Mi ha segnalato Wolf Otakar che il link in alto non funziona.
Allora vi faccio un ricapitolo segnalando il libro Abilità informatiche per il diritto che anch'esso cita l'articolo a cui facciamo riferimento.
Purtroppo l'articolo non è più reperibile, ma l'ho recuperato tramite cache
[TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 1[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
PROFILI DI ILLICEITA’
DEL WEB LINKING
di
CRISTIAN ERCOLANO
Estratto dalla Rivista «Il Nuovo Diritto» n. II-III – 2003
www.ilnuovodiritto.com
[/HR][TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 2[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
DIRITTO DELLA GESTIONE DIGITALE DELLE INFORMAZIONI
a cura del Dott. LEO STILO
PROFILI DI ILLICEITA’ DEL WEB LINKING*
Shetland Times Ltd c. Jonathan Wills e Zetnews Ltd, Scotland Ses Cas, 24
ottobre 1996 (soluzione stragiudiziale dell’ 11 novembre 97).
Una delle prime controversie in tema di *web linking *sottoposte ad un organo
giudiziario risale al 1996 e oppose due quotidiani scozzesi presenti sul *web *con
un proprio sito. Il caso rappresenta un esempio tipico di collegamento tramite la
tecnica del deep linking: in una pagina del primo quotidiano venivano proposti
alcuni *link *che rinviavano ad articoli disponibili su pagine secondarie del sito
*Internet *concorrente ed evidentemente di proprietà di quest’ultimo. In
particolare, i *link *riproducevano l’esatto titolo degli articoli, ma non vi era
specificata la fonte da cui essi erano tratti.
Durante l’*iter *giudiziario uno dei giudici avallò la conclusione che il fatto
configurasse violazione dei diritti di esclusiva sui contenuti del sito *Internet *del
ricorrente. Questa pronuncia spinse le parti ad un accordo stragiudiziale in base
al quale il sito linkante, accanto ad ogni link, doveva: citare la fonte, vale a dire il
sito nel quale si trovavano gli articoli; inserire il logo dello stesso sito e,
soprattutto, linkare esclusivamente alla *home-page *del giornale concorrente.
Washington Post Co. c. Total News, n. 97 Civ. 1190 (PKL) (S.D.N.Y. Complaint
filed 20 febbraio 1997)
La controversia, proposta dinanzi al Tribunale distrettuale di New York,
riguardava la violazione di norme in tema di marchi protetti, diritto d’autore, ma
soprattutto atti di concorrenza sleale compiuti tramite la tecnica del *framing *e
senza chiedere preventivamente l’autorizzazione del titolare del sito linkato.
Anche questo giudizio si concluse con un accordo stragiudiziale fra le parti, in
base al quale il convenuto avrebbe operato dei normali *link *alle pagine del sito
ricorrente, anziché utilizzare la tecnica del framing.
Ticketmaster Corp. c. Tickets.com, Inc., CV 99-7654 HLH – BQRx - C. D. CA,
27 febbraio 2000.
Ancora incentrata sul *deep linking *è la questione che, più recentemente, ha
contrapposto due società specializzate nella vendita *on-line *di biglietti per
spettacoli ed avvenimenti pubblici.
La ricorrente sottolineava che i *link *alle proprie pagine secondarie non erano
stati espressamente autorizzati, come invece prescrivevano le condizioni generali
d’uso dello stesso sito. Il danno economico lamentato consisteva nel fatto che gli
utenti erano “dirottati” su pagine secondarie anziché sulla pagina principale del
sito, nella quale erano contenute le inserzioni pubblicitarie; inoltre il
comportamento tenuto poteva configurare un’ipotesi di concorrenza sleale, in
quanto gli utenti potevano essere indotti a ritenere che ci fosse una qualche forma
di collaborazione economica tra i due siti, eventualità che, evidentemente, non
11
[/HR][TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 3[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
DIRITTO DELLA GESTIONE DIGITALE DELLE INFORMAZIONI
sussisteva. Il giudice decise a favore della ricorrente, pur specificando che, in
via di principio, l’utilizzo del *deep linking *non comporta sempre e comunque una
violazione del diritto d’autore né configura, di per sé, una ipotesi certa di
concorrenza sleale. Le condizioni generali d’uso del sito, invece, non furono
considerate, dal giudice, vincolanti per l’impossibilità di provare che esse fossero
state conosciute dalla controparte.
The Newspapers c. Eureka, District Court in Rotterdam, Case/Docket n.
139609/KG ZA 00/846 del 22 agosto 2000.
Questa sentenza può dirsi “storica”, perché la prima, emanata da un giudice
europeo, a sancire chiaramente la liceità del deep linking.
Il caso aveva ad oggetto l’attività di *deep linking *posta in essere da Eureka,
una società olandese che offriva, tramite un proprio sito un servizio di news on-
*line *realizzato attraverso il linkaggio diretto alle pagine dei siti delle società
ricorrenti (previa citazione della fonte). Queste ultime sostenevano che il
comportamento di Eureka violasse i diritti d’autore sugli articoli e sugli elenchi
di titoli, considerati come banche dati; lamentavano, altresì, che il convenuto
tenesse un comportamento illecito traendo un illegittimo profitto dagli
investimenti effettuati dai ricorrenti per la selezione e la redazione dei notiziari e
degli articoli, inserendo sistematicamente collegamenti ipertestuali diretti ai
notiziari e articoli che escludevano le *home-page *dei siti stessi, procurando,
quindi, la perdita dei ricavi derivanti dalla pubblicità.
Sull’ultimo punto contestato, la Corte ipotizzava addirittura un effetto
promozionale nel comportamento della resistente, consistente nel portare più
visitatori ai siti *web *presunti “danneggiati”; ed il fatto che sulle pagine linkate
non vi fosse pubblicità era la conseguenza di una precisa scelta editoriale dei
ricorrenti: il danno che ne derivava non poteva essere attribuito ad Eureka.
Riguardo alla lesione del copyright, esso limita il diritto di riprodurre dati.
Tuttavia, aggiungere un *deep link *da un sito *web *alle notizie e agli articoli sulle
pagine di altri siti non può essere considerato come una riproduzione di questi
dati (cioè degli articoli). La completa adozione dell’elenco di titoli dai siti linkati
e il relativo inserimento (menzionando la fonte) su un diverso sito *web è, dunque,
una riproduzione di questi titoli e di quella lista. Ed anche se si presumesse che
gli elenchi dei titoli debbano essere considerati come una raccolta di opere
protette con una propria caratteristica originale che identifichi l’impronta
personale dell’autore, questi titoli e elenchi di titoli possono essere riprodotti
integralmente da un mezzo di stampa con l’indicazione della fonte: ed il sito
della resistente, puntualizzava la Corte, poteva, a quei fini essere considerato un
mezzo di informazione che periodicamente offriva una rassegna di articoli tratti
da altri mezzi di comunicazioni, i cui nomi erano esplicitamente citati.
Havas et Cadre on line c. Keljob, *Tribunal de Commerce de Paris, sentenza del
26 dicembre 2000.
Il caso, presentato al Tribunale del Commercio di Parigi, riguardava
chiaramente un’attività di framing: la resistente aveva modificato e/o alterato i
codici sorgente (HTML) delle pagine *web *del sito ricorrente, presentando le
pagine ed il loro contenuto sotto un indirizzo (URL) diverso da quello originario;
12
[/HR][TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 4[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
DIRITTO DELLA GESTIONE DIGITALE DELLE INFORMAZIONI
aveva, inoltre, alterato le funzioni di navigazione ed il logo delle stesse, non
consentendo il collegamento alla *home-page *della ricorrente.
Il giudice condannava la società convenuta affermando, in via di principio, di
poter considerare come azione sleale, parassitaria e di appropriazione del lavoro
e degli sforzi finanziari altrui ogni predisposizione di *link *tra siti nel *web *che
abbia come conseguenza: di snaturare il contenuto o l’immagine del sito linkato;
di fare apparire come proprio tale sito senza menzionare la fonte (in particolare
non lasciando comparire l’indirizzo *URL *del sito collegato, e facendo anzi
comparire l’indirizzo del sito che ha stabilito il collegamento ipertestuale); di non
segnalare al visitatore, in modo chiaro ed inequivoco, che egli è diretto ad un sito
o a una pagina *web *esterni al sito di partenza.
NOTA
Anche il più inesperto internauta sa cosa sono i “link” per averli utilizzati in
modo disinvolto sul web. Dall’inglese anello, catena o collegamento, il termine
indica una connessione ipertestuale fra elementi informativi: “cliccando” su
una parola attiva (hotword) o su una immagine cui sia stato associato un
indirizzo Internet1 si visualizza istantaneamente la pagina richiamata. Il sistema
consente di raggiungere informazioni che risulterebbero, altrimenti, sconosciute
o irraggiungibili all’utente e funziona, sostanzialmente, come il rimando delle
note d’autore in un testo di tipo tradizionale, il quale rinvia il lettore ad altra
parte dello scritto o ad un testo esterno.
*Si legge spesso che «linkare rappresenta “la” caratteristica del *World Wide
Web *oltre che la sua intrinseca natura, al punto che se il *web ne venisse privato
*diverrebbe un *medium assolutamente inutile»2. L’ipertestualità è, infatti, ciò che
ha reso la Rete delle Reti un enorme contenitore di informazioni consultabili in
maniera veloce, completa e nella maggior parte dei casi gratuita. La stabile
*trasformazione di *Internet da “Biblioteca virtuale” in “Centro commerciale” ha
mutato in qualche modo questa filosofia. Sono nati nuovi beni giuridici
bisognosi di tutela: i segni distintivi propri del web, la paternità delle opere
pubblicate, la privacy, la buona fede dell’utente (o meglio, il diritto ad una
informazione corretta) e le stesse informazioni che hanno acquistato un loro
rilevante valore economico. Proprio in relazione a queste importanti tematiche i
giuristi hanno iniziato ad interessarsi alle forme di utilizzo dei collegamenti
ipertestuali.
*Tralasciando i *link che rinviano alle pagine interne dello uno stesso sito e
*quelli che consentono di visualizzare la *home-page di un sito esterno (surface
linking), sulla cui legittimità nessuno ha mai avanzato dubbi, restano da
*analizzare due diverse tecniche di collegamento: il *deep linking ed il framing. Il
primo sistema consente di rinviare l’utente direttamente ad una pagina
1 Il collegamento tra la parola o l’immagine e l’indirizzo viene effettuato nel codice *HTML *della
pagina, e risulta visibile all’utente tramite alcuni accorgimenti tecnici: il *link *è evidenziato,
sottolineato, rappresentato sotto forma di pulsante e/o compare una “manina” quando ci si
posiziona sopra con il cursore.
2 DE VIVO, Web linking, deep linking e framing, in Diritto delle nuove tecnologie informatiche e
dell’Internet, a cura di CASSANO, IPSOA, 2002, 936.
13
[/HR][TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 5[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
DIRITTO DELLA GESTIONE DIGITALE DELLE INFORMAZIONI
“interna” o secondaria di un sito diverso da quello di partenza; il secondo
consente di visualizzare la pagina esterna inserendola nello scheletro grafico del
sito linkante. Riprendendo l’esempio sopra riportato, il surface linking è
paragonabile alla nota di un testo tradizionale che citi genericamente un volume
di approfondimento o una diversa fonte; il deep linking, invece, alla nota che
indichi la pagina precisa di un approfondimento esterno al testo; il framing,
infine, è equiparabile alla riproduzione nel testo del contenuto di un’opera
altrui.
2. Problemi giuridici.
Negli Stati Uniti, dove «l’integrità del sito è considerata l’interesse primario
*da tutelare»3, le pratiche del *framing *e del *deep linking vengono considerate
illecite4 se non espressamente autorizzate dal titolare del sito linkato; tale
autorizzazione (linking agreement) è spesso concessa dietro pagamento di un
corrispettivo.
*Più realisticamente, per regolamentare le condotte di *deep linking e di
framing si è proposto:
a) di utilizzare le norme in materia di concorrenza sleale5, in considerazione
del fatto che in entrambi i casi si eliminerebbe la visibilità delle comunicazioni
*commerciali presenti di solito sulla *home-page del sito in questione, provocando
al titolare dello stesso un mancato guadagno e, quindi, un diritto al
risarcimento6;
b) di estendere analogicamente alle attività in discorso la disciplina della
Legge marchi (R. d. 21 giugno 1942 n. 929 e successive modificazioni)7, che
sanziona l’utilizzo illegittimo dei segni distintivi, il rischio di confusione e di
associazione degli stessi, la perdita della capacità distintiva ed il danno
all’immagine del marchio;
*c) di ricondurre il diritto di *link nell’ambito del diritto di citazione, e, quindi,
del diritto d’autore, con conseguente illiceità dei collegamenti che comportino
appropriazione indebita di opere intellettuali altrui8.
Ma analizziamo separatamente le due forme di linking.
3 DE VIVO, Web linking, deep linking e framing, op. cit., 940.
4 Tra gli esempi giurisprudenziali più conosciuti: Washington Post contro Total News, causa
risolta stragiudizialmente il 20 febbraio 1997; Ticketmaster Corp contro Tickets.com del 27
febbraio 2000, riportate in epigrafe.
5 TOSI, Nomi di dominio e tutela dei segni distintivi in Internet tra domain grabbing, linking,
framing e meta tag, in Riv. Dir. Ind., 2000, II, 180-181.
6 TESAURO - CANESSA, Economia digitale, aspetti civilistici e fiscali, IPSOA, 2002, 164.
7 Così GALLI, Tutela dei marchi rinomati in Internet, in PALAZZOLO - RUFFOLO a cura di, La
tutela del navigatore in Internet, Milano, 2002, 256; MONTELEONE, La pratica del “linking” e le
sue implicazioni giuridiche, su www.netjus.org; quest’ultimo ipotizza, riprendendo considerazioni
di TOSI (I problemi giuridici di internet, Milano, 1999), la violazione «in particolare dell’art. 12
Legge Marchi, il quale, prevedendo che al commerciante è fatto divieto di sopprimere il marchio
del produttore o del commerciante da cui ha ricevuto i prodotti o le merci, può, in via analogica,
ritenersi applicabile anche nell’ipotesi del deep linking, atteso che, chi impiega quest’ultima forma
di link, di fatto utilizza un “prodotto” altrui omettendo il riferimento al realizzatore di tale
prodotto».
8 TURINI, Copyright a rischio nei “link” della rete, in *Telematica e Diritto *de *Il Sole 24 Ore *di
mercoledì 13 settembre 2000.
14
[/HR][TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 6[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
DIRITTO DELLA GESTIONE DIGITALE DELLE INFORMAZIONI
2.1. *Riguardo al *deep linking tutte le ipotesi prospettate prestano il fianco a
facili critiche.
Nel primo caso non vi è nessuna norma, scritta o consuetudinaria, che
imponga al titolare del sito di posizionare le comunicazioni commerciali solo
*sulla *home-page del sito e non anche sulle pagine secondarie; questo stesso
accorgimento eliminerebbe alla radice ogni tipo di problema.
Delle altre due ipotesi – violazione delle norme a tutela dei segni distintivi e
*del diritto d’autore – non se ne può negare *a priori il fondamento; ciò che si
contesta è che esse si concretizzino automaticamente con l’utilizzo del deep
linking. Innanzitutto i contenuti del sito linkato non vengono “riprodotti” nella
pagina linkante, che si limita a consentire la visualizzazione dei primi. Inoltre
chi opera un rinvio ad una pagina secondaria di un sito esterno, senza alterarne
in nessun caso il contenuto – senza, cioè, sopprimere i segni distintivi od
omettere l’indicazione dei nomi degli autori eventualmente presenti, in modo che
sia ben evidente la paternità della pagina stessa - certamente non viola alcuna
norma; la considerazione è sostanzialmente opposta nell’ipotesi di tentativo di
appropriazione del contenuto delle pagine stesse mediante gli accorgimenti
fraudolenti cui abbiamo sopra accennato. In questo caso il danno ed il
conseguente diritto sono concreti, anche se potrebbe risultare difficile
ricostruire la volontà lesiva del linkante per facta concludentia.
D’altronde basterebbe accennare al funzionamento dei motori di ricerca per
confutare ogni convinzione sulla implicita illiceità del deep linking. Questi sono
tra i siti più frequentati dagli internauti in quanto costituiscono il mezzo più
efficace per effettuare ricerche sul web. Ad ogni richiesta effettuata danno come
risultato proprio il documento esatto ricercato, e cioè una pagina interna ad un
*qualsiasi sito, e non certamente la *home-page dello stesso (nel qual caso l’utilità
stessa del motore di ricerca sarebbe di gran lunga ridotta). Questo
funzionamento si basa su due sistemi:
a) lo stesso titolare del sito si propone al motore di ricerca per la
indicizzazione del proprio sito. In questo caso tale condotta potrebbe
configurarsi come un consenso implicito al deep linking;
b) il motore di ricerca effettua spontaneamente una monitorizzazione del
web (tramite i cosiddetti spider, programmi che raccolgono informazioni
*durante la navigazione), aggiungendo i nuovi siti rinvenuti al proprio *data-base
senza che questi siano segnalati dal titolare.
In entrambi i casi non si hanno notizie di controversie riguardanti tale
sistema e nessun commentatore ha mai ipotizzato la illiceità di queste
operazioni. Il bene giuridico che sarebbe leso o posto in pericolo dal linkaggio è
identico, sia che l’operazione venga effettuata da un motore di ricerca –
“istituzionalmente” dedito alle attività in discorso – sia che venga effettuato da
un privato. Anche l’effetto sul sito linkato è identico nei due casi: un vantaggio
in termini di “conoscibilità” del sito.
2.2. *L’utilizzo della tecnica del *framing evidenzia, invece, con maggiore
fondatezza, la potenzialità confusoria del link: il navigatore, infatti, è portato a
ritenere che il contenuto del sito richiamato sia appartenente al sito
richiamante, che per di più non consente la visualizzazione, nella barra degli
15
[/HR][TABLE="width: 100%"]
[TD="bgcolor: eeeeee, align: right"]Page 7[/TD]
[/TR]
[/TABLE]
DIRITTO DELLA GESTIONE DIGITALE DELLE INFORMAZIONI
indirizzi, dell’URL9 originario della pagina linkata10. In questo caso è più
facile, anche se non del tutto inconfutabile11, ricondurre la semplice scelta di tale
forma di collegamento alla volontà di ingenerare confusione negli utenti, fino a
postulare l’appropriazione illegittima di contenuti altrui.
Il comportamento confusorio e la conseguente applicazione degli artt. 2598
e ss. del codice civile, implicanti la cessazione del comportamento lesivo fino al
riconoscimento del diritto al risarcimento del danno lamentato debbono,
comunque, essere provati di volta in volta.
Tutte le precedenti valutazioni sono suscettibili di smentita, ad esempio, nel
*caso in cui il *link venga utilizzato per gettare discredito sul prodotto o
sull’attività del concorrente in maniera diffamatoria, ovvero ci si appropri di
pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente. Queste condotte illecite,
chiari atti di concorrenza sleale, possono essere realizzate utilizzando
qualsivoglia tipologia di link, anche quello di cui si presuppone, in dottrina, la
normale liceità. Questo conferma che giuridicamente rilevanti sono non tanto la
*tipologia di *link utilizzati, quanto le reali intenzioni del linkante ed il danno
effettivamente procurato.
Un’ultima considerazione può essere sollevata riguardo all’utilizzo, sempre
*più comune anche nel nostro Paese, dei *linking agreement contenuti nei
cosiddetti disclaimers12. L’utilità di questi “espedienti” è stata ipotizzata anche
da studiosi nostrani, ma senza molta fortuna13: il loro valore giuridico è, infatti,
limitato dall’impossibilità di provare che essi siano stati accettati o quantomeno
conosciuti dall’utente. Allora potrebbe essere una regola di galateo (Netiquette,
«Etica e norme di buon uso dei servizi di rete») a consigliare di controllare,
nelle pagine dedicate ai disclaimers, se il titolare del sito gradisce essere linkato
ed in che modo. Le regole consuetudinarie hanno la loro importanza anche nella
Rete, e soprattutto nei casi in cui consentano di risolvere “amichevolmente”
problemi altrimenti di difficile soluzione.
CRISTIAN ERCOLANO
9 URL: Universal resource locator.
10 In questo senso TESAURO - CANESSA, Economia digitale, aspetti civilistici e fiscali, op. cit., 164;
GALLI, *Tutela dei marchi rinomati in Internet, *op. cit., 256; TURINI, L’opera telematica, in Diritto
delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, a cura di CASSANO, IPSOA, 2002, 996.
11 Pensiamo al caso in cui il linkante citi espressamente l’autore dell’opera e non elimini i segni
distintivi o la fonte del documento.
12 Dichiarazioni inserite in genere nella *home-page *di un sito Internet nelle quali si avvertono gli
utenti circa i contenuti del sito stesso e si dettano alcune regole al fine di limitare o escludere del
tutto la responsabilità del gestore dello stesso.
13 STABILE, L’attività di comunicazione nei siti web, in Dir. ind., 2000, 92