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- Lettera richiamo disciplinare che fa riferimento a fatti non accaduti
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Ritengo intollerabile questo tipo di censura. Io ritengo che affermare che possa passare la voglia di replicare quando la tua controparte si confronta parlando di tutt'altro, sia un'affermazione educata e cortese. Se il suo senso non ti garba, non ti è consentito censurare, perché le modalità sono più che cortesi e rispettano il regolamento.
Mi dispiace ma ti sbagli proprio di gran lunga quanto alla reintegra: non è sparita proprio per niente dal nostro ordinamento giuslavoristico, ed è evidente che non hai letto quello che ho scritto, che non è un'opinione ma sono norme ed è evidente che non hai letto le norme che ho cercato di riepilogare sopra. Non sono mai riuscito a discutere con chi prevarica in questo modo. La censura, fatta così, è il modo più semplice per sbarazzarsi di chi non è delle propria opinione, da migliaia di anni.
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Sono spiacente. Ma più che citarti la norma io non posso fare.
Prima era previsto il reintegro. Se non facevi entrare il lavoratore dovevi retribuirlo comunque come se lavorasse ed il rapporto di lavoro rimaneva in essere senza risolversi, oltre altre sanzioni.
Oggi, il novellato art. 18 in caso di licenziamento SENZA GIUSTA CAUSA prevede un "può ordinare il reintegro" in alternativa paga delle mensilità ed il rapporto di lavoro si risolve.
La differenza credo sia più che palese.Circa le tue doglianze:
In questo Forum non sono ammesse frasi come quelle che tu scrivi che invitano a tutto eccetto che alla cordialità.
Come ha evidenziato Criceto lui si prese un b an per aver scritto "Basta mi arrendo".
L'argomento è l'art. 18; ti è stato replicato sull'art. 18, personalmente, addirittura citando la norma. Di talchè dire che l'interlocutore "parla di tutt'altro" sì da far passare la voglia di scrivere in primo luogo è falso ed in secondo luogo è offensivo.
Ciò posto nessuno ti obbliga a scrivere o quant'altro ma, se lo farai, evita questo genere di frasi. Laddove ti passi la voglia di replicare perchè ritieni che l'interlocutore non abbia centrato il punto limitati a non replicare senza sottolineare altro.Io non prevarico affatto e mi spiace che tu non abbia capito la portata del mio invito alla cortesia ed alla pacatezza di toni ed espressioni.
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riporto il testo del nuovo articolo 18, tratta dalla banca dati DeJure, di modo da avere la certezza di essere di fronte al testo vigente.
così sarà chiaro che nella maggior parte delle ipotesi di licenziamento la reintegra non è sparita: e in quelle in cui è sparita, considerate residuali, le interpretazioni sono, ad oggi, quelle che ho indicato qualche post fa. di fronte a ciò, parlare di lesione dei diritti dei lavoratori mi pare davvero eccessivo.
quanto ai toni delle mie risposte non replico, perché tu hai il potere di interpretarli come più ti aggrada e io non ho alcun potere. è ovvio che non si può discutere se non si è a parità di condizioni.Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullita' del licenziamento perche' discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perche' riconducibile ad altri casi di nullita' previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perche' intimato in forma orale.
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresi' il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullita', stabilendo a tal fine un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potra' essere inferiore a cinque mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non e' assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennita' deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria non puo' essere superiore a dodici mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita' lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attivita' lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennita' sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravita' della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi e' anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneita' fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e' stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Puo' altresi' applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennita' tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti.
Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unita' lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purche' effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita', con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.
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Avvocato...porto ad esempio una sola delle previsioni che di dimostrano quanto sia venuta meno la tutela del laviratore rispetto a prima:
"...Il giudice, *nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro *, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto"Lo vedi che parla di una condanna al pagamento di una sanzione invece che l'ordine di reintegro come era previsto prima? In sintesi, se uno ti licenzia adducendo un qualsiasi motivo (troppe malattie per es.), pagherà una sanzione!
Il vecchio art. 18 prevedeva SEMPRE la tutela del reintegro. Direi che la differenza è findamentale.
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eh no!
perché quelle "altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono ecc ecc" innanzitutto vanno vagliate alla luce di tutte le altre ipotesi che invece prevedono ancora la reintegra, innanzittutto non devono essere discriminatorie o pretestuose o ritorsive (e già se uno è preso di mira il motivo illecito è grosso come una casa).
e per restare all'esempio che hai fatto tu, l'aver fatto, che so io, troppe malattie, rientra pacificamente nelle ipotesi in cui "il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili" Senza tener conto che le troppe malattie, se fossero davvero troppe, rientrerebbero nel licenziamento per superamento del periodo di comporto che, non c'è santo che tenga, è una gran bel licenziamento più che legittimo.Non avranno molte chances i datori di lavoro, navigano davvero in cattive acque.
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Mah guarda...io li vedo male solo con i motivi disciplinari del tutto inventati (ammesso che qualcuno faccia da testimone al lavoratore)...
Diversamente, basterebbe che il datore dica che, "causa prolungata malattia attese le conseguenze che non fanno presupporre una guarigione che attesti l'identicità dello stato fisico attuale con il precedente con conseguente compromissione delle capacità lavorative etc.." (caso reale che sto seguendo) con la nuova norma si prenderà l'indennità risarcitoria.
Tu sai benissimo quanto sia arduo dimostrare la ritorsione...La previsione del licenziamento per motivi economici, poi... vabbè...
Non è la stessa cosa di prima...per nulla.
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Immaginiamo un licenziamento motivato come quello da te appena descritto.
Tralasciamo di argomentare se e come questa motivazione potrebbe rientrare nelle altre ipotesi.
Facciamo finta che sia considerare un licenziamento per gmo bello e buono e proviamo a vedere le differenze con la disciplina previgente, per capire se davvero i lavoratori ci stanno perdendo.Vecchio art. 18: il lavoratore, in caso di vittoria, avrebbe portato a casa le retribuzioni medio tempore maturate, dal licenziamento alla sentenza, più la reintegrazione. Di solito il lavoratore non ama rientrare in un'azienda con la quale ha litigato e messo in piedi la causa (giustamente) e opta per l'indennità sostitutiva. Si porta a casa bene o male 20 mensilità.
Nuovo art. 18: il giudice condannerà la società a pagare da 12 a 24 mensilità, a seconda da vari criteri che tengono conto dell'anzianità, delle dimensioni dell'impresa ecc ecc, criteri che esistevano anche prima. I giudici non condannano mai al minimo quando si tratta di risarcire i lavoratori, ma si attesteranno sui 2/3 del massimo previsto e cioè 16 mensilità. Ma potrebbe anche concedere 24. 12 è rarissimo e se dovessero farlo è perché qualcosa ai giudici non torna anche nel comportamento del lavoratore.
Dobbiamo poi operare tutti i raffronti del caso deducendo l'aliunde perceptum.
Signori, la legge è una cosa viva, che sta nella realtà dei tribunali, non sulla carta, e poter esprimere opinioni concrete e non solo teoriche, bisognerebbe conoscere bene i meccanismi che operano nelle Sezioni Lavoro dei Tribunali italiani: in buona sostanza quello che il lavoratore otterrà sarà sostanzialmente identico a quello che avrebbe ottenuto con la vecchia disciplina. Rarissimamente otterrà qualcosa meno (e sarà un po' per colpa sua), forse spesso otterrà anche di più.
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Mah, guarda... oggi i lavoratori non vorrebbero perdere il posto di lavoro neppure se fossero impiegati presso l'Inferno.
Si lavora per mangiare...non per fare apologia. E oggi di lavoro non ce n'è.
Guarda le proteste in corso tuttora... credi che a quei lavoratori interessi qualcosa dell'ambiente di fronte al fantasma della disoccupazione?Quello che il lavoratore otterrebbe NON è identico perchè con la vecchia disciplina avrebbe ottenuto il reintegro ed oggi non è più possibile in molti casi.
Se alludi a me discorrendo di non conoscere le realtà delle sez. lavoro... fidati che ti sbagli di grosso...
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ma non leggere sempre allusioni nelle mie parole, mi pare chiaro che se devo criticare lo faccio in modo esplicito (anche se poi mi viene minacciata la censura).
però sentire questi discorsi sullo spauracchio della disoccupazione e la voglia di reintegro mi fa veramente intristire, perché sono discorsi pieni di demagogia.
se, come dici, sei avvezza alla sezione lavoro, dovresti sapere, come so io, che nessun lavoratore vuole mai la reintegra: su 1000 casi penso che percentualmente se ne contino 10. e se qualcuno pensa il contrario (non tu, che sei avvocato come lo sono io), faccio volentieri a cambio di mestiere per far sperimentare quali sono le vere richieste quando un cliente desidera impugnare un licenziamento illegittimo. di solito il lavoro interessa molto poco, anche se non è bello né da dire, né da sentire.
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Penso che allo stato dei fatti, ben diversi anche da 10 anni fa, ogni persona voglia tenersi stretto il lavoro, perchè, soprattutto se in età avanzata, sa bene che sarà difficile che ne trovi un'altro. Non siamo un economia dinamica come la Danimarca, dove essere licenziati non è un trauma, visto che il sistema è tale che trovare un nuovo lavoro è facile. Qui invece sono state cambiate unicamente le sanzioni senza cambiare il sistema.
Inoltre
"Ma qual è il potere dell’articolo 18? Se guardiamo le aule di tribunale, le cause in cui compare non sono molte; se guardiamo le sentenze ancora meno (nel 2011 la Cassazione ne conta una ventina), quindi non viene applicato moltissimo. Perché il suo è un potere deterrente: l’imprenditore ci penserà un bel po’ di volte prima di azzardare un licenziamento illegittimo, perché per “sbarazzarsi” di una persona magari non più gradita sa di correre il rischio non solo di dovere sborsare delle cifre non indifferenti, ma soprattutto di doverselo riprendere in azienda."
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La mia esperienza in merito mi porta a concludere che solo nei casi dove il lavoratore avesse già trovato altro impiego non si interessava al reintegro. In genere volevano essere reintegrati per avere il tempo di cercare altrove ma con la sicurezza di un posto di lavoro.
Oggi, la situazione la registro più disastrosa. In particolare seguo un caso di un dirigente oramai prossimo ai 54 anni cui ho dovuto faticare per spiegargli che non vi è possibilità per lui di essere reintegrato per ordine del giudice.
La sua famiglia è monoreddito...e di certo sta passando un momento di difficoltà.
Più in generale dipende dal caso concreto: età, famiglia, situazione reddituale degli altri componenti. Nelle famiglie monoreddito non ho mai visto non desiderare il reintegro con riserva i trovare altrove.
Di certo, da un punto di vista giuridico, non si può affermare che la norma sia eguale o meglio tutelativa vista la facoltà di evitare il reintegro in molte casistiche.Naturalmente io sono una penalista ed accetto le cause civili solo a determinate condizioni... non amo molto il civile, sinceramente...
Circa l'allusione alla mia persona che dire... stiamo interloquendo noi due di talchè la deduzione era ovvia. Comunque bypassiamo.