prendere un'altra persona e mi ritrovo a fare il lavoro anche del dipendente, mentre il mio socio se ne sta a casa. Alla fine mi sono rivolta ad un legale, cosa che ha inasprito ancora più gli animi. Ci sono stati diversi incontri, ma siamo ad un nulla di fatto perché il parente, anche se anche davanti agli avvocati ha dichiarato di non lavorare e neppure mettere più piede in azienda, non vuole recedere se prima non viene liquidato con il 50% esatto, quando non ha mai apportato né lavoro, né soldi. La società dispone di immobili dove tutti noi abitiamo e questa persona vorrebbe praticamente la metà esatta, comprendendo anche dei locali che a me servirebbero per portare avanti l'attività. Purtroppo non ho la liquidità per poterlo liquidare monetariamente. Io avevo cominciato a muovermi per la sua estromissione e per un giudizio atto a ripagarmi del danno di questa situazione, ma prima che si concluda tutto passerà una barca di tempo ed io sono impossibilitata ora a gestire l'azienda in queste condizioni di continuo ricatto psicologico. Allora dopo l'ennesimo incontro terminato con l'ennesimo nulla di fatto valutavo l'opportunità di fare io il recesso, lasciare l'azienda e farmi liquidare in denaro, lasciando quindi il mio socio nei casini, visto che non ha mai messo piede in azienda e visto che per liquidarmi dovrebbe probabilmente vendere tutto, compresa l'abitazione, ora proprietà della società, in cui vive. L'unico problema sta nel fatto che io vorrei proseguire a lavorare nel settore, per cui al limite mi appoggerei al mio compagno, facendo aprire a lui una nuova attività. L'avvocato mi ha detto che è una strada percorribile, ma che non può consigliarmi lui cosa è meglio per me. Ha detto che è una buona soluzione perché io mi liberi di questo giogo che ho da anni e per ricominciare subito un'altra vita, visto che io sarò costretta a cercarmi un'altra abitazione ed un altro laboratorio e dovrò farlo ora, prima che mi liquidino. Voi che strada optereste? Portare questa persona in giudizio ed attendere gli anni che occorreranno per vincere la causa (ho dipendenti, fornitori, commercianti tutti pronti a testimoniare la totale inadempienza di questa persona, che lo ha anche affermato davanti agli avvocati e in una lettera inviata in risposta alla mia inviata per informarla che avrei cominciato la procedura di estromissione) oppure evitare di farmi il sangue amaro, prendere la mia quota e lasciare tutte le beghe a lei?
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E'una brutta situazione da cui è difficile uscire serenamente. Senza conoscere tutti i dettagli è difficile espimere pareri.
Io comunque eviterei di recedere e lasciare così all'altro socio la possibilità di disporre dei beni della società.
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Grazie per la risposta
Nel frattempo ho incontrato il mio avvocato che studiando la situazione mi ha sconsigliato di recedere io proprio per gli stessi motivi di cui mi parli anche tu. Mi ha suggerito la strada della liquidazione della società, ma non mi entusiasma anche nei confronti dei dipendenti.