• User Attivo

    [CENTER]
    Afrodite dal trono dipinto,
    Afrodite immortale, figlia di Zeus,
    tessitrice d'inganni, ti prego,
    non domare con pene e con ansie d'amore,
    o Regina, il mio cuore.

    E qui vieni. Altra volta venisti;
    pur di lontano udisti la mia voce,
    e del padre lasciasti la reggia
    su l'aureo cocchio aggiogato.

    Te conducevano leggiadri passeri snelli
    sopra la nera terra
    fitte agitando giu' dal cielo le ali
    per gli eterei spazi.

    Rapidamente giunsero. E tu, o Beata,
    sorridendo dal tuo volto immortale,
    mi chiedevi che pena ancora pativo,
    che cosa ancora invocavo,

    e chi nel mio cuore in delirio
    follemente desideravo - "Chi cerchi
    che ancora Peito riporti al tuo amore?
    chi ti fa male, o Saffo?

    Oh, ma se ora ti fugge, presto t'inseguira',
    se doni rifiuta, presto doni fara',
    se gia' non ti ama, presto ti amera',
    anche contro sua voglia".

    Vieni a me anche ora: da cosi' triste
    pena di amore mi sciogli; quanto
    brama il mio cuore si compia, tu compi;
    tu stessa mi assisti.

    Saffo
    (poetessa greca, VII sec. a.C.)
    [/CENTER]


  • User Attivo

    [CENTER]1
    Presto qualcuno ponga intorno al collo
    intrecciate ghirlande di aneto
    e sul petto mi versi soave profumo.

    2
    Odo giungere la primavera
    vestita di fiori...
    Su presto! mescete un cratere di vino
    e dolce esso sia...

    Alceo
    (poeta greco, VII sec. a.C.)
    [/CENTER]


  • Super User

    Web Designer, se non ci fossi dovrebbero inventarti :yuppi:


  • User Attivo

    [CENTER]Uomo, non dire mai cosa avverrà domani,
    né, se vedi altro felice, quanto tempo lo sarà,
    ché neppure il volo ad ali distese della mosca
    sarà così veloce come il mutare delle vicende umane.

    Simonide di Ceo
    (poeta lirico greco, 556-468 o 467 a.C.)
    [/CENTER]


  • Super User

    Qui su l?arida schiena
    Del formidabil monte
    Sterminator Vesevo,
    La qual null?altro allegra arbor né fiore,
    Tuoi cespi solitari intorno spargi,
    Odorata ginestra,
    Contenta dei deserti. Anco ti vidi
    De? tuoi steli abbellir l?erme contrade
    Che cingon la cittade
    La qual fu donna de? mortali un tempo,
    E del perduto impero
    Par che col grave e taciturno aspetto
    Faccian fede e ricordo al passeggero.
    Or ti riveggo in questo suol, di tristi
    Lochi e dal mondo abbandonati amante,
    E d?afflitte fortune ognor compagna.
    Questi campi cosparsi
    Di ceneri infeconde, e ricoperti
    Dell?impietrata lava,
    Che sotto i passi al peregrin risona;
    Dove s?annida e si contorce al sole
    La serpe, e dove al noto
    Cavernoso covil torna il coniglio;
    Fur liete ville e colti,
    E biondeggiàr di spiche, e risonaro
    Di muggito d?armenti;
    Fur giardini e palagi,
    Agli ozi de? potenti
    Gradito ospizio; e fur città famose
    Che coi torrenti suoi l?altero monte
    Dall?ignea bocca fulminando oppresse
    Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
    Una ruina involve,
    Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
    I danni altrui commiserando, al cielo
    Di dolcissimo odor mandi un profumo,
    Che il deserto consola. A queste piagge
    Venga colui che d?esaltar con lode
    Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
    È il gener nostro in cura
    All?amante natura. E la possanza
    Qui con giusta misura
    Anco estimar potrà dell?uman seme,
    Cui la dura nutrice, ov?ei men teme,
    Con lieve moto in un momento annulla
    In parte, e può con moti
    Poco men lievi ancor subitamente
    Annichilare in tutto.
    Dipinte in queste rive
    Son dell?umana gente
    Le magnifiche sorti e progressive.

    Qui mira e qui ti specchia,
    Secol superbo e sciocco,
    Che il calle insino allora
    Dal risorto pensier segnato innanti
    Abbandonasti, e volti addietro i passi,
    Del ritornar ti vanti,
    E procedere il chiami.
    Al tuo pargoleggiar gl?ingegni tutti,
    Di cui lor sorte rea padre ti fece,
    Vanno adulando, ancora
    Ch?a ludibrio talora
    T?abbian fra sé. Non io
    Con tal vergogna scenderò sotterra;
    Ma il disprezzo piuttosto che si serra
    Di te nel petto mio,
    Mostrato avrò quanto si possa aperto:
    Ben ch?io sappia che obblio
    Preme chi troppo all?età propria increbbe.
    Di questo mal, che teco
    Mi fia comune, assai finor mi rido.
    Libertà vai sognando, e servo a un tempo
    Vuoi di novo il pensiero,
    Sol per cui risorgemmo
    Della barbarie in parte, e per cui solo
    Si cresce in civiltà, che sola in meglio
    Guida i pubblici fati.
    Così ti spiacque il vero
    Dell?aspra sorte e del depresso loco
    Che natura ci diè. Per questo il tergo
    Vigliaccamente rivolgesti al lume
    Che il fe? palese: e, fuggitivo, appelli
    Vil chi lui segue, e solo
    Magnanimo colui
    Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
    Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

    Uom di povero stato e membra inferme
    Che sia dell?alma generoso ed alto,
    Non chiama sé né stima
    Ricco d?or né gagliardo,
    E di splendida vita o di valente
    Persona infra la gente
    Non fa risibil mostra;
    Ma sé di forza e di tesor mendico
    Lascia parer senza vergogna, e noma
    Parlando, apertamente, e di sue cose
    Fa stima al vero uguale.
    Magnanimo animale
    Non credo io già, ma stolto,
    Quel che nato a perir, nutrito in pene,
    Dice, a goder son fatto,
    E di fetido orgoglio
    Empie le carte, eccelsi fati e nove
    Felicità, quali il ciel tutto ignora,
    Non pur quest?orbe, promettendo in terra
    A popoli che un?onda
    Di mar commosso, un fiato
    D?aura maligna, un sotterraneo crollo
    Distrugge sì, che avanza
    A gran pena di lor la rimembranza.
    Nobil natura è quella
    Che a sollevar s?ardisce
    Gli occhi mortali incontra
    Al comun fato, e che con franca lingua,
    Nulla al ver detraendo,
    Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
    E il basso stato e frale;
    Quella che grande e forte
    Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l?ire
    Fraterne, ancor più gravi
    D?ogni altro danno, accresce
    Alle miserie sue, l?uomo incolpando
    Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
    Che veramente è rea, che de? mortali
    Madre è di parto e di voler matrigna.
    Costei chiama inimica; e incontro a questa
    Congiunta esser pensando,
    Siccome è il vero, ed ordinata in pria
    L?umana compagnia,
    Tutti fra sé confederati estima
    Gli uomini, e tutti abbraccia
    Con vero amor, porgendo
    Valida e pronta ed aspettando aita
    Negli alterni perigli e nelle angosce
    Della guerra comune. Ed alle offese
    Dell?uomo armar la destra, e laccio porre
    Al vicino ed inciampo,
    Stolto crede così qual fora in campo
    Cinto d?oste contraria, in sul più vivo
    Incalzar degli assalti,
    Gl?inimici obbliando, acerbe gare
    Imprender con gli amici,
    E sparger fuga e fulminar col brando
    Infra i propri guerrieri.
    Così fatti pensieri
    Quando fien, come fur, palesi al volgo,
    E quell?orror che primo
    Contra l?empia natura
    Strinse i mortali in social catena,
    Fia ricondotto in parte
    Da verace saper, l?onesto e il retto
    Conversar cittadino,
    E giustizia e pietade, altra radice
    Avranno allor che non superbe fole,
    Ove fondata probità del volgo
    Così star suole in piede
    Quale star può quel ch?ha in error la sede.

    Sovente in queste rive,
    Che, desolate, a bruno
    Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
    Seggo la notte; e su la mesta landa
    In purissimo azzurro
    Veggo dall?alto fiammeggiar le stelle,
    Cui di lontan fa specchio
    Il mare, e tutto di scintille in giro
    Per lo vòto seren brillare il mondo.
    E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
    Ch?a lor sembrano un punto,
    E sono immense, in guisa
    Che un punto a petto a lor son terra e mare
    Veracemente; a cui
    L?uomo non pur, ma questo
    Globo ove l?uomo è nulla,
    Sconosciuto è del tutto; e quando miro
    Quegli ancor più senz?alcun fin remoti
    Nodi quasi di stelle,
    Ch?a noi paion qual nebbia, a cui non l?uomo
    E non la terra sol, ma tutte in uno,
    Del numero infinite e della mole,
    Con l?aureo sole insiem, le nostre stelle
    O sono ignote, o così paion come
    Essi alla terra, un punto
    Di luce nebulosa; al pensier mio
    Che sembri allora, o prole
    Dell?uomo? E rimembrando
    Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
    Il suol ch?io premo; e poi dall?altra parte,
    Che te signora e fine
    Credi tu data al Tutto, e quante volte
    Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
    Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
    Per tua cagion, dell?universe cose
    Scender gli autori, e conversar sovente
    Co? tuoi piacevolmente, e che i derisi
    Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
    Fin la presente età, che in conoscenza
    Ed in civil costume
    Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
    Mortal prole infelice, o qual pensiero
    Verso te finalmente il cor m?assale?
    Non so se il riso o la pietà prevale.

    Come d?arbor cadendo un picciol pomo,
    Cui là nel tardo autunno
    Maturità senz?altra forza atterra,
    D?un popol di formiche i dolci alberghi,
    Cavati in molle gleba
    Con gran lavoro, e l?opre
    E le ricchezze che adunate a prova
    Con lungo affaticar l?assidua gente
    Avea provvidamente al tempo estivo,
    Schiaccia, diserta e copre
    In un punto; così d?alto piombando,
    Dall?utero tonante
    Scagliata al ciel profondo,
    Di ceneri e di pomici e di sassi
    Notte e ruina, infusa
    Di bollenti ruscelli
    O pel montano fianco
    Furiosa tra l?erba
    Di liquefatti massi
    E di metalli e d?infocata arena
    Scendendo immensa piena,
    Le cittadi che il mar là su l?estremo
    Lido aspergea, confuse
    E infranse e ricoperse
    In pochi istanti: onde su quelle or pasce
    La capra, e città nove
    Sorgon dall?altra banda, a cui sgabello
    Son le sepolte, e le prostrate mura
    L?arduo monte al suo piè quasi calpesta.
    Non ha natura al seme
    Dell?uom più stima o cura
    Che alla formica: e se più rara in quello
    Che nell?altra è la strage,
    Non avvien ciò d?altronde
    Fuor che l?uom sue prosapie ha men feconde.

    Ben mille ed ottocento
    Anni varcàr poi che spariro, oppressi
    Dall?ignea forza, i popolati seggi,
    E il villanello intento
    Ai vigneti, che a stento in questi campi
    Nutre la morta zolla e incenerita,
    Ancor leva lo sguardo
    Sospettoso alla vetta
    Fatal, che nulla mai fatta più mite
    Ancor siede tremenda, ancor minaccia
    A lui strage ed ai figli ed agli averi
    Lor poverelli. E spesso
    Il meschino in sul tetto
    Dell?ostel villereccio, alla vagante
    Aura giacendo tutta notte insonne,
    E balzando più volte, esplora il corso
    Del temuto bollor, che si riversa
    Dall?inesausto grembo
    255Su l?arenoso dorso, a cui riluce
    Di Capri la marina
    E di Napoli il porto e Mergellina.
    E se appressar lo vede, o se nel cupo
    Del domestico pozzo ode mai l?acque
    Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
    Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
    Di lor cose rapir posson, fuggendo,
    Vede lontan l?usato
    Suo nido, e il picciol campo,
    Che gli fu dalla fame unico schermo,
    Preda al flutto rovente,
    Che crepitando giunge, e inesorato
    Durabilmente sovra quei si spiega.
    Torna al celeste raggio
    Dopo l?antica obblivion l?estinta
    Pompei, come sepolto
    Scheletro, cui di terra
    Avarizia o pietà rende all?aperto;
    E dal deserto foro
    Diritto infra le file
    Dei mozzi colonnati il peregrino
    Lunge contempla il bipartito giogo
    E la cresta fumante,
    Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
    E nell?orror della secreta notte
    Per li vacui teatri,
    Per li templi deformi e per le rotte
    Case, ove i parti il pipistrello asconde,
    Come sinistra face
    Che per vòti palagi atra s?aggiri,
    Corre il baglior della funerea lava,
    Che di lontan per l?ombre
    Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
    Così, dell?uomo ignara e dell?etadi
    Ch?ei chiama antiche, e del seguir che fanno
    Dopo gli avi i nepoti,
    Sta natura ognor verde, anzi procede
    Per sì lungo cammino
    Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
    Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
    E l?uom d?eternità s?arroga il vanto.

    E tu, lenta ginestra,
    Che di selve odorate
    Queste campagne dispogliate adorni,
    Anche tu presto alla crudel possanza
    Soccomberai del sotterraneo foco,
    Che ritornando al loco
    Già noto, stenderà l?avaro lembo
    Su tue molli foreste. E piegherai
    Sotto il fascio mortal non renitente
    Il tuo capo innocente:
    Ma non piegato insino allora indarno
    Codardamente supplicando innanzi
    Al futuro oppressor; ma non eretto
    Con forsennato orgoglio inver le stelle,
    Né sul deserto, dove
    E la sede e i natali
    Non per voler ma per fortuna avesti;
    Ma più saggia, ma tanto
    Meno inferma dell?uom, quanto le frali
    Tue stirpi non credesti
    O dal fato o da te fatte immortali.

    Giacomo Leopardi [1798-1837]


  • User Attivo

    [CENTER]****Lunga è la notte d'inverno,
    il sole tramonta fra le Pleiadi
    e io sono là, bagnato, alla sua porta,
    colpito dal desiderio dell'ingannatrice.
    No, non è amore questo
    che mi ha mandato Afrodite,
    ma una freccia angosciosa di fuoco.

    Asclepiade di Samo
    (poeta greco antico, ante 310 a.C. ? ...)
    [/CENTER]


  • Super User

    Come è forte il rumore dell'alba!
    Fatto di cose più che di persone.
    Lo precede talvolta un fischio breve,
    una voce che lieta sfida il giorno.
    Ma poi nella città tutto è sommerso.
    E la mia stella è quella stella scialba
    mia lenta morte senza disperazione.

    [Sandro Penna]


  • User Newbie

    @Web Designer said:

    [CENTER]Afrodite immortale, figlia di Zeus,
    tu che intrecci inganni...
    Saffo
    (poetessa greca, VII sec. a.C.)
    [/CENTER]

    Vorrei chiedere la rimozione, visto che la poesia è stata copiata dal mio sito: miezewau.it /saffo.htm

    Le poesie di Saffo sono tratte dal libro " A Erato "
    di Augusto Caraceni, De Luca Editore, Roma 1958
    Vietata la riproduzione in altre pagine web, considerato
    che non sono passati 70 anni dalla morte del traduttore.


  • User Newbie

    @Web Designer said:

    [CENTER]1
    Presto qualcuno ponga intorno al collo
    intrecciate ghirlande di aneto...
    Alceo
    (poeta greco, VII sec. a.C.)
    [/CENTER]

    Vorrei chiedere la rimozione, visto che la poesia è stata copiata dal mio sito: miezewau.it /alceo.htm

    I frammenti di Alceo sono tratti dal libro " A Erato "
    di Augusto Caraceni, De Luca Editore, Roma 1958
    Vietata la riproduzione in altre pagine web, considerato
    che non sono passati 70 anni dalla morte del traduttore.


  • User Newbie

    @Web Designer said:

    [CENTER]Uomo, non dire mai cosa avverrà domani...
    Simonide di Ceo
    (poeta lirico greco, 556-468 o 467 a.C.)
    [/CENTER]

    Vorrei chiedere la rimozione, visto che l'epigramma è stato copiato dal mio sito: miezewau.it /simonide.htm

    Le poesie di Simonide di Ceo sono tratte dal libro "A Erato"
    di Augusto Caraceni, De Luca Editore, Roma 1958
    Vietata la riproduzione in altre pagine web, considerato
    che non sono passati 70 anni dalla morte del traduttore.

    Il motivo per le mie richieste è che Google ora ha indicizzato queste poesie dal vostro forum, ignorando il sito originale.

    Confidando nella vostra comprensione, vi mando un saluto
    katharina